Era il 23 novembre 1978 e nessuno immaginava che padre Ottorino Marcolini, forte come una roccia e capace di sfidare l’impossibile per non lasciare indietro nessuno, potesse “fare fagotto” ed avviarsi verso il cielo. Invece, le conseguenze dell’incidente stradale in cui era sta coinvolto qualche settimana prima, che sembravano superate, pretesero nuovamente udienza. Così quel giorno, la morte bussò alla sua porta senza neppure concedere il tempo necessario per salutare gli amici e raccomandare alla Città che amava di non smettere di occuparsi di chi in lei cercava rifugio, lavoro, comprensione e accoglienza. Adesso, mentre il calendario segna il quarantaquattresimo anniversario della sua morte (evento che lui, un giorno d’estate a Malga Bissina – luogo di vacanza per i suoi ragazzi e giovani – chiese ai cronisti andati fin lassù per scoprire se il prete ingegnere avesse in mente di costruire chissà quale altro villaggio, di chiamare, quando il tempo a sua disposizione sarebbe scaduto, semplicemente “fuga anticipata verso il celo”) sarebbe interessante, oltre che socialmente e civilmente utile, rivisitare i passi che gli consentirono di passare dalla contemplazione di Dio, impegno principale del suo essere prete dell’Oratorio della Pace, all’azione, dovere di ogni cittadino, soprattutto se cristiano non solo di facciata. Magari aggiungendo alla rivisitazione anche qualche nozione sulla sua storia di prete, di testimone del Vangelo, di educatore che ai ragazzi dell’oratorio, sorridendo, spiegava che “giocare al pallone dopo aver dedicato giusto tempo alla preghiera era il modo più semplice per vincere o perdere senza troppo dolersi”, di religioso più orientato a camminare sulle strade impervie dirette alla santità che su quelle comodissime orientate allo star bene da soli. In questo modo, si comprenderebbe che il padre Marcolini costruttore è la conseguenza del padre Oratoriano che la sua ragion d’essere l’ha trovata nel Vangelo, “perché è lì – diceva – che si capisce il valore di un prossimo che forse non conosci ma che ha già bisogno di far parte del tuo mondo”. Allora, potrebbe anche capitare di scoprire che costruire case è prima di tutto assolvere al comandamento che chiede di far posto al prossimo “perché – spiegava padre Ottorino – sarà proprio quel che avremo dato al prossimo la misura con la quale saremo giudicati”.
Bella storia quella di Ottorino Marcolini! E fu proprio lui che, dopo aver brontolato e negato sia il valore dell’intervista sia l’esistenza di domande degne di ottenere risposte (non amava parlare, preferiva fare) a riassumerla: un ragazzo cresciuto all’oratorio della Pace, allevato a libri ed utopie, fortificato alla scuola dell’impegno cattolico grazie a compagni di viaggio del calibro di Giovanni Battista Montini, Giulio Bevilacqua, Andrea Trebeschi, Peppino Tedeschi, Ercoliano Bazoli e tantissimi altri, “loro sì – precisò – tipi davvero speciali”. Continuò poi a parlare di un giovane che dovette mischiare le sue pacifiche speranze con gli orrori di due guerre e con le miserie di una dittatura “inutile e nemica del popolo”, di una vocazione al sacerdozio fiorita tra le macerie seminate dal primo conflitto mondiale, di due diplomi di laurea – uno in ingegneria civile e l’altro in matematica – conseguiti per passione nel primo caso e per contribuire al sostentamento della famiglia nel secondo. Poi, anche di un prete, con alle spalle esperienze pastorali ed associative “di un qualche peso”, che sognava “una casa, economica ma di proprietà, per tutti”, che non sapeva rassegnarsi alle lungaggini della burocrazia amministrativa e che voleva circondare la città di villaggi abitati da gente felice e felice perché ricca di sogni e di speranze.
Di questo padre Marcolini, stanziale all’Oratorio della Pace ma cittadino del mondo, un monaco sospeso tra “la bella pazzia del Vangelo” e “l’incoscienza del fare” potendo contare solo sulla Provvidenza e sul buon cuore di conosciuti e sconosciuti, in tanti hanno scritto, detto e ripetuto quel che secondo loro serviva per tessere l’elogio del prete-ingegnere-costruttore di una Città a misura dei bisogni della gente. Pochi invece hanno raccontato che quell’attività così appariscente e utile nasceva dalla profondissima spiritualità che sempre accompagnava i passi di padre Ottorino. Poi, qualche anno fa, il popolo dei suoi villaggi e delle sue case, ritenendo fosse un miracolo accertato (è infatti sul miracolo che si fonda la prospettiva di elevare un buon cristiano, prete o laico che sia, alla gloria degli altari) quello che aveva permesso al religioso di costruire case e villaggi sfidando il sistema e fidando quasi esclusivamente sulla divina Provvidenza, materia ostica per gli addetti agli affari ma benigna per chiunque avesse a cuore il destino dei poveri, chiese a gran voce che per il loro padre Ottorino fosse avviata la causa di beatificazione. Ci vorrà tempo, ma intanto la strada è stata segnata “In fondo – ripetono in tanti – per noi padre Marcolini santo e beato lo è adesso come lo era ieri”. Così, ricordare e celebrare l’anniversario della sua morte, oltre che segno di gratitudine, è certezza di avere a che fare con un santo, magari di strada e di cantiere, ma pur sempre santo.
LUCIANO COSTA
“Bresciaoggi” del 23 Novembre 2022