Pandemia, armi, ricordi: di tutto e di più

Non è che stiamo benissimo – la pandemia striscia e allarma, le vaccinazioni proseguono qui con piglio deciso ma altrove con flemma preoccupante… -, ma si procede. Ieri una ricercatrice dell’Università di Verona, in una lunga intervista, ha annunciato che sarebbe già pronta una medicina che se presa entro le prime 72 ore dall’insorgenza del contagio, lo blocca e probabilmente risolve il problema. Sempre ieri sono entrate in vigore le nuove norme di prevenzione riassunte nel “green pass rafforzato” obbligatorio se si vuole andare liberamente in vacanza, in giro a fare shopping o a sciare. Sono anche attive le restrizioni imposte dalle maggiori reti televisive alla partecipazione ai dibattiti di no vax, venditori di fumo, finti scienziati e sciamani in libera uscita. Notizie giunte fin qui dalla montagna amica, impegnata nel week-end di apertura della stagionem, dicono che la massa di vacanzieri sciatori è forse superiore a quella dei tempi migliori. E la prevenzione? Si fa, assicurano, ma ci sono ancora soggetti – i soliti furbi – ai quali l’evasione piace e forse diverte. Oggi a Milano, per la festa di sant’Ambrogio, è previsto il pienone, che piace a chi vende, soddisfa chi compra e preoccupa non poco chi deve regolare e magari controllare. “Che il buon Dio ce la mandi buona” ha detto il frate concludendo la Messa in onore del santo vescovo.

In verità, questo buon Dio invocato per agevolare la festa, dovrebbe anche provvedere a mettere sale in zucca ai tanti, troppi, che pur parlando di pace e di concordia – Russia, Stati Uniti, Cina, India, Gran Bretagna e chissà quanti altri: fate voi – pensano soprattutto a fabbricare, vendere, acquistare armi sempre più sofisticate e sempre più micidiali. In questa situazione, chi gongola e si arricchisce è l’industria bellica, che nemmeno in tempo pandemico ha rallentato il suo turpe mercato. La riprova è in un rapporto redatto dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), secondo il quale nel 2020 il fatturato dei cento maggiori gruppi mondiali che si occupano di difesa è aumentato dell’1,3 per cento. L’Istituto si occupa di ricerca sui temi quali conflitti, armamenti, controllo degli armamenti e disarmo e fornisce dati e analisi, sulla base di fonti libere, a politici, ricercatori, media e a tutto il pubblico interessato.

Il fatturato più consistente è stato registrato dalle aziende americane, confermando un trend positivo per i colossi Usa quali la Lockheed-Martin e la Raytheon Technologies. Per quel che riguarda il Vecchio Continente, la britannica Bae Systems figura al sesto posto nella classifica. Secondo i dati dell’Istituto di Stoccolma, l’onda lunga dell’incremento vendite parte dal 2015 e da allora non ha conosciuto battute d’arresto. Sei anni fa, infatti, gli acquisti e i permessi, in particolare negli Stati Uniti, erano saliti del 10% attestandosi a 23,1 milioni di armi vendute, il numero più elevato dall’introduzione dei controlli federali sugli acquisti nel 1998. La crescita, secondo il report Sipri, non ha riguardato le società russe e quelle francesi che continuano a presentare bilanci con il segno meno anche se il programma approvato nel 2016 dal governo di Mosca per modernizzare l’industria bellica russa ha previsto investimenti per un trilione di rubli, cioè 15,6 miliardi di dollari.

La Francia, tre giorni fa, ha firmato un contratto da 16 miliardi di euro con gli Emirati Arabi Uniti per la vendita di 80 caccia da guerra. In Italia nei giorni scorsi è stata approvata una legge volta a contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine anti persona, di munizioni e sub-munizioni a grappolo. Sono infatti aumentate di oltre il 20% le vittime e i feriti di questi ordigni e la causa, secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio sulle mine dell’Onu, che parla di 7.073 vittime nel 2020 a fronte di 5.853 del 2019, è stato il covid-19 che ha fermato il lavoro di recupero dei residuati bellici. Se nel 2013 le vittime erano in media 10 al giorno, nel 2020 sono salite a 19 al giorno. Nonostante negli ultimi venti anni siano state rimosse e distrutte oltre 55 milioni di mine al mondo, il numero dei morti civili è ancora molto alto: nel 2020 l’8’%, di questi 1.872 bambini.

RICORDARE PER NON DIMENTICARE – Leggendo la storia, magari per scoprire di quali distruzioni siamo stati capaci, oggi potreste scoprire che ottant’anni fa, esattamente il 7 dicembre 1941, l’attacco giapponese a Pearl Harbor non segnò solo l’entrata in guerra degli Stati Uniti ma anche il tramonto dell’imperialismo nipponico. Pare strano dirlo, avendo i giapponesi quasi completamente annientato, con perdite irrisorie da parte loro, la flotta statunitense del Pacifico e inferto migliaia di vittime agli USA, , ma è così e a 80 anni di distanza ogni evento di quel tempo non si sottrae più al giudizio storico, soprattutto sull’errore che Pearl Harbor rappresentò per i giapponesi, che al di là dell’esser divenuta per loro, in un giudizio morale, anche fonte d’«infamia senza pari», per aver aggredito un Paese col quale non erano in guerra.

La storia racconta che tutto avvenne Pearl Harbor, nell’isola Oahu delle Hawai, a dieci km dalla capitale Honolulu: la maggior base navale degli americani. Per quella azione i giapponesi schierarono gran parte della flotta imperiale: 6 portaerei, 400 aerei, 2 corazzate, 3 incrociatori, 16 cacciatorpediniere e 27 sommergibili. L’attacco costò agli americani 178 aerei distrutti e 159 danneggiati, l’80% della forza aerea messa fuori combattimento, delle 6 corazzate presenti 5 furono bruciate e affondate. In totale gli americani contarono 2403 uomini morti, dispersi o poi periti in seguito alle ferite riportate, nonché altri 1178 feriti. Il tutto era avvenuto in meno di 120 minuti.

Ricordare per non dimenticare e, soprattutto, per evitare di commettere gli stessi errori. Ma, come si sa, la storia non ha mai insegnato nulla a nessuno. Quindi, ecco l’industria bellica che sforna armi per tutti. Basta avere danaro e si entra nel grande giro. E la Pace? Se ne parla, ma può aspettare. E i vaccini antivirus per tutti? Verranno, ma dopo gli approvvigionamenti di armi e munizioni. Eppure, è noto, basterebbe chiudere la produzione di armi per avere fondi necessari per vincere le malattie, anche l’ultima, terribile, che si chiama Covid.

***

Altri articoli
Attualità

Potrebbero interessarti anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere