“Prima viene l’ascolto poi, dall’ascolto, nasce la parola”. Sembra ovvio, ma l’impressione corrente è che sia la parola (gridata) a farla da padrone. Quei politicanti che vanno per spiagge e piazze a gridare teorie come fossero certezze, per esempio, è probabile non sappiano neppure che la comunicazione, per essere credibile, deve avere in sé parola e ascolto: una per annunciare, l’altro per dare senso e valore a ciò che verrà annunciato. Così ieri, dopo che la cronaca aveva messo in mostra come la voglia di rompere e distruggere quel sistema che vietando obbliga e obbligando impedisce di vivere liberi e giocondi stava generando mostri pronti a usare violenza contro chiunque si opponesse alla loro visione (le perquisizioni operate dalle forze dell’ordine in diverse città e paesi mettevano in evidenza che dietro gli slogan dei no-vax c’erano armi di offesa e strumenti adatti soltanto a seminare violenza e scompiglio), pochi-pochissimi, quasi nessuno era lì a mettere pezze dove c’erano gli squarci prodotti dalla cattiva interpretazione del diritto a essere liberi in una società in cui, ragionevolmente, la libertà di uno finisce dove comincia quella dell’altro.
Sempre ieri, attorno alla sentenza della Suprema Corte a proposito della presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche, che pure aveva acceso dibattiti e sollevato non poche polemiche, non si sono levate parole altisonanti di plauso o condanna, semplicemente si è preso atto, con ciò rimandando a un dopo indefinito qualsiasi commento. In ogni caso, per le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione chiamate a sentenziare, il Crocifisso rappresenta “l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”. Per questo, la sua esposizione nelle aule scolastiche “non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione”. Come ricorderete (ne abbiamo parlato qui in più di un’occasione) l’iter giudiziario era stato avviato da un insegnante umbro, che durante le sue lezioni rimuoveva dalla parete il simbolo cristiano per eccellenza. A mettercelo era stata l’assemblea degli studenti, che così aveva deliberato a maggioranza. Sul punto, anche questo ha sancito la Cassazione, “la comunità scolastica deve valutare e decidere in autonomia di esporlo”, semmai anche “accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe”, e sempre ricercando in ogni caso un “ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”. In attesa di ragionate e inevitabili diversificazioni resta evidente che “i giudici della Suprema Corte confermano che il crocifisso nelle aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni” e che esso “è espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria”. Secondo gli esperti di cose religiose “in questa sentenza la Corte riconosce la rilevanza della libertà religiosa, il valore dell’appartenenza, l’importanza del rispetto reciproco”.
Un santo pacifico come Bernardo, quasi per ristabilire le corrette proporzioni e le giuste priorità, ricordava che abbiamo una sola bocca e ben due orecchi. Voleva dire che dovremmo ascoltare il doppio di quanto parliamo e che, soprattutto, abbiamo bisogno di una parola che, ascoltata, serva ad accorciare le distanze tra udenti e parlanti. Vado a rileggere Cartesio e mi soffermo sulla sua celebre frase – cogito ergo sum (penso dunque sono) – mettendola a confronto con quell’altra, giunta a distanza di secoli, con cui Karl Barth rovescia il concetto dicendo cogitor ergo sum (sono pensato dunque sono): la prima stabilisce il primato del pensiero, la seconda mette il pensiero al servizio di chi è invitato ad ascoltare. Come ha recentemente scritto Andrea Monda “la sfida di ogni esistenza umana è dunque mettersi in ascolto, dentro e fuori di sé, e ricercare così quella parola che conduce a un pensiero creativo… Ovviamente, per realizzare questo lavoro di ricerca ogni uomo deve, anche a sue spese, comprendere che non può essere solo lui a parlare ma deve lasciar parlare il mondo, gli altri, l’Altro…”. Secondo il celebra Kafka “non è necessario che tu esca di casa, rimani al tuo tavolo e ascolta; non ascoltare neppure, aspetta soltanto; non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. E il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te”.
Sul versante della politica, che solitamente rifugge da qualsiasi indicazione filosofica, viene invece naturale chiedersi se i leader delle destre italiane (che oggi si chiamano Matteo Salvini e Giorgia Meloni) siano capaci di formulare una comunicazione degna di tale nome, cioè fatta di parola e di ascolto, o se invece non affidino le loro fortune solo e sempre ai consensi (anche marginali) cercati per allungare le proprie carriere personali piuttosto che per affermare il bene di tutti. Tra i governanti e politici europei vicini alle sensibilità politiche dei due esponenti della destra italiana (sempre loro: Salvini e Meloni) si sta ben attenti a non mettere il cappello sullo strano intruglio no-vax. “D’altra parte – ha scritto l’esperto -, quando si asseconda qualsiasi tendenza che muove i sondaggi dello zerovirgola, senza vagliarla e discernerla nella più grande categoria della responsabilità, si rischia di perdere credibilità e affidabilità sia a livello interno sia, soprattutto, internazionale”. Vale a dire: si diventa, per utilizzare una parola entrata nella storia recente del Paese, unfit: inadatti a governare.
Certo, il discorso va differenziato. La leader di FdI è all’opposizione e fa il ‘suo gioco’ specie in vista delle amministrative, in cui vuole collezionare tutte le sacche di dissenso all’attuale esecutivo. Per il capo della Lega è diverso, perché i suoi tentennamenti frenano le decisioni del governo e della maggioranza dall’interno, provocando ritardi che, quando si parla di salute, possono costare vite. In questo senso, l’ultimo balletto sul decreto Covid è sintomatico: alzare un muro contro lo strumento- chiave di questa fase, il Green pass, e poi ritirarsi di buon ordine quando si ritiene che sia passato il messaggio del “io ci ho provato, avete visto, sono loro che vi tolgono la libertà e se non ci fossi io ve ne toglierebbero di più”. Sarà così, si può starne certi, anche sull’estensione del green pass e sull’eventuale obbligo vaccinale: contorsioni e poi quel sì sofferto, con ulteriore e colpevole sciupìo di tempo. Un gioco pericoloso… Che alla fine stabilirà la loro natura di unfit, inadatti a governare.
LUCIANO COSTA