Parole, colori, gesti di pace…

È difficile parlare d’altro, che pure c’è ed è importante, quando una guerra sta devastando una nazione e con essa il mondo intero. La Russia, la cosiddetta grande-Russia, non si ferma, vuole adesso l’Ucraina sottomessa e domani nessuno che intorno al suo spazio possa, non si sa come, creargli disturbo. “Questa è una guerra assurda…” ha detto un vecchio che la guerra l’ha fatta e patita quando si dovevano conquistare libertà e democrazia, quando il nemico era comandato da un dittatore folle e quando era necessario ridare dignità alla gente e un volto definito ai loro Paesi. Ed è assurda questa guerra perché viene imposta da una parte che se ne frega di qualunque legge internazionale, di qualsiasi trattato sottoscritto, di qualunque logica che non sia la sua. Conferma tutto questo il modo stesso che il potente sta usando sedendosi al tavolo della trattativa: non un confronto, ma piuttosto l’imposizione di cose da riconoscere e accettare prima ancora di iniziare a discutere. Ed è questo modo di fare e procedere del potente che rende sporca la guerra e che porta a definirlo niente altro che un dittatore folle. Solo un dittatore folle, infatti, può tacere e passare oltre i misfatti compiuti, come quello del bombardamento dell’ospedale dei bambini a Mariupol, che ha suscitato sdegno e orrore in tutto il mondo.

Domenica il Papa ha detto che “in Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime: non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria”; ieri, da una scuola di Brescia, è partita l’iniziativa che vuole usare “parole e colori come gesti di pace”, come mezzo per far sapere che in un piccolo angolo di mondo conosciuto ci sono ragazzi e ragazze che credono nella pace e che vogliono la pace, che con loro camminano e sperano dirigenti, insegnanti, personale diverso, vale a dire la scuola nel suo insieme.

“In questi giorni terribili – ha scritto Claudia Marchi, dirigente del plesso scolastico (istituto Comprensoriale Nord 1) che abbraccia nove scuole della periferia nord di Brescia – un’altra grande sfida è davanti a noi: incontrare i nostri alunni e raccontare lo scempio che gli adulti sono in grado di compiere”. Raccontare cioè che “la scuola non può fingere o non guardare, che anche in questo tragico momento dobbiamo essere Scuola in cui i bambini e i ragazzi possono sperimentare l’ascolto, comunicare le loro emozioni, le loro paure. Noi – aggiunge la dirigente scolastica – non abbiamo le risposte alle loro domande – le più semplici e ingenue sono le più difficili da affrontare -, ma siamo il luogo dove accrescere la loro intelligenza emotiva, dove possano sperimentare il confronto. Siamo chiamati a creare le occasioni, oggi più che mai, dove i valori a noi tanto cari come la tolleranza e la pace, vengano sperimentati e vissuti concretamente”. Da qui prende il via l’iniziativa “parole, colore gesti di pace” che coinvolgerà alunni genitori e cittadini in un percorso che consentirà alle varie scuole di passarsi l’una all’altra, come in una grande staffetta, il compito di tenere acceso e vivo il tema della pace”.

Stamani all’alba ho di nuovo letto quel che un corsivista ha scritto a proposito di bambini di fronte alla guerra. Dice che “l’odio dei grandi non risparmia i piccoli” che “il bombardamento russo di un ospedale pediatrico in Ucraina mostra l’atrocità di tutte le guerre”, che “i bambini continuano a soffrire e morire in tante parti del mondo, come in Siria, Yemen, Etiopia, Mali e altrove”, che “Erode è sempre vivo e uccide senza pietà”. Su chiama Sergio Centofanti il corsivista citato e non smette di ricordarci che “i bambini sono tutti uguali, in Ucraina come in Etiopia, in Siria come nello Yemen o in Afghanistan, in Mali, nel Myanmar e come in tutte le guerre della storia. Essi continuano a morire, a fuggire, ad essere usati e sfruttati in mille modi… Il piccolo Alan Kurdi, riverso su una spiaggia turca in fuga dal conflitto siriano, nel suo silenzio assordante continua a gridare all’umanità: basta guerre! Fate vivere i piccoli! A Irpin, vicino Kiev, un bimbo di circa due anni piange a dirotto in braccio al papà soldato in partenza: con i suoi piccoli pugni colpisce l’elmetto del padre che deve lasciarlo, non sa cosa sia e perché ci sia la guerra, è troppo piccolo, ma non vuole essere consolato perché il papà va via…

Ma al tavolo della trattiva istituito per mettere la parola fine alla guerra non vince la pace… Però, essa arriverà e stenderà il suo potere anche su coloro che non intendono neppure sentir parlare di una pace che sia di tutti e per tutti. Di questa pace possibile s’è fatto interprete Francesco dicendo ai giovani che stanno preparando la Giornata Mondiale della gioventù di essere creativi e geniali nel proporre orizzonti di pace. “Siamo usciti dalla crisi pandemica, siamo approdati a una crisi economica e, adesso – ha detto il Papa ai giovani – siamo nella crisi della guerra, che è uno dei peggiori mali che possono accadere! In mezzo a tutte queste crisi, dovete collaborare affinché l’evento di agosto 2023 sia giovane, fresco, vivo, forte, creativo”. Non sarà facile, soprattutto perché “andiamo di crisi in crisi”, ma “le crisi si superano insieme”.

Chi ha orecchie per intendere, per favore, intenda.

LUCIANO COSTA

Altri articoli
Attualità

Potrebbero interessarti anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere