C’è la crisi, ma c’è anche tanto altro. Per esempio: gli americani si preoccupano di cancellare l’orrenda pagina inscenata a danno della democrazia dal loro ex presidente; i cinesi se la ridono assistendo agli inutili sforzi degli inviati dell’organizzazione mondiale della sanità per trovare tracce del come e quando avrebbero fabbricato il virus alla base della pandemia mondiale; i russi se ne fregano di democrazia e richiami alla democrazia preferendo riempire le galere di gente colpevole di essere in strada e in piazza per gridare viva la libertà; i croati si ostinano a non vedere in quel malconcio gruppo di stranieri in cerca di aiuto fratelli piuttosto che nemici; gli svizzeri non smettono di contare soldi e diamanti che transitano nelle loro casseforti; gli africani già di per sé costretti a soccombere sotto il peso di fame sete malattie sottosviluppo e altri mille e più motivi, neppure sanno che il Covid lo si può vincere e che c’è un vaccino di cui anche loro sono destinatari; i brasiliani, orfani di tutto, non hanno altro che lacrime da consumare e vendere… L’elenco è incompleto, ma se volete andare oltre basta un minimo di informazione per aggiungervi i mali e le inadempienze che si stanno consumando qui e altrove.
Qui, voglio dire qui in Italia, cioè in un luogo civile, le trombe mediatiche (roba per radio asfittiche, televisioni succubi e giornaletti indecenti) squillano a tutte le ore per annunciare morti ammazzati, processi, ruberie, tradimenti, canzonette, biografie irreali, successi presunti, giustificazioni vergognose, interviste impossibili, rincorse allucinanti, parole insensate, pianti sollecitati e lacrime impossibili da asciugare, persone inventate dalla rete, storie all’incontrario… Le medesime trombe tacciono, invece, di fatti incresciosi e perversi che offendono il buon senso e la civiltà di città e paesi…
Dicono le cronache che Mostafa è morto a Torino, Filippo ad Arzachena, uno sconosciuto ghanese nel Modenese. Chi sono? Scarti. Abbandonati a loro stessi, alle prese con il freddo dell’inverno, spesso derisi, maltrattati, picchiati e dati a fuoco. Un problema per tutti, anche per chi vorrebbe aiutarli. Nell’Italia alle prese con la pandemia e con la crisi politica, accade anche questo. E non è la prima volta. Mostafa Hait Bella, di origini marocchine, vendeva fiori in uno dei mercati del centro di Torino. Poi, perso il lavoro e la casa, ha vissuto in un’auto sgangherata e poi in strada fin quando lo hanno trovato morto dopo una nottata più fredda delle altre.
La morte di Mostafa ha scosso Torino, una città che discute da giorni proprio sul destino dei senzatetto in strada. Forse un problema di decoro pubblico e di sicurezza, ma anche una questione di umanità resa più assillante dalla pandemia e dalla crisi. «Spesso – ha detto l’arcivescovo di Torino – si fa un discorso teorico, senza avere mai visto in faccia queste persone, per le quali non servono soltanto dormitori di massa». A Modena, Arzachena e Roma, dove le cronache ultime raccontano di fatti incresciosi avvenuti a danno di poveri senza fissa dimora, la parte più sensibile della società si interroga sulle cause di eventi e di morti forse evitabili.
I volontari, tanti e sempre in prima linea, sottolineano che “c’è un sentimento, fatto da una sorta di ostilità rispetto a coloro che sono in qualche modo diversi rispetto alla nostra ordinarietà, che sta crescendo”. E’ invece “necessario ridefinire un modello di welfare locale che in molte parti d’Italia si è iniziato a costruire ma che non è concluso. Ma dobbiamo accelerare la capacità di intervento intorno alla persona. Ma per farlo servono investimenti che non possono essere delegati al solo volontariato oppure solo alla Chiesa. Si tratta di una situazione complessa che non può essere risolta con soluzioni facili”.
Una suora del Cottolengo di Torino mi ha raccontato lo strazio provato di fronte ai poveri improvvisamente privati dei loro cani, delle loro coperte e dei cartoni usati per costruirsi un giaciglio. Un amico romano i ha confidato di aver assistito a operazioni che nulla avevano da spartire con quello che comunemente si intende per “giustizia sociale”.
Nel frattempo, lontano dai marciapiedi e dagli anfratti abitati da poveri cristi in cerca di caldo e di briciole di speranza, la crisi politica cerca soluzioni e i politici qualche conferma.
Stanotte ho sognato che Mario Draghi, salvator mundi annunciato, prima di porre la parola fine alla crisi è andato a vedere come stanno i poveri cristi che affollano le città e i paesi che sarà chiamato a governare… Spero che il professore trovi il modo per mettere nel suo programma qualche attenzione in più per i poveri e per i disperati.
LUCIANO COSTA