Impossibile dimenticare quei “vecchi” che la notte ha inghiottito; difficile immaginare che la loro morte appartenga soltanto al “caso”; incredibile dover constatare come l’indifferenza e non la “pietas” sia la protagonista del commiato… Eppure, nel grande e bellissimo Duomo di Milano, scelto come sede dei funerali delle vittime dell’incendio divampato nella casa di riposo e come segno della partecipazione della città alla tragedia, mentre la “pietas” esprimeva con la preghiera “la sua fede e la sua speranza di vita nuova”, l’indifferenza mostrava la sua terribile esistenza (la cronaca dice che i banchi affollati erano pochissimi e che la gentenon aveva trovato tempo da dedicare a quei morti) lasciando che intorno, tra le navate, si vedesse soltanto il nulla da lei stessa generato. Era infatti in una Cattedrale semideserta che Milano dava l’ultimo saluto alle sei vittime dell’incendio scoppiato lo scorso 7 luglio nella Rsa “Casa per Coniugi”. C’erano, è vero, i rappresentanti delle istituzioni, a partire dal sindaco Giuseppe Sala, che aveva proclamato il lutto cittadino e ha voluto le esequie in Duomo, ma non c’era la gente che pure aveva pianto le vittime, non c’erano i milanesi “comuni” ma neppure quelli che appena dopo l’incendio avevano gridato allo scandalo. Colpa della pioggia che improvvisamente bagnava la città o colpa dell’indifferenza?
Secondo il sindaco Sala “il Duomo semideserto dimostra ancora una volta come gli ospiti delle nostre Rsa siano soli… Due di loro non avevano nemmeno un parente, altri pochi…”. Così, le bare degli orfani, nel grande Duomo erano collocate vicino al sindaco, perché proprio lui, in quel momento, rappresentava i parenti mancanti. “Non sono pochi – ha commentato il sindaco – gli ospiti delle nostre Rsa che ormai non hanno più parenti. Questo da un lato richiama al nostro dovere di farcene carico e dall’altro è un quadro di quello che la società è diventata. Una volta era molto difficile che un anziano venisse completamente abbandonato, Oggi invece lo è”. Da questa constatazione l’appello del primo cittadino: “Io richiamo la cittadinanza a fare volontariato in queste strutture, dove la solitudine è ancora enorme”. Da parte sua la Chiesa Ambrosiana offriva il suo cordoglio attraverso l’arcivescovo Delpini e i suoi sacerdoti, dando ospitalità a due sacerdoti della Chiesa copta ortodossa.
“Per tutti – ha assicurato il vescovo –, c’è l’abbraccio del Crocifisso, c’è la risposta del Figlio di Dio, dell’Uomo dei dolori,alla domanda che pretende di sapere dove fosse e che cosa volesse il Dio di tutte le consolazioni”. Una domanda che si facevapreghiera… “Ecco dov’ero: ero là a morire con loro, ero là per essere unito a loro nella somiglianza della loro morte. Ecco dov’ero: sono il Crocifisso. Ecco che cosa voglio, ecco qual è la volontà di Dio…”. Difficile comprendere, ma anche impossibile non lasciarsi avvolgere dal mistero. Poi, rivolgendosi alle sei vittime, l’espressione della certezza, quella che invita a dire che “tu non sei una solitudine desolata destinata a svanire senza che alcuno ne senta la mancanza, né sei solo il fascicolo di una pratica che a un certo punto finisce in archivio, una patologia da associare a un medicinale, un posto letto occupato… Perché non è vero che l’unica parola che abbiamo da dire sulla tua città e sulla tua vita è che sia una storia di desolata solitudine… Questa celebrazione, nella sua austera solennità, non è una specie di patetico gesto di risarcimento per una disgrazia troppo incomprensibile. E’ piuttosto l’incontro drammatico tra la pietà commossa e l’impotenza insuperabile della città e la Parola che parla con una autorità troppo più alta e indiscutibile di ogni parola umana».
Al termine del rito, mentre i sei feretri vengono ricondotti in piazza per un’ultima benedizione, tra il commosso applauso dei pochi presenti, un cartello che dice “anziani mai più soli”. Ed è forse dalla forza racchiusa in questo cartello che deve incominciare il nuovo modo di stare dalla parte degli anziani.
LUCIANO COSTA