Raccontare quel che è accaduto cent’anni fa: la marcia su Roma, quella che in tre giorni (26-27-28 ottobre 1922) obbligò la capitale a far posto alle avanguardie fasciste che giungevano da tutta Italia per chiedere al di incaricare il loro capo, Benito Mussolini, di formare il nuovo Governo. Nei libri di storia e nelle enciclopedie, quei giorni vengono definiti “evento eversivo”, un vero e proprio “colpo di Stato” ordito per imporre “l’ordine fascista” e confermare quel che in pratica era già realtà, vale a dire “la presa di potere” da parte del Duce. Vale ancora la pena ricordare? Come hanno detto e dicono i saggi “è necessario ricordare per non dimenticare”, perché solo ricordando è (forse) possibile non commettere gli errori e gli orrori già commessi. Adesso che i testimoni sono andati avanti (dovrebbero avere più di cent’anni, ma si sa che il tempo non regala così tanto tempo ai comuni mortali), di quei giorni restano le cronache che storici e giornalisti hanno raccolto e pubblicato: libri su libri, articoli e saggi, parole e discorsi, riflessioni puntigliose e arrabbiate mischiate a celebrazioni che spingono chi a stendere in alto la mano destra, chi ha imbrattare muri inneggiando a quel che è accaduto e che alcuni (ma forse ben più di alcuni) immaginano riproducibile qui e ora.
Cosa è successo in quei giorni – ma lo riassumo solo a uso di chi non sa o fa finta di non sapere – è presto detto: “L’obiettivo della marcia, capeggiata dai triumviri Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi, era estromettere l’allora capo del governo Luigi Facta e forzare la mano al re Vittorio Emanuele III per indurlo a consegnare il Paese nelle mani di Mussolini, incaricandolo di formare un nuovo governo. La marcia iniziò il 26 ottobre, con Perugia come quartiere generale dell’iniziativa. Da qui i quadrumviri nominati qualche giorno prima da Mussolini coordinavano le operazioni. Il 27 ottobre circa ventimila camicie nere partirono da Santa Marinella, Tivoli, Monterotondo e dal Volturno e, requisendo convogli ferroviari, si diressero verso la capitale, difesa da 28.400 soldati. Alle 6 del mattino del 28 ottobre il governo dichiarò lo stato d’assedio, ma il re (alle 8 e 30) si rifiutò di controfirmarlo e Luigi Facta si dimise: il Paese era senza governo (e fuori controllo). Mentre le camicie nere entravano nella capitale, minacciando di occupare i ministeri, Mussolini fu convocato dal re. Giungerà a Roma il 30 ottobre e solo allora il re gli conferirà ufficialmente l’incarico di formare un nuovo governo di coalizione. Durante il suo discorso di insediamento davanti alla Camera dei deputati (pronunciato il 16 novembre) si presenterà con l’ormai famoso discorso del bivacco, quello che tra l’altro ma drammaticamente diceva: “Avrei potuto fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Così il fascismo diventava la camicia (nera) degli italiani.
Oggi, sollecitati a ricordare (spero con l’intenzione di non ripetere quel che è stato), pur sapendo che “i centenari sono in genere occasioni per operazioni di uso pubblico della storia” sarà il caso di mettere riflessioni al posto di celebrazioni e parole pensate al posto di parole gridate. Se siete abituati a visitare le librerie (luoghi preziosi, almeno fin che avranno la forza di durare sfidando il rifiuto a leggere e ad approfondire di un pubblico distratto e assente) avete la possibilità di scegliere tra diecine di libri e saggi. Se non lo siete, potreste diventare visitatori di librerie e così prenderne visione. Ve l’assicuro, il centenario della marcia su Roma ha prodotto una vera a propria “marcia sulle librerie”. Con saggi storici di lungo periodo e naturalmente ricostruzioni puntuali degli avvenimenti del 28 ottobre 1922, altri di taglio più politologico, monografie sul dissenso a Mussolini, sulle donne pro o contro il regime; inoltre volumi di alta divulgazione giornalistica, e – pur se non legati strettamente all’anniversario – romanzi. “Certo, il tema del fascismo è di quelli che da sempre “tira” in ognuno dei settori appena specificati. Segno, tra le altre cose, di conti con il passato che l’Italia fatica a tirare (en passant ne abbiamo visto un saggio nella discussione pubblica che ha accompagnato la campagna elettorale appena conclusa e i primi passi della nuova maggioranza di centrodestra a guida Fratelli d’Italia)”.
In tutto questo fervore editoriale i giornalisti sono visti come “storici del presente”. Ma spesso vestono i panni dei cronisti del passato. Ezio Mauro dice che “si pensa sempre che la cronaca racconti, con un ruolo gregario rispetto ai fatti. E invece la cronaca rivela, perché i particolari spiegano le grandi scelte e la dinamica delle vicende illumina la scena, anche negli angoli più bui”. Arrabbiato e combattivo è invece il taglio scelto da Aldo Cazzullo per raccontare il “28 ottobre” e insieme l’epopea interpretata da Mussoli. Ed è già nell’incipit il senso dell’intero volume. Scrive infatti Cazzullo: “Cent’anni fa, in questi stessi giorni, la nostra patria cadeva nelle mani di una banda di delinquenti, guidata da un uomo spietato e cattivo. Uomo che ha ancora estimatori per quanto pochi, ma non pochissimi, comunque troppi”. E gli antifascisti? “Molti, ma non moltissimi – scrive Cazzullo -. Poi, a seguire la maggioranza, che crede, o a cui piace credere, in una storia immaginaria, consolatoria, autoassolutoria…”.
Tanti anni fa Angelo, un amico che bazzicava alla scoperta di pubblicità pubblicizzabile su giornali e riviste e che non nascondeva la sua nostalgia per la fiamma tricolore svettante sulle insegne e i manifesti della nostalgia più evidente, a ogni 28 ottobre si prendeva alcuni giorni di vacanza, ufficialmente per riposare, ufficiosamente, così era la mia impressione, per ritrovarsi coi vecchi amici a ricordare “i bei tempi passati”. Invece, scoprii più avanti nel tempo e quando lui aveva già salutato amici e parenti avviandosi al riposo eterno, che quei giorni di vacanza servivano ad Angelo e ad altri tre amici per ritirarsi sulle colline e così tentare di dimenticare quella pagina di storia che pesava come un macigno.
LUCIANO COSTA
Marcia su Roma
Il fenomeno storico
scrivono nella premessa al volume collettaneo da loro curato, Il fascismo nella storia italiana (Donzelli, pagine 404, euro 35,00). Come sosteneva Ernest Renan nell’800 in questi casi le nazioni attuano processi di memoria, ma anche di oblio. « In particolare, il centenario da cui prendiamo spunto non può non chiamare in causa la o le identità degli italiani e quella della loro Repubblica, nata antifascista e oggi impegnata tra mille incertezze, tra memoria e smemo-ratezze, a ridefinirsi».
I saggi che compongono il libro spaziano dai concetti cardine del fascismo: rivoluzione e “uomo nuovo”, fino per via cronologica – a fenomeni come l’estensione della categoria di fascismo a regimi i più disparati. La marcia su Roma, scrive Alberto De Bernardi nel saggio ad essa dedicato, fu «rivoluzione simbolica» che fu l’esito di due processi: «Militarizzazione del fascismo, imperniata sulla forza politica dello squadrismo e fascistizzazione della destra». Luca Falsini in Nelle braccia del Duce, sempre per Donzelli (pagine 238, euro 28,00) esplicita già nel sottotitolo il perimetro della sua ricerca (che non si ferma al 1922, ma all’anno del compimento della dittatura, la legge Acerbo): “Breve storia d’Italia dalla Grande guerra al fascismo (1917-1923)”.
In particolare la guerra del ’15-’18 che «oggi alcuni amano descrivere come momento di unità nazionale» e di patriottismo, invece fu «una guerra divisiva». Prospettiva che assume anche Marco Mondini nel suo Roma 1922 (il Mulino, pagine 288, euro 22,00), portando ad emblema il fatto che al suo arrivo a Piazza Venezia il presidente del Consiglio Benito Mussolini fosse in compagnia di Armando Diaz, duca della Vittoria, e dell’ammiraglio Thaon di Revel ministro della Marina. A seguire l’omaggio al Milite ignoto e la piazza, piena di vedove e reduci, che intona la Canzone del Piave. «Prodotto malsano della logica manichea brutale della guerra totale, i fascisti erano ossessionati dal potere e dalla possibilità di redimere la nazione e di trasformare gli italiani anche a costo di sterminare tutti coloro che non erano con loro». Di qui una mobilitazione, con la promessa di non deporre le armi fino all’instaurazione dell’ordine nuovo, che sconvolse l’Europa.
Gli echi che si ebbero in Francia sono al centro di Mussolini, un homme à nous di Alberto Toscano (Armand Colin, pagine 240, euro 19,90). Giornalista, presidente dell’associazione della stampa europea a Parigi, Toscano ha fatto conoscere Oltralpe le gesta in favore degli ebrei di Gino Bartali. La sua è una disamina della stampa francese di un secolo fa. Nel 1914 giornali e governo sostenevano in funzione anti-tedesca l’esponente socialista massimalista e interventista, tanto che il ministro marxista Jules Guesde lo definì «il nostro uomo». Al suo arrivo al potere otto anni dopo l’atteggiamento non mutò e la stampa francese gli stacco un «assegno in bianco», salvo vederlo presto diventare «l’uomo di qualcun altro».
Donne in marcia e “contromano”
Mussolini ebbe al suo seguito moltissime donne. Aspetto che viene sviscerato in due volumi. Anche qui uno più centrato sulla Marcia su Roma, l’altro in una prospettiva più di lunga durata. Il primo è Fasciste. Donne in marcia verso Roma 1919-1922 di Angelo Piero Cappello (Ianieri, pagine 398, euro 22,00), il secondo Mussolini ha fatto tanto per le donne. Le radici fasciste del maschilismo italiano di Mirella Serri (Longanesi, pagine 274, euro 19,00), titolo che ricorda il Mussolini ha fatto anche cose buone di Francesco Filippi (best seller uscito nel 2019 per Bollati Borighieri). Cappello, dirigente del Centro per il libro e la lettura del ministero della Cultura e consigliere di amministrazione del Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera, ci fornisce un catalogo diviso per anni da San Sepolcro a Fiume, fino alle squadriste e alla marcia delle figure femminili che hanno influenzato il futuro Duce a partire dalle più note (Sarfatti, Balabanoff, Kuliscioff, la moglie Rachele) fino a figure meno in vista.
Serri – italianista e collaboratrice di La Stampa e Rai, che ha al suo attivo numerosi saggi sull’epoca fascista (I redenti, Claretta l’hitleriana, tra gli altri) – legge invece la vicenda sotto la specie del maschilismo. Che nel periodo da San Sepolcro alla marcia fece centinaia di vittime tra le oppositrici (scrive in un capitolo significativamente intitolato «Sotto i tacchi dei marciatori»). Tra le donne che subirono la repressione del regime ci fu una scrittrice, Maria Assunta Volpi Nannipieri, in arte Mura. La scrittrice che sfidò Mussolini (Marsilio, pagine 154 euro 17,00). È il titolo del libro che Marcello Sorgi, già direttore de La Stampa, del Tg1 e del giornale radio Rai, dedica al “caso Mura”. L’allora affermata, ma oggi dimenticata, scrittrice di romanzi rosa, rivale di Liala, venne infatti censurata per un romanzo, Sambadù, amore negro, che paradossalmente ricalcava gli stereotipi razzisti dell’epoca nel raccontare però di un amore tra una donna bianca e un uomo di origini africane. Una vicenda che si ammantò di intrigo per la morte della scrittrice in un incidente aereo sospetto, quasi come un Italo Balbo al femminile.
Il dissenso rosso, bianco e… nero
Al Dissenso al fascismo dedica un ponderoso saggio, che va dall’Aventino alla caduta del regime, il collaudato duo Mario Avagliano-Marco Palmieri (il Mulino, pagine 560, euro 30,00). Al dissenso interno al regime e a quello dell’antifascismo cattolico vanno ascritte le vicende del leader dei fasci campani Aurelio Padovani, raccontate da Gigi Di Fiore in Il gerarca che sfidò Mussolini (Utet, pagine 378, euro 18,00) e del piacentino Francesco Daveri, esponente dell’Azione cattolica e del partito popolare, figura di spicco della Resistenza, attività per la quale fu deportato a Mauthausen dove morì nell’aprile del 1945. A questa figura dedica un documentato romanzo storico Leili Maria Kalamian (L’avvocato di Dio, Le piccole pagine, pagine 218, euro 15,00).
La cronaca della storia e viceversa
Un Golia tra politica e storiografia
Una sintesi felice di alcune correnti storiografico-politiche che già da Togliatti, Gobetti, Croce e molti altri hanno diviso l’analisi del fascismo tra “calata degli Hyksos”, cioè parentesi nella storia d’Italia (Croce) e “autobiografia della nazione” (Gobetti). Fino alla “zona grigia”, concetto introdotto da Renzo De Felice insieme quelli di fascismo come “movimento” e fascismo come “regime totalitario”, per quanto incompiuto. La visione storiografica sul fascismo viene utilmente e sistematicamente analizzata nel volume Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane (Treccani, pagine 438, euro 27,00). Il politologo Gianfranco Pasquino, che cura il volume a più voci, sottolinea come più che alla mancanza di una risposta alla minaccia fascista da parte di uno stato debole, ci sia stata – a spiegare il suo avvento al potere – una «volontà politica» di non reprimerne gli evidenti crimini, diversamente da quanto accadde in altre parti d’Europa.
Federico Fornaro, saggista e politico (è stato di recente rieletto alla Camera nelle liste del Pd in quota Articolo 1), imputa invece l’ascesa del Duce proprio a Il collasso di una democrazia (Bollati Boringhieri, pagine 216, euro 15). Fornaro si concentra in particolare sui limiti dell’azione della sinistra a quel tempo. Ma al saggio storico pospone un “Avviso ai naviganti” rivolto al presente, in cui mette in guardia dal dilagare, non solo in Italia, di antisemitismo, razzismo, antiparlamentarismo e propaganda neofascista via social. Qui si tratta del fatto se il fascismo si possa ripetere.
Ma si poteva anche evitare? È la domanda principe che chiude il saggio di Marcello Flores e Giovanni Gozzini Perché il fascismo è nato in Italia (Laterza, pagine 274, euro 20,00). I due storici analizzano, e mettono in discussione, il ruolo giocato dalla crisi della democrazia ante 1922, dalla guerra, e dall’uso della violenza squadrista. In particolare se essa fosse una risposta al clima insurrezionalista creato dai comunisti. Sul fascismo, inserito nella storia d’Italia fino al 1937, La nave di Teseo ripropone il classico Golia. Marcia del fascismo, scritto negli – e per gli – Usa dall’esule Giuseppe Antonio Borgese e apparso in Italia nel 1946 (introduzione di Francesco Merlo, pagine 662, euro 24,00).
Mussolini romanzato e in “viva voce”
La storia, infine, è da sempre spunto per la finzione letteraria. Per romanzi storici, ma anche per opere, come quella di Scurati, che mescolano la narrazione a estratti, anche graficamente evidenziati, di discorsi, lettere, diari, appunti, brani di giornali. Il tutto a comporre un mosaico letterario che sfugge alle definizioni di genere: M. Gli ultimi giorni dell’Europa (Bompiani, pagine 426, euro 24,00). Il libro segue, nella prevista tetralogia, a Il figlio del secolo e a L’uomo della provvidenza). Al centro non gli esordi, bensì gli anni dal 1938 al 1940, quelli della nefasta alleanza con Hitler, delle leggi razziali e dell’ingresso in guerra. Capitoli narrativi giustapposti in ordine cronologico e dedicati ai vari protagonisti, tutti realmente esistiti, del romanzo. Chi volesse, infine, rileggere gli Scritti e discorsi – dal 1904 alla morte di quello che viene definito «figlio del suo secolo e artefice della propria epoca» – ha a disposizione l’antologia curata da David Bidussa (Einaudi, pagine 694, euro 25,00).
Il merito del merito
Umberto Folena giovedì 27 ottobre 2022
Alla dibattuta e controversa denominazione “Ministero dell’istruzione e del merito” sarebbe forse il caso di aggiungere qualcosa come “delle buone maniere” o “della civiltà”. Vien da pensarlo leggendo (ieri, 26/10) la raffica di orribili notizie di ordinaria violenza provenienti dalle scuole del nord e del sud. “Repubblica”: «Umiliano la prof con pistola e video. “E la classe rideva”». “Giornale”: «Coltelli, spray urticante, pistole ad aria compressa. A scuola lezioni di violenza». Sommario
«Aggressioni e vandalismi da Rovigo a Napoli». “Corriere”: «Proiettili di gomma contro la docente. Il video choc sui social. Rovigo, la prof colpita alla testa. Sospesi tre studenti». Par di capire che il piccolo pistolero, per fortuna, non ha avuto buona mira: la prof ha rischiato di perdere un occhio. “Stampa”: «Spari alla prof e rissa a coltellate. Un altro giorno di follia tra i banchi». Sbalordimento per i fatti, troppi per essere episodici, e anche per certi commenti, come quello della dirigente scolastica napoletana (“Stampa”) sull’accoltellamento: «È un fatto gravissimo, certo, ma sono due bravi ragazzi e siamo sconvolti. Non hanno mai mostrato atteggiamenti violenti». Viene in mente il film di Martin Scorsese, Quei bravi ragazzi, e meno male che sono “bravi”. Fatale la telefonata all’esperto dal quale, per non restare delusi, basta non aspettarsi la formula magica o una verità certa in un terreno dove brancoliamo nel buio. Sulla “Stampa” il pedagogista Fabrizio Manuel Sirignano parla di «gravissima emergenza educativa nazionale che deve essere affrontata con fermezza e urgenza». Denuncia un «malsano “buonismo pedagogico” da parte degli intellettuali e dei genitori, amplificato dai media, che ha allevato generazioni senza valori saldi, con un’idea distorta che la legittima necessità del dialogo a scuola e in famiglia non abbia più regole gerarchiche». Ce n’è per tutti; e anche per cronista e pedagogista, ossia a chi dei due ha sentito il bisogno di usare il verbo “allevare” riferito non a polli e vitelli, ma a giovani della specie umana. Più pacato Luca Bernardo, primario di pediatria al Fatebenefratelli di Milano (“Giornale”): «I ragazzi non sono stati ascoltati, si sono isolati e spesso si sono dissociati dalla realtà. Molti hanno perso il senso del limite». Il ministro prenda nota. © riproduzione riservata