Prima di ragionare, o anche soltanto di parlare, della Giornata dedicata ai poveri (istituita da papa Francesco cinque anni fa a conclusione dell’Anno della Misericordia, sarà celebrata il 4 novembre prossimo) di cui proprio ieri è stato annunciato il tema che la caratterizzerà, è forse il caso di chiarire cosa si intende per poveri e per povertà. Secondo la definizione dell’ONU, enunciata dal primo obiettivo di sviluppo del millennio, è povero chi vive con un reddito giornaliero inferiore a un dollaro. Nello stesso paragrafo la povertà viene definita in termini assoluti o relativi: la povertà assoluta equivale alla mancanza di denaro necessario a soddisfare i bisogni primari (cibo, vestiti, abitazioni…) ma non tiene conto della qualità della vita o delle ineguaglianze sociali; la povertà relativa definisce i poveri di una società, o di un determinato paese, in relazione allo stato economico degli altri membri della medesima società. Povertà assoluta e povertà relativa determinano l’esclusione sociale, fenomeno che sta emergendo sempre più come un importante indicatore, insieme a quello del reddito e dei bisogni primari da soddisfare. Quindi, la povertà non è solo il metro della distanza del povero nei confronti del ricco, non misura solo la frattura tra prodotti interni lordi (PIL), non è solo un parallelo che separa geograficamente il Nord dal Sud, ma riguarda anche il lavoro (in prevalenza quello non dignitoso e scarsamente retribuito, che riduce e a volte annienta i consumi e non consente l’esercizio dei diritti) e rivela le debolezze della nostra umanità, separa le persone, ostacola le relazioni e genera indifferenza, disprezzo, sopruso.
Poveri e povertà sono dunque concetti inventati e attualizzati per segnare precisi confini tra persone che dovrebbero essere uguali ma che smettono di esserlo nel momento in cui viene meno il loro essere e, invece, diventa preminente il loro avere. Due bambini giocano e si divertono senza problemi fino a quando la campanella li divide rimandandoli ciascuno nel loro ambito: Giovannino nella bella casa, con giochi in quantità e un posto tutto suo per fare i compiti e aspettare il giorno che verrà; Mariolino nell’appartamento popolare sovraffollato (genitori, fratelli e poi i nonni…) dove trovare un posto per fare i compiti è davvero complicato se non quasi impossibile. Uno è considerato ricco, l’altro povero. La differente collocazione è stabilita dalla società, ma loro sono semplicemente amici, uguali e felici di giocare insieme. Poi, cresceranno le differenze: allora, chi spiegherà ai due amici che il mondo non è così uguale a come loro l’hanno sognato?
Nel Messaggio per la V Giornata mondiale dei poveri, diffuso ieri, papa Francesco, proponendo un diverso approccio alla povertà dice che “se i poveri sono messi ai margini, come se fossero colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare”. Il titolo del Messaggio – “i poveri li avete sempre con voi” – è di quelli che non possono lasciare indifferenti. Implica infatti che si ragioni sulla correttezza dello status che divide poveri e non poveri, che si rifletta con coraggio su povertà e ricchezza, che si definisca quando è, o non è, una colpa essere poveri o ricchi. Al villaggio San Pietro, quattro case di paglia in riva al fiume diretto all’oceano nel nord-est del Brasile, nessuno era povero perché nessuno era ricco: quello che veniva pescato era di tutti e di niente altro si alimentavano i giorni vissuti in quell’angolo in cui tutti erano uguali. Poi, quando da fuori giunsero le immagini di un modo diverso di essere felici, tutto cambiò. Lo stesso villaggio cambiò volto diventando un insieme di capanne, una separata dall’altra, tutte disadorne, tutte in attesa di qualcosa che servisse ad acquietare la fame. Questo accadeva trent’anni fa. Oggi nessuno sa se quelle quattro capanne esistono ancora. Tutto perché dei poveri e della povertà è facile dimenticarsi.
Poveri e povertà, invece, sono una condizione sociale che chiede un cambio di mentalità, di non considerare più i bisognosi come persone separate, destinatari di un particolare servizio caritativo, ma da coinvolgere nel segno della condivisione e della partecipazione. “Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze effimere, di potere mondano e di vanagloria – ha spiegato ieri il Papa –, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore; si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo”. L’esatto contrario della logica del profitto che condiziona le società di oggi, nelle quali «sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie. A rischio è la stabilità stesse delle nostre democrazie, il loro fondamento. La povertà infatti “non è frutto del destino ma conseguenza dell’egoismo”. Paradossalmente, ma neppure tanto, ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”, se solo, ammonisce il papa “si incontrassero e si conoscessero!”. La qual cosa diverrebbe possibile impegnandosi tutti a stabilire rapporti umani corretti e paritari, base necessaria per restituire la dignità a chi rischia di perderla. Come diceva don Primo Mazzolari “i poveri non si contano, si abbracciano”. Valeva ieri, vale anche adesso.
LUCIANO COSTA