Difficile accorgersi di qualcosa che sta fuori dal proprio ambito. A volte, se quel qualcosa è proprio messo lì di traverso, si sbatte contro, si impreca alla malasorte e, fatti rapidamente i conti dei danni subiti, si passa oltre perché in fondo prevale la convinzione del “tocca ad altri intervenire”. Uno di questi qualcosa improvvisi e urticanti è visibile nel mucchio indefinito di umanità disperata e derelitta, gente che l’etichetta di straniero-terzomondista-profugo-irregolare se la porta appiccicata addosso. A tre del mucchio, qualche giorno fa, ho faticato a spiegare che la strada del vaccino non passa dal pronto soccorso di questo o quell’ospedale, ma dagli uffici del servizio sanitario nazionale, solitamente burocratici e quindi frenati sia nello spiegare, sia nell’indirizzare chi non appartiene al sistema – e quelli del mucchio sono fuori dal sistema – verso qualcuno in grado di accoglierli e curarli. I tre mi hanno detto che le avevano provate tutte, ma che erano al punto di partenza, cioè fermi con la paura addosso e il vaccino bel oltre la siepe. Ho chiesto allora all’amico presidente di una struttura ospedaliera di spiegarmi la prassi. Ha allargato le braccia e mi ha risposto che senza tessera sanitaria l’unica possibilità di trovare vaccini e cura è “andare sotto i portici di san Pietro e lì aspettare la provvidenza del Papa”, che sembra una battuta ma che invece è lo specchio della realtà. “Tutto quel che possiamo fare come struttura non pubblica sebbene collegata al servizio pubblico – ha aggiunto -, è dare una mano per accedere senza intoppi e ticket alle analisi e alle cure immediate”. E questo, ho scoperto, avviene grazie alle donazioni spontanee che persone anonime puntualmente mettono a disposizione della struttura.
È successo a una donna peruviana di 38 anni che da 15 vive in Italia con marito e due figli piccoli. La donna vive in una casa al limite della decenza, affittata, ma senza contratto, si occupa di pulizie e da tempo attende un alloggio popolare dignitoso. Suo marito è stato ricoverato dieci giorni per Covid mentre il rinnovo del permesso di soggiorno si arenava in Questura. “I dottori – ha raccontato la donna – mi hanno detto che senza il medico di famiglia il trattamento costava mille euro al giorno. Ma 10mila euro io dove li prendo?”. Qualcuno si è preso a cuore la questione ed è riuscito a ottenere il tesserino per “Stranieri Temporaneamente Presenti (STP)” che ha permesso al marito di essere curato in ospedale. Purtroppo, ancora adesso, aspetta di essere registrato all’anagrafe come “senza dimora”.
È successo – e continua a succedere – a chi vive senza residenza, condizione che crea problemi enormi ad un numero molto alto di stranieri e di italiani. Come a quel giovane senegalese che rientrato in Italia dopo un soggiorno in patria, ha trovato sprangata la casa dove abitava da cinque anni. Il proprietario si è giustificato dicendo che il giovane non pagava l’affitto. Il giovane ha risposto che era falso dato che lui l’affitto lo pagava anche se non poteva dimostrarlo perché le ricevute del pagamento il proprietario non le ha mai rilasciate. L’avvocato incaricato di fare un esposto ha ricevuto dai carabinieri l’avvertenza che non essendoci un contratto d’affitto non c’è proprio nulla da fare. Non è normale, anzi è illegale, ma spesso, come denunciano le associazioni che volontariamente si occupano di stranieri irregolari “i proprietari non fanno il contratto per non pagare le tasse. O prendi o lasci. Tanto troveranno sempre qualcuno. I ragazzi sono costretti a dichiarare la residenza dove non vivono, o la comprano da intermediari italiani o stranieri”. Niente residenza, niente diritti.
È questa la realtà drammatica – diffusa ma poco nota – di decine di migliaia di persone attualmente in Italia sebbene con la veste di irregolari che li rende invisibili. Infatti “solo chi è iscritto nei registri anagrafici è visibile dal punto di vista amministrativo e, quindi, è parte della popolazione per la quale le istituzioni pensano le politiche e erogano la spesa sociale”. Fantasmi, dunque. Niente medico, niente ospedale, niente vaccini. Niente riduzioni per la mensa scolastica e i bonus libri per i figli. Niente reddito di cittadinanza, pensato proprio per i più fragili. Niente assistenza sociale né rinnovo del permesso di soggiorno. Se italiani, neanche il diritto di voto. Quanti sono? Oltre 300mila solo gli stranieri…
Secondo l’organizzazione ActionAid, che ha condotto un sondaggio su 23 associazioni impegnate nella tutela dei diritti di migranti e senza dimora, nel 48% dei casi sono gli stranieri i più colpiti “perché vivono spesso in alloggi ritenuti – illegittimamente – non idonei per l’iscrizione anagrafica: appartamenti o stanze in affitto non registrato, case con molte persone, baracche”. In molti uffici anagrafici poi il personale non è adeguatamente formato, sulla normativa e sul dialogo interculturale.
Ma perché si viene esclusi dall’anagrafe? L’articolo 43 del Codice civile stabilisce che “la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Dunque, non dovrebbe essere di ostacolo alla iscrizione anagrafica la natura dell’alloggio, anche se si tratta di un fabbricato privo di licenza di abitabilità, una grotta, una roulotte. Né la presenza o meno di un contratto regolare. Ma anche l’iscrizione fittizia all’anagrafe, dichiarandosi senza dimora, è difficile e umiliante. Serve infatti un colloquio con i servizi sociali incaricati. E i tempi sono lunghissimi. Di conseguenza, dicono le organizzazioni assistenziali dei volontari “diventa inevitabile il ricordo al mercato delle residenze, unica via per chi non ha altra scelta che acquistare la possibilità di essere registrati dove non si vive”.
Come sia possibile uscire da questa situazione nessuno lo sa. O forse, come mi ha spiegato l’amico presidente della struttura ospedaliera, ai poveri cristi non resta che andare “sotto i portici di san Pietro e aspettare la provvidenza del Papa”. A quando, presidente Draghi, un decreto che ponga fine a queste orrende storture?
LUCIANO COSTA