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Per comprendere il valore di ciò che papa Francesco ha racchiuso nel Motu Proprio Spiritus Domini, reso pubblico ieri, con cui il Pontefice esplicita la sua volontà, è necessario evitare di compiacersi dei titoli, dei sommari e dei riassunti offerti in maniera estemporanea da giornali e televisioni. La fretta di dire e la brevità imposta dallo spazio ha infatti aggrovigliato piuttosto che semplificato e aiutato la comprensione. Bastava dire che il nuovo documento confermava i precedenti e semmai li illuminava di luce nuova. Invece, qualcuno ha addirittura parlato di “rivoluzione” e altri hanno gridato che “finalmente la Chiesa apre le porte alle donne”, dimenticando la grande lezione contenuta nel Concilio Vaticano II. Senza altra pretesa se non quella di contribuire a offrire una chiara e comprensiva lettura di ciò che papa Francesco ha racchiuso nel suo Motu Proprio, pubblichiamo quanto scritto dal professor Angelo Lameri, docente alla Pontificia università Lateranense.

Chi scorresse con una rapida e superficiale lettura il Motu Proprio Spiritus Domini, con il quale Papa Francesco modifica il can 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico, quasi non si accorgerebbe del cambiamento introdotto e soprattutto delle ripercussioni che avrà nella vita della Chiesa nell’ambito dei ministeri liturgici. Nel disposto del canone viene infatti semplicemente tolta la parola iniziale Viri [Le persone di sesso maschile]. La nuova formulazione recita dunque: «I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto della Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti». Questo comporta che i due ministeri istituiti sono ora aperti a ogni laico, uomo o donna. Cade quindi l’esclusiva riserva agli uomini dei sopra citati ministeri ecclesiali.

La decisione di Papa Francesco si pone dunque nella linea di un armonico sviluppo con il magistero dei suoi predecessori san Paolo VI e san Giovanni Paolo II. Il primo, nel Motu Proprio Ministeria quaedam (15 agosto 1972), aveva rinnovato la disciplina riguardante gli ordini minori distinguendo gli uffici propri dell’Ordine sacro da altri ministeri ecclesiali, anche di carattere liturgico. L’espressione ordini minori viene infatti sostituita da ministeri e per il loro conferimento non si utilizzerà più il termine ordinazione, ma istituzione. Infine si afferma che i ministri istituiti non sono e non devono essere ritenuti chierici, ma laici a tutti gli effetti. Si entra nello stato clericale solo con il diaconato. In questo modo, scrive san Paolo VI «risalterà anche meglio la distinzione fra chierici e laici, fra ciò che è proprio e riservato ai chierici e ciò che può essere affidato ai fedeli laici; così apparirà più chiaramente il loro vicendevole rapporto, in quanto il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo».

Nella linea di san Paolo VI si pone san Giovanni Paolo II, soprattutto nell’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988). In essa infatti leggiamo: «La missione salvifica della Chiesa nel mondo è stata attuata non solo dai ministri in virtù del sacramento dell’Ordine, ma anche da tutti i fedeli laici: questi, infatti, in virtù della loro condizione battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo. I pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Confermazione, nonché, per molti di loro, nel Matrimonio».

Al tempo stesso si ribadisce che l’unità di missione della Chiesa, alla quale partecipano tutti i battezzati, non deve ignorare «l’essenziale diversità di ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell’Ordine, rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione». Proprio per questo «i vari ministeri, uffici e funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro specifica vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri».

Con il Motu Proprio Spiritus Domini, Papa Francesco porta dunque a maturazione un processo avviato nel 1972 da san Paolo VI. Sarebbe fuorviante ridurre la nuova disciplina introdotta a mera “promozione” della donna, della quale la Chiesa deve sempre più riconoscere il ruolo anche nei luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, o come una prima apertura alla sua ammissione al presbiterato, per la quale vi è già stato un pronunciamento magisteriale di carattere definitivo, o al diaconato, ancora oggetto di studio di un’apposita Commissione. Si tratta propriamente di un riconoscimento del laicato e del suo ruolo nella Chiesa. Il ministero del lettore infatti non si esercita solo nella proclamazione di alcune parti non evangeliche della celebrazione, ma anche nell’annuncio della parola di Dio perché germogli e fruttifichi nel cuore degli uomini. L’accolito non è istituito solo per il servizio all’altare, ma anche per testimoniare un sincero amore per il corpo mistico di Cristo e specialmente per i deboli e i malati.

ANGELO LAMERI

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