Due eventi in contemporanea hanno segnato il 23° giorno della guerra in Ucraina. Mentre i bombardamenti, seppure meno martellanti non si fermavano, a metà giornata, ora italiana, il presidente russo ha rivolto un aggressivo e controverso discorso in mondovisione e i suoi omologhi americano e cinese si sono parlati per due ore in video-conferenza. Le sorti del conflitto sono legate a questi snodi politici e diplomatici. Sul palco allestito al centro di uno stadio riempito a forza e obbligato a ubbidire a una sceneggiatura pensata per impressionare e turbare, Vladimir Putin ha cercato di mostrarsi il potente inattaccabile – uno zar senza rivali -, ma agli occhi del mondo che osservava è apparso il goffo interprete di una tragedia di cui ostinatamente lui ignora la portata. Muovendosi in circolo, alla maniera del rocchettaro alla moda, Vladimir mostrava muscoli afflosciati, lanciava sguardi pieni di dubbi, pronunciava parole imparate a memoria e gridate alla folla perché intendesse di che pasta era fatto chi le pronunciava, rincorreva le telecamere disseminate intorno, evitava pause, gettava nella mischia la peggior retorica, voleva essere il potente Putin di sempre ma in realtà era solo il folle che gonfiando il petto voleva incutere terrore alle rane che lo stavano osservando. Vladimir Putin, alla maniera di personaggi che la storia ha già bollato d’ignominia, su quel palco eretto al centro dello stadio, che tutto poteva essere meno che un proscenio degno di ospitare grandi interpreti, esibiva la peggior retorica bellicista nel celebrare gli otto anni dall’annessione della Crimea e nel riaffermare la volontà di portare a compimento l’operazione speciale in Ucraina. Gonfio in volto, come già sottolineato da molti analisti che parlano di terapie in corso, il leader del Cremlino ha giustificato l’invasione del Paese confinante con un presunto genocidio in corso nel Donbass, che andava interrotto. Ha poi scaldato gli animi delle migliaia di sostenitori entusiasti nello stadio Luzhniki di Mosca con le citazioni del Vangelo di Giovanni e di un santo combattente ortodosso guadagnandosi i severi giudizi del mondo cattolico, a cui la palese strumentalizzazione della religione usata per sostenere attacchi ai civili con armi proibite era peccato mortale.
Vladimir parlava, la gente applaudiva a comando, i commentatori collegati stupivano e comunicavano l’amaro stupore… Poi, anche quell’imprevisto che suscitava risate e circondava l’evento di dubbi. Infatti, all’improvviso, in quell’apparato studiato a memoria, qualcosa si è inceppato. Così il discorso di Putin è stato tagliato nella parte finale della tv di Stato, alimentando una ridda di ipotesi. Non era in diretta? Il presidente non era allo stadio? E’ successo qualcosa che ha consigliato di spostare le telecamere sui canti nazionalisti? “In ogni caso – ha detto un cronista -, questo è un giallo che non aumenta la percezione di forza ed efficienza degli apparati russi, semmai la ridicolizza”. Proprio come sta avvenendo sul terreno, dove sembrano crescere i segnali di una difficoltà a continuare l’offensiva. Addirittura, i portavoce del governo di Kiev si arrischiano a dire, in un comunicato dal forte sapore propagandistico, che l’esercito invasore non è più in grado, nemmeno con rinforzi, di proseguire l’offensiva contro le principali città assediate e che presto gli abitanti fuggiti potranno rientrare nella capitale.
Oltre la sceneggiata allestita allo stadio, nel giorno in cui l’Onu lanciava l’allarme per i rifornimenti di cibo al Paese e in varie località si contano ancora morti in varie località, è chiaro che da ciascuna parte si cerca ora di vincere soprattutto sul fronte mediatico, per arrivare a una trattativa che sia la più vantaggiosa rispetto alle conquiste sul campo. In questo senso, c’è da registrare con sollievo che sotto le macerie del teatro di Mariupol non sono rimaste vittime. Quella che era stata denunciata come l’azione più grave contro la popolazione potrebbe rivelarsi un piccolo boomerang per le capacità comunicative dei vertici di Kiev, che per due giorni sono stati evasivi sul reale bilancio dell’attacco. L’azione russa resta comunque vigliacca, dato che la struttura era chiaramente indicata come occupata da non belligeranti.
Se Putin ha davvero pochi giorni per guadagnare qualche successo sul terreno prima di vedersi dire dai suoi stessi generali che le risorse militari sono agli sgoccioli (ma possono esserci ancora dubbi su una Russia così impreparata al conflitto che pianificava da tempo), dal colloquio tra Joe Biden e Xi Jinping è uscito un altro colpo alle certezze in via di sgretolamento del Cremlino. Il presidente cinese non si è sbilanciato nel condannare la guerra di Mosca (ha invece criticato le sanzioni occidentali). Ha però espresso un chiaro invito alla pace e alle trattative globali, includendo anche Usa e Nato, per una tregua e un mantenimento dell’equilibrio planetario. Le due superpotenze, ha detto Xi dopo che Biden l’aveva invitato a stare “dalla parte giusta” della storia, devono essere garanti dell’ordine pacifico e non fare crescere la tensione né tra loro né su altri fronti.
A questo punto ci si può aspettare qualche forma riservata di persuasione cinese nei confronti di Putin per farlo sedere a un tavolo con la determinazione a trovare un accordo. Non sarà comunque facile, perché l’uomo forte del Cremlino è ormai per molti “il criminale” che “ha commesso violazioni del diritto internazionale”, come il presidente americano ha più volte ripetuto. Questo ne fa un leader “zoppo” e forse anche tentato di alzare la posta, dato che non ha più nulla da perdere. Non per caso si è riparlato della tentazione dell’uso di armi nucleari che potrebbe riemergere a Mosca. Le voci di un avvicinamento sui punti chiave del negoziato – neutralità e disarmo dell’Ucraina, questioni Crimea, Donbass e uso del russo – fanno sperare in una svolta non così lontana. Ma tutti gli eventi della ventitreesima giornata di guerra devono ancora incastrarsi nel migliore dei modi perché si possa vedere la luce in fondo al nero tunnel di morte e distruzione.
- V.