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Putin condannato… ma chi se ne frega!

Neppure la Pasqua Ortodossa, celebrata ieri in Ucraina, Russia e dove si vive quella fede, ha fermato la guerra che da 420 giorni insanguina l’Ucraina. Bombe e missili ovunque, civili inermi vittime della barbarie, chiese distrutte, nessuna parola di pace se non quella annunciata e proclamata ai fedeli riuniti per la festa più solenne. La Russia di Putin è sorda a ogni appello di pace, rifiuta la tregua, aumenta il suo potenziale distruttivo e lo riversa sulla terra ucraina. Il mondo osserva sgomento, parla di pace ma non c’è unanime volontà di imporla… Imporla, proprio così. Perché a questo punto solo imponendola, cioè proclamandola barriera invalicabile, è possibile renderla attiva. Tacciano le armi: lo dicano tutte le nazioni. E allora Putin e chi lo sostiene non potranno più continuare a restare sordi, lontani da una realtà che invece vuole la pace e non la guerra.

Tropo facile? Certo, ma la pace è facile indolore benigna buona e basta volerla per renderla parte del vissuto quotidiano. Poi ci sono i “putin”, che se ne fregano della pace e di chi la chiede e la cerca, che hanno un‘idea strana del potere, che sono semplicemente “dittatori” cioè negatori del diritto alla pace, alla libertà e alla democrazia. E questi “putin” dettano le azioni della guerra. Uno di loro – Putin, folle zar – condannato dal tribunale della storia e da quello internazionale degli uomini liberi, non intende ragione, se ne frega della condanna e del mandato di cattura emesso nei suoi confronti, vive libero nei suoi palazzi, tra lusso e benessere garantiti da guardie ossequienti e consiglieri succubi al suo volere.

Infatti, il mandato di cattura emesso contro Vladimir Putin, che pure esiste e dovrebbe essere eseguito, è un mistero. La Corte penale internazionale lo ha firmato il 17 marzo, ma neanche l’Interpol ha mai ricevuto l’ordine di dargli la caccia. E nessuna task force è stata incaricata di tenersi pronta a catturarlo. «Non è stata recapitata alcuna richiesta dalla Corte penale internazionale», ha nuovamente risposto l’Organizzazione internazionale di Polizia Criminale (Interpol). Già il 19 marzo, pochi giorni dopo che la Corte dell’Aja aveva ufficializzato il mandato di cattura per il presidente russo e la sua referente per i diritti dell’Infanzia, Maria Lvova-Belova, l’Interpol aveva spiegato di non aver ricevuto la richiesta di cooperazione. E dall’Aja non arrivano chiarimenti. Le uniche informazioni filtrate vengono protette dall’indicazione «restricted». Davanti alle insistenze (soprattutto nel quotidiano Avvenire, coraggioso nel denunciare e nel chiedere verità e pace) e dopo un consulto interno, un portavoce ha reagito con un nuovo messaggio «riservato». Cinque parole: «Non possiamo commentare questo procedimento».

A un mese dall’annuncio con il quale i giudici hanno dato il via libera alla richiesta del procuratore Karim Khan, restano molte incognite. Putin è accusato per crimini di guerra a danno dei bambini ucraini trasferiti in Russia, in alcuni casi con vere deportazioni, dove poi sono stati dati in adozione violando il diritto internazionale che vieta, fra l’altro, il cambio della nazionalità fino a quando non siano state messe in campo tutte le possibili iniziative per rintracciare le famiglie d’origine e le istituzioni del Paese di provenienza. Tuttavia Vladimir Putin e Llova-Belova potrebbero viaggiare pressoché privi di intralci. Ad agosto il leader russo è persino atteso a un vertice in Sudafrica, Paese che riconosce la Corte insieme ad altri 122 Stati, dove potrebbe però arrivare a piede libero per tornarsene a Mosca altrettanto indisturbato.

Dall’organizzazione intergovernativa di polizia si limitano a ribadire che qualora venisse trasmesso al quartier generale di Lione un mandato di cattura, questo verrà esaminato «da una task force specializzata per verificarne la conformità allo statuto e al regolamento di Interpol». Un portavoce ha spiegato che «un Paese membro, una corte internazionale o un tribunale internazionale possono richiedere una ‘red notice’ sulla base di un mandato d’arresto o di un ordine del tribunale».

La ‘red notice’ non è un mandato d’arresto, ma una richiesta alle forze dell’ordine di tutto il mondo di localizzare e fermare provvisoriamente una persona, in attesa dell’estradizione verso il tribunale che ne ha fatto richiesta. Ma nel registro pubblico continuano a non esserci Putin e Lvova-Belova.

L’archivio dell’Interpol contiene sette nomi di ricercati su ordine della Corte penale internazionale. Si tratta di due alti funzionari russi e di un georgiano del governo collaborazionista, accusati di gravi crimini di guerra commessi nel 2008, durante il conflitto che portò la Russia a invadere la Georgia con il pretesto, anche qui, di tutelare l’autodeterminazione delle popolazioni transcaucasiche della Abkhazia e dell’Ossezia del sud. A questi si aggiungono due ricercati per crimini di guerra in Sudan e Saif al-Islam Gheddafi, figlio del colonnello libico ritenuto complice dei crimini di guerra e contro i diritti umani commessi all’epoca del regime retto dal padre.

Piotr Hofmaski, presidente della Corte penale internazionale, riguardo a Putin aveva spiegato che vi sono «fondati motivi per ritenere che ciascun sospettato sia responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione e di trasferimento illegale di popolazione dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa, in pregiudizio dei bambini ucraini».

L’unica certezza, ad oggi, è che Putin e Llova-Belova sono accusati di questi crimini. Ma per sperare di avere giustizia non basta. Secondo il diritto internazionale il processo si potrà svolgere esclusivamente alla presenza degli imputati. Che ancora non sono ricercati.

(A cura di LUCIANO COSTA)

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