L’Ucraina è allo stremo, la Russia non intende ragioni, il mondo guarda sgomento allo scempio. Che fare? La domanda è sulla bocca di tutti e segue quell’altra, che chiede: “Quando finirà?”. La cronaca di ieri è un susseguirsi di bombe e cannonate sparate sul popolo ucraino dall’armata russa al soldo del folle Putin. Oggi di nuovo qualcuno tenterà di dare al negoziato tra Ucraina e Russia, ufficialmente in corso ma praticamente inesistente, quella spinta necessaria a farlo decollare. Domani, o vgià stasera, si dovrà prendere atto che le distanze restano incolmabili. Così, quel commentatore che ieri ha proposto come riflessione non il peso dei morti e degli sfollati ma la capacità di resistere del popolo ucraino, ha di fatto messo in chiaro che “non c’è pace possibile se si lascia spazio a qualcuno che vuole soltanto fare la guerra”. Allora l’auspicio è che Unione Europea, Nato, Usa e restanti potenze democratiche impongano a Putin di smetterla, di ritirarsi, di lasciare che i popoli scelgano con chi stare. Si tratterebbe di ritornare alla Politica, magari per usarla come metodo di confronto e di incontro. E’ una piccola speranza, piccola ma reale. Ne ho trovato traccia stanotte leggendo quel che Dorella Cianci ha scritto per “Agorà” prendendo spunto da una pagina di venti anni fa in cui si raccontava come una maestra di Afragola aveva discusso con i suoi bambini il tema della guerra e della pace servendosi dei testi di grandi autori. Le domande e le risposte emerse allora sono le stesse di oggi. Leggere per credere.
LUCIANO COSTA
Le favole dei bimbi come lezione per i grandi
Maria Montessori ci ha insegnato che la politica può solo evitare le guerre, ottenere che i conflitti tra i popoli si risolvano attraverso negoziati piuttosto che attraverso la violenza, ma non può costruire la pace. La pace è dunque un complesso problema pedagogico, un tema da affrontare, spesso, a scuola non legandola solo all’ultima ora. Un giorno del 2003, in una classe di Afragola, in provincia di Napoli, nell’Istituto comprensivo chiamato proprio “Europa Unita”, una maestra lesse ai bambini alcuni testi sulla pace e sulla guerra, iniziando da Brecht e finendo con il maestro Lodi.
Scelse innanzitutto questi pochi versi del grande drammaturgo tedesco: “Generale, il tuo bombardiere è potente / spiana un bosco e sfracella cento uomini / ma ha un difetto: ha bisogno di un carrista”. A quelle parole, Francesco, di dieci anni, disse: “La guerra la fanno solo gli uomini” e Arianna: “Le armi senza le persone non sanno sparare”. Intervenne poi Delia, della stessa classe, dicendo ai suoi compagni: “Gli uomini costruiscono le armi proprio con l’intenzione di uccidere”. In quel momento, la maestra, Pina Montesarchio, che ora non c’è più, chiese a uno dei suoi alunni di portarle sulla cattedra un “etto di pace”, di stringerlo bene fra le mani altrimenti va a terra e si rompe. I bambini ridono divertiti e l’insegnante: “Ma se la pace non è un oggetto che si può portare via in una mano, allora cos’è?”.
La domanda, di grande attualità in queste ore, discussa già dai presocratici a Kant, riporta alla mente una scena di una volontaria ungherese, Edith, sul confine ucraino, che legge Rodari in russo ai bambini (russofoni) scappati, con le loro madri e nonne, dalla aree costiere del Mar Nero. La scelta non è casuale, perché, come ben noto, la grande popolarità di Gianni Rodari sembra geograficamente sconfinata e non ci stupisce ritrovarlo qui, dinanzi a scene di guerra e di fuga dall’Ucraina. Importante, per inciso, ricordare che il suo primo grande successo, all’estero, fu proprio nei paesi dell’Unione Sovietica, che vivevano l’illusione dell’uguaglianza e della pace. Negli anni ’60, il suo noto personaggio, Cipollino, era più famoso, in Russia, di Topolino. A Est le sue prime traduzioni risalgono al ‘53, quando i libri furono pubblicati in Bulgaria, e, poco dopo, nell’Unione Sovietica.
Torniamo a quella classe di Afragola. La maestra lesse una filastrocca che finiva dicendo: “Ci sono cose da non fare mai / né di giorno né di notte, né per mare né per terra/ ad esempio, la guerra”. La maestra Pina prese poi un altro libro, I ragazzi della via Pal, raccontando che qui i ragazzini si fingono componenti di un esercito, in cui l’unico soldato semplice, l’ultimo “in grado”, è anche il più piccolo anagraficamente. Nemecsek, questo il suo nome, è un ragazzo piccolo, biondo, esile e ubbidiente, che nutre moltissima ammirazione nei confronti di Boka, considerato, nel gruppo, al pari di un generale. Nemecsek svolge ogni compito gli venga assegnato dai ragazzi più grandi, nella speranza di poter salire di livello nella gerarchia del gruppo. “Un elogio della guerra, secondo voi?”, chiese la maestra ai suoi bambini? “O un fraintendimento della storia?”
La Montesarchio, con quella domanda, posta in maniera semplice alla classe dinanzi al difficile tema della guerra, intendeva dire che il Novecento ha espulso erroneamente questo romanzo, che invece aveva l’intento di raccontare il tramonto di una grandezza e l’alba di una follia. Molnar, spesso proposto come facile lettura per ragazzi, ha tentato di descrivere, quasi come in un gioco di strada, quello che un gioco non è: la guerra. Ha descritto anche un’Europa devastata fra le due guerre, mentre stava per esplodere la doppia dittatura del nazismo e del comunismo. Si consumava, in quegli stessi giorni, l’orrore antisemita e Molnar, come sappiamo, era un autore ebreo.
E poi fra le letture di quella mattina del 2003, arrivò Mario Lodi, amico e collega della maestra Montesarchio. Lesse un passo della Costituzione e i bambini. “I bambini di oggi non sembrano molto diversi da quelli di un tempo […] I bambini di oggi hanno ancora voglia di giocare, necessità di affetto, anche fantasia. Ma c’è una cosa che essi sanno e si portano dentro, che i loro genitori e i loro nonni, quando erano bambini, non avevano e non sapevano. Una cosa triste come un’ombra: essi sanno che l’uomo, con la sua intelligenza, ha inventato una quantità di macchine utili, ma nello stesso tempo ha prodotto armi che possono distruggere la vita sul pianeta. Essi sanno che il mondo è diviso e che su ogni parte stanno puntati missili pronti a partire, carichi di bombe. Sanno che in pochi minuti la terra può essere distrutta e gli uomini morire. E loro, i bambini, non avere il diritto di vivere la loro vita”.
Andrea aggiunse a quella lettura una sua riflessione: “Maestra, questo è il paradosso della pace e della guerra. Non possono vivere insieme, perché il giorno in cui la guerra arriva, la pace muore. Non si sopportano proprio”.
DORELLA CIANCI