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Quando la realtà sembra un pesce d’aprile…

È ACCADUTO ALL’ONU – «È uno scherzo, vero?», aveva scritto su Twitter il capo della diplomazia ucraina Dmytro Kuleba. Perché la prima cosa che si poteva pensare è che quello fosse il classico “pesce d’aprile”, vista la macroscopica contraddizione fra il compito principale del Consiglio di sicurezza dell’Onu – affrontare le grandi questioni legate alla pace e alla sicurezza internazionale, come i conflitti armati, il terrorismo, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, i crimini di guerra e la tutela dei diritti umani – e il fatto che fosse la Russia a presiederlo. Ma non si trattava di un pesce d’aprile, bensì di un (previsto) avvicendamento. Ragion per cui, toccherà al ministro degli Esteri di Mosca, Sergeij Lavrov, guidare il Consiglio, nonostante, come afferma l’Ucraina invasa dalla Russia “la Russia stia conducendo una guerra coloniale e il suo presidente sia un criminale di guerra ricercato dalla Corte penale internazionale per rapimento di minori”.

Fin qui l’ovvia reazione di una nazione aggredita dal febbraio dello scorso anno e trascinata in una guerra sempre più sanguinosa e, a oggi, senza reali prospettive di un negoziato di pace. Il quesito, tuttavia, se non sul piano etico, almeno su quello pratico permane: com’è possibile che la Russia – un Paese che se ne infischia dei Trattati da essa stessa sottoscritti – possa assumere un simile incarico con il consenso degli altri membri permanenti, ovvero la Cina, la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti d’America?

La risposta la conosciamo da sempre, almeno per ciò che concerne l’architettura dell’Onu, organizzazione nata e istituita all’indomani del secondo conflitto mondiale da un gruppo di nazioni cosiddette “vincitrici”, ciascuna con diritto di veto. Quel diritto che di fatto ha paralizzato gran parte delle deliberazioni del Consiglio e impedito la soluzione di controversie di cruciale importanza. La Russia stessa, quanto a utilizzo del veto, brilla per il disinvolto uso che ne fa: negli ultimi dieci anni lo ha adoperato ventiquattro volte, ma Mosca brillava per il suo dinamismo già prima dell’era di Putin: il primo veto fu usato dall’Unione Sovietica nel 1946 per una risoluzione su Siria e Libano e da allora la Russia lo ha usato 143 volte, l’ultima delle quali per bloccare una pronuncia contro l’invasione (pardon: operazione militare speciale) in Ucraina. Però, anche gli Usa non scherzano: finora di veti ne hanno infatti espressi una novantina.

Risultato: la paralisi pressoché permanente del Consiglio di sicurezza e una demoralizzante dimostrazione della crisi di efficacia dell’Onu, nonostante le lodevoli intenzioni dei suoi segretari generali. Quanto all’impresentabilità di certe collocazioni, resta solo l’imbarazzo della scelta. Quanto alla presidenza di turno assegnata alla Russia, durerà un mese e in così breve tempo la Russia, più di tanto non potrà fare. Al massimo, dicono gli esperti, potrà allungare nel tempo qualche dibattito non gradito o poco più. Però, conterà moltissimo anche ciò che questa presidenza dirà e ripeterà al mondo. E poco importa se l’Onu, prezioso e invecchiato elefante, sembra ormai sempre più incamminato verso il cimitero della Storia…

ACCADE IN ITALIA – Una proposta di legge prevede sanzioni per chi non usa l’italiano e vieta conferenze e corsi universitari solo in inglese. Quindi, l’Eni si prepari: non potrà più avere un Chief Financial Officer, ma solo un italianissimo Responsabile Finanza. E basta cercare un Tax planning and Monitoring specialist, come sta facendo ora l’Enel: dovrà accontentarsi di un più verace Esperto di pianificazione e monitoraggio fiscale. Al bando i corsi di laurea solo in inglese del Politecnico di Milano e proibite le conferenze scientifiche in lingua straniera se prive di traduzione simultanea nell’idioma patrio. Sanzioni previste: multe da 5mila a 100mila euro.
È lo scenario prospettato da una proposta di legge (AC 734, primo firmatario il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, esponente di spicco di Fratelli d’Italia) che propone “disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana e istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana”. Un testo, composto da 8 articoli presentato lo scorso dicembre, ma “notato” solo adesso, che si caratterizza per l’ottica “di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria”. Solo una proposta, al momento, che potrebbe non essere mai approvata, ma che è comunque significativa.

Il punto principale, infatti, è la difesa della nostra lingua, in particolare in tutta la comunicazione pubblica. “Sono ormai anni che studiosi, esperti e istituzioni come l’Accademia della Crusca denunciano il progressivo scadimento del valore attribuito alla nostra lingua e segnalano l’importanza di una maggiore tutela dell’italiano e del suo utilizzo anche nella terminologia amministrativa da parte dello Stato, delle sue articolazioni territoriali e degli strumenti di diffusione culturale pubblici – si legge nella presentazione della proposta di legge –. L’uso sempre più frequente di termini in inglese o derivanti dal linguaggio digitale, infatti, è diventato una prassi comunicativa che… immiserisce e mortifica il nostro patrimonio linguistico”. Se così è, come si fa a dar torto all’onorevole Rampelli? La pubblica amministrazione deve parlare ai cittadini nel modo più chiaro e comprensibile possibile e qui occorrerebbe aprire anche l’annosa questione del burocratese, anch’esso lingua straniera ai più. Ma la politica dovrebbe essere la prima a rispettare il principio soprattutto quando la traduzione in italiano è a portata di mano. Bando dunque alla Flat tax di cui Rampelli&Alleati parlano a ogni piè sospinto in favore di una “Tassa piatta”, basta l’orrenda Spending review e avanti con la “Revisione della spesa” e fine di tutti i Jobs Act e Family Act, quando si possono chiamare semplicemente “Testo unico sui lavori o sulla famiglia” senza darsi arie da legislatori d’Oltreoceano. Niente più (ed è certo un bene) operazioni di Cashback, corsa a premi, da parte del governo.

Così pure è importante valorizzare la nostra lingua e ben vengano i previsti comitati di tutela e promozione. Senza però scadere nel nazionalismo e nel sovranismo linguistico. Nell’illusione che tutto sia traducibile in italiano, compresi i termini informatici e delle telecomunicazioni, ad esempio. Come se la globalizzazione non esistesse. Come se la lingua della scienza e dell’economia internazionali non fosse cambiata. Il greco, il latino e anche l’italiano sono state e sono ancora le lingue alla base della medicina. Ma come tutte le lingue anche questa evolve e può sfiorare il ridicolo pretendere che tutte le conferenze scientifiche si tengano in italiano o con traduzione simultanea. Proibire i corsi solo in inglese nelle università, limitare l’insegnamento delle lingue nei licei, rischia di avere come unico effetto quello di isolare il nostro sistema d’istruzione superiore e danneggiare i nostri studenti. Illudersi che basti una legge per fermare la globalizzazione o per affermare l’italiano come lingua unica della comunicazione nazionale e internazionale potrebbe costarci caro. Molto più delle multe previste, per quanto salate.

MORALE DELLA FAVOLA – Purtroppo, le due notizie non sono né pesci d’aprile, né favole. Meditiamo, gente. Meditiamo!

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