di Mons. Giacomo Canobbio
LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO
Esultanza, da una parte, sconcerto dall’altra, di fronte alle parole che in un documentario pronuncia Papa Francesco sulla condizione di coppie omosessuali. In una frettolosa lettura sembra ci sia uno stravolgimento della dottrina della Chiesa: per gli uni in senso liberatorio, finalmente! Per gli altri come deriva, perfino eresia. Torna alla mente il detto medievale Quidquid recipitur ad modus recipientis recipitur, che tradotto a senso significa: ciascuno capisce quel che vuol capire. Dire che anche gli omosessuali sono figli di Dio è la cosa più ovvia di questo mondo; dire che anche le coppie omosessuali – soprattutto se hanno figli – hanno diritto a una protezione legale, forse è meno ovvio, ma risponde a un criterio di razionalità. Brandire le parole del Papa, peraltro dette in una conversazione, come se fossero espressione di un mutamento della dottrina della Chiesa sul matrimonio, appare strumentale. Certo sono parole di un Papa, ma secondo i criteri fondamentali di autorevolezza dei documenti del Magistero cattolico, non hanno valore normativo, tanto meno definitorio. Si potrebbe dire che esprimono un atteggiamento di accoglienza nei confronti di tutte le persone, simile a quello che Francesco assume nei confronti di tutti, perfino dei delinquenti, anche questi figli di Dio, che hanno bisogno/diritto di/a tutele legali. Sbattere in prima pagina poche frasi come fossero rivoluzionarie, in senso positivo o negativo, è segno di scarsa ponderazione giornalistica e politica. La ricerca del sensazionale anziché della verità porta a non soppesare il valore di quanto è stato detto, e alla fine non giova a nessuno perché alimenta solo contrapposizioni viscerali. In fondo, tutti si è alla ricerca di qualcuno di autorevole che ci dia ragione. Sicché, se il Papa è dalla propria parte, è bravo; se è dalla parte opposta, è eretico. Si dimentica in tal modo una verità fondamentale: ogni persona umana è degna di rispetto nella concretezza della sua situazione, ed è compito dei legislatori fare in modo che tale rispetto sia riconosciuto. Questo non vuol dire equiparare tutte le condizioni, bensì accettare che l’uguaglianza non è equiparazione livellante. Del resto ogni persona si attende di essere riconosciuta nella sua singolarità. Si dovrebbe poi considerare che l’appartenenza di Papa Francesco lo ha educato a cercare il bene possibile, che non è identico per tutti. Esultanza e scandalo sono soltanto segno di una necessità, purtroppo disattesa e che soprattutto giornalisti e politici dovrebbero contribuire a far comprendere: la realtà va osservata con sguardo acuto e non ingabbiata subito in schemi interpretativi precostituiti.
Don Giacomo Canobbio