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Quando vince la democrazia…

Una triste pagina di storia americana: l’assalto alla sede del Congresso da parte di un’orda di scalmanati violenti che con quel folle gesto volevano impedire il corso della democrazia. Ricordate? Tutto accadde il 6 gennaio 2021. Oggi, su quel folle gesto, cala il giudizio severo della Commissione d’inchiesta. Infatti, con una mossa senza precedenti nella storia americana, una Commissione parlamentare ha deferito un ex presidente al Ministero della giustizia, per reati gravissimi. La  commissione della Camera, che da un anno e mezzo sta indagando sull’ assalto a Capitol Hill (la sede del Governo americano) del 6 gennaio 2021 ha concluso la sua ultima udienza pubblica approvando all’unanimità la relazione finale dell’inchiesta decidendo di deferire alla giustizia Donald Trump per almeno quattro reati: aver assistito o aiutato un’insurrezione; aver ostruito il Congresso nella certificazione della vittoria di Joe Biden; aver cospirato per rendere false dichiarazioni (al Governo federale); aver frodato gli Stati Uniti.

Una mossa che mina la sua nuova corsa presidenziale, dipingendolo come il regista di un’operazione premeditata con la falsa dichiarazione di vittoria, la big lie (grande bugia) sulle frodi di massa e l’istigazione ad una marcia sovversiva su Capitol Hill. Insieme al tycoon (potente personaggio) sono stati deferiti il suo ex avvocato John Eastman, uno degli architetti del tentativo di ribaltare il voto, ed altri stretti alleati di Trump. Inoltre, quattro parlamentari repubblicani (Kevin McCarthy, speaker in pectore della Camera, Jim Jordan, Scott Perry e Andy Biggs) saranno deferiti alla Commissione etica della Camera per non aver ottemperato alle citazioni.

“Il presidente è stato molto chiaro, la nostra democrazia continua a rimanere sotto minaccia e tutti noi abbiamo una parte per proteggerla”, ha reagito la Casa Bianca tramite la portavoce Karine Jean-Pierre. “Il nostro non è un sistema dove i fanti vanno in prigione e le menti e i capo-banda restano in liberta”, ha ammonito alla fine dell’udienza il democratico Jamie Raskin, uno dei nove deputati inquirenti.

Trump ha dimostrato di essere “inadatto per qualsiasi nuovo incarico pubblico”, aveva accusato in apertura della seduta Liz Cheney, una dei due soli repubblicani della Commissione, di cui è vicepresidente. “Ha infranto la fiducia” nel sistema elettorale, aveva detto poco prima Bennie Thompson, presidente della Commissione: “Sapeva di aver perso le elezioni del 2020 ma scelse di rimanere in carica attraverso uno schema articolato per ribaltare i risultati. Non abbiamo mai avuto un presidente che ha scatenato un violento tentativo di bloccare il trasferimento del potere… Ogni presidente nella nostra storia ha difeso questo ordinato trasferimento dei poteri, tranne uno”, ha rincarato Cheney. “Tra le cose più vergognose scoperte da questa Commissione – ha proseguito – c’è il fatto che Trump restò seduto nella dining room (sala da pranzo) della Casa Bianca a guardare la tv che trasmetteva la violenta sommossa e l’assalto a Capitol Hill. Per ore non fece alcuna dichiarazione pubblica per ordinare ai suoi supporter di disperdersi e di lasciare il Capitol, nonostante le sollecitazioni dello staff della Casa Bianca e di decine di altre persone… Durante quel periodo di tempo, agenti furono attaccati e seriamente feriti, il Capitol fu invaso, il conteggio dei voti fu bloccato e le vite di coloro che stavano in parlamento furono messe a rischio”, ha aggiunto Cheney, definendo il comportamento dell’ex presidente non solo “illegale ma anche un completo fallimento morale e una chiara inadempienza del dovere”.

Il deferimento non obbliga il Dipartimento di giustizia a intraprendere alcuna azione ma manda un segnale potente sulle responsabilità di Trump nell’assalto al Campidoglio. In ogni caso il dipartimento ha già i fari puntati su Trump in un’indagine penale sulla stessa vicenda, come pure in quella del sequestro di documenti classificati nella sua residenza di Mar-a-Lago. Ad aggravare la situazione del tycoon potrebbe essere la commissione fiscale della Camera se decidesse di rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi di ben otto anni.

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