Quel che accade e quel che viene raccontato

Visto l’andazzo dei sommari (sintesi delle notizie principali della giornata) offerti dai notturni programmi di approfondimento e cronaca, ho dedotto che almeno dieci delle 24 ore a disposizione erano state dedicate alle frivolezze (festival, amori, oroscopi, cucina creativa e popolare), quattro alla pandemia (con calco, ricalco e calcolo di parole per illustrare divieti e speranze di veder gli stessi diventare carta straccia), sei allo sport (c’era l’inaugurazione delle Olimpiadi invernali ospitate in Cina e dunque il tempo era giustificato), due ai telegiornali, mezz’ora alle previsioni del tempo, un’ora e mezza a veder le stelle e gli animali sparsi in giro per il mondo (racconti di viaggio e safari naturalistici confezionati per sollecitare la voglia di uscire per andare a cercare, se non proprio  coccodrilli e rinoceronti, almeno le formiche). Ventiquattro ore piene, ma non so di che cosa, che però, conti alla mano, dovrebbero diventare almeno ventotto se e come si dovesse dar conto del tempo dedicato alla pubblicità, agli intermezzi ridanciani, alle corse fatte per ricorrere facce e fatti noti, agli annunci di cinema, fiction e spettacoli prossimi all’avvio… Tante ore, uno spreco, forse l’occupazione del tempo, mai o quasi mai il mezzo per comunicare e comunicando aiutare la gente a capire di che pasta son fatti gli umani, mettere a disposizione nozioni e notizie adatte a far chiarezza sul bene e sul male che ci circonda. Magari, insomma, utili a vedere quel che accade qui e altrove.

Allora, ma solo allora, avremmo scoperto che la Russia fa l’orso (è suo costume farlo e continua a farlo perché le è comodo vestirsi con la pelle dell’orso e andare a dire alla gente che trema “guarda che c’è una pelle d’orso anche per te, basta che chiami…”) ma il peggio è che qualcuno glielo lascia fare e magari vi aggiunge anche una certa dose di compiacimento nel vedere che lo fa. La Russia fa l’orso, la Cina assicura che è suo fedele alleato, l’America di Biden mostra i muscoli, l’Europa guarda e si interroga sui rischi imminenti e immanenti, il resto del mondo è preoccupato e qualcuno dei sui abitanti manda a dire di smetterla, che è già difficile vivere con quel che c’è, figurarsi se si deve convivere con altre guerre”.

E’ un invito a cambiare metodi, ma è purtroppo un grido che incontra troppe sordità. L’esempio ultimo e più calzante è quello offerto dalla crisi che da tempo ha investito e che via via è diventata sempre più drammatica l’Ucraina, Paese sul quale la Russia non nasconde le sue mire di sovranità e di potere. Lì si rischia una guerra senza proporzioni e in questo contesto si misura la stupidità di coloro che ancora credono sia la guerra la soluzione. L’Ucraina che si sente minacciata sebbene sia protetta da schieramenti che non tollerano ingerenze, tanto meno targate Russia, chiede armi e ancora armi, dicono “ci servono per difenderci dall’invasione”, ma è chiaro che nell’eventualità di un passo in più dell’orso russo, la povera marmotta ucraina non avrebbe scampo. E allora, più delle armi, serve una buona dose di ragionevolezza, merce che non si compra al mercato ma che si costruisce giorno dopo giorno ricercando le ragioni della pace piuttosto di quelle della guerra.

La pace è possibile, sempre. Basta volerlo. Opporsi ai tanti segnali di minaccia, ai tempi bui, alla logica del conflitto, accogliendo l’altro e rispettandone l’identità, perché è fondamentale essere solidali, perché o siamo fratelli o crolla tutto, perché questa è l’essenza del vivere in pace” è possibile, sempre. Anche adesso, sebbene che a un quarto di miglio da noi (distanza approssimativa tra le idee di pace e le idee guerrafondaie) sia dominante il ricorso alle armi come soluzione di una contesa che mai avrebbe dovuto trovare palcoscenico su cui un orso avrebbe potuto recitare la sua triste pretesa.

Ieri, ma se la data è passata senza che ve ne siate accorti potete rimetterla in circolo oggi, il mondo è stato invitato a celebrare la “Giornata internazionale della fratellanza umana”, magnifica sintesi dei migliori sentimenti che albergano ancora nel cuore della gente, voluta dalle Nazioni Unite nello stesso giorno in cui, nel 2019, papa Francesco e il Grande imam di Al-Azhar firmarono ad Abu Dhabi il Documento che pone la fraternità tra gli uomini come fondamento «per la pace mondiale e la convivenza comune». Giornata importante? Forse sì. Però, a parte qualche notizia messa a far da riempitivo alle chiacchiere, ho visto ben poco. Disinteresse? Di sicuro “poco interesse”, che di questi tempi invasi da canzonette, chiacchiere e comparsate (i soliti noti a miracolo mostrare, gli altri a domandare “perché loro e non noi lì per dire come si vive fuori dalle luci della ribalta?”) è norma-normalità-assuefazione-disimpegno-fuga-rassegnazione, ma anche il modo peggiore per evidenziare la propria incapacità di vedere che oltre il solito c’è dell’altro, e non sempre migliore.

La celebrazione principale si è svolta negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai, nella sede dell’Esposizione universale. Definendo l’iniziativa dell’Onu – alla quale si sono uniti tra gli altri lo stesso Grande imam Al Tayyeb e il presidente statunitense Biden – “occasione propizia per darsi la mano, per dire che è giunto il tempo della fratellanza”, uno qualsiasi, a Roma (ma era Francesco, il papa, voce dei poveri e degli ultimi, pellegrino recante il vessillo della pace per l’umanità e, forse  anche per questo inascoltato) ha ricordato al mondo che «tutti viviamo sotto lo stesso cielo, indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dal ceto sociale, dal sesso, dall’età, dalle condizioni di salute e da quelle economiche”. In teoria vorrebbe dire che siamo “fratelli tutti”, che siamo tutti “artigiani di pace e di giustizia, nell’armonia delle differenze e nel rispetto dell’identità di ciascuno”, che siamo tutti chiamati a “non lasciare per domani o per un futuro che non sappiamo se ci sarà, l’urgente impegno della pace…”. In pratica dice che siamo esattamente (o quasi) l’opposto di ciò che significa essere “fratelli tutti”.

 

LUCIANO COSTA

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