La tendenza dei media è quella di gettare in pasto al lettore o spettatore tutto il possibile e l’immaginabile senza aggiungervi alcunché di meditativo, magari utile a far comprendere la portata di ciò di cui si sta argomentando. Oggi, per esempio, nel giorno di Dante – il sommo poeta è nato esattamente settecento anni fa e in sua memoria l’Italia e il mondo hanno imbastito celebrazioni di notevole portata ed effetto – letterati, affabulatori, cronisti e storici s’affannano a spiegare la sua grandezza e anche tutti i risvolti cercati e usati per ridurre a brandelli tale grandezza. Però, chi mai oserebbe discutere anche solo una parola di quelle scritte dal “nostro” Dante? Sempre oggi la città di Venezia celebra i suoi primi milleseicento anni di vita e anche in questo caso, chi può scrivere o commentare getta nella mischia sapere, preoccupazioni, amarezze, beltà e brutture della città più bella-brutta-chiacchierata-odiata e amata che ci sia. Perché, Venezia la si ama o la si detesta, senza via di mezzo e senza alcuna esitazione. Io, per esempio, la amo, ma non per questo son disposto a fare la fila per passarvi un carnevale o per provare l’ebrezza di camminare sull’acqua. Però, una passeggiata tra calli, ponti, chiese e piazze non la metto mai in secondo piano.
Se Dante e Venezia tengono il centro dell’attenzione, tutto il resto che ci interessa, a partire dalla pandemia e dalle scelte politiche che dovrebbero raddrizzarla per poi sconfiggerla, è lì in attesa d’essere letto, compreso, assimilato e attuato. Ovviamente, si naviga a vista, e non solo dalle nostre parti. In Vaticano, prelati e dipendenti di rango da oggi tirano la cinghia; in Germania prima fanno un lockdown e poi lo eliminano; in Italia si innalzano inni e cantici alle buone intenzioni; in Europa si spera che finisca la buriana…
“Un futuro sostenibile economicamente – ha scritto ieri papa Francesco in un documento che diventa norma e obbligo per chi vive in Vaticano – richiede oggi, fra altre decisioni, di adottare anche misure riguardanti le retribuzioni del personale”. Quindi, ecco un taglio proporzionalmente e a tempo indeterminato degli stipendi dei cardinali (10 per cento), dei capi dicastero e dei segretari (8 per cento), e di tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose in servizio presso la Santa Sede (3 per cento). Mentre tutti i dipendenti – compresi quelli appena menzionati – vedranno bloccato lo scatto di anzianità fino al 2023 (eccetto i dipendenti laici dal primo al terzo livello). Ovviamente, il Papa non vuole licenziare, ma le spese vanno contenute e per questo ha deciso di intervenire “secondo criteri di proporzionalità e progressività” con dei ritocchi che riguardano specialmente i chierici, i religiosi e i livelli più alti. La decisione papale è stata motivata, si legge nel motu proprio, dal “disavanzo che da diversi anni caratterizza la gestione economica della Santa Sede” e soprattutto dalla situazione venutasi a creare a causa della pandemia, “che ha inciso negativamente su tutte le fonti di ricavo della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano”. La finalità del provvedimento è collaborare con altre misure per un futuro economicamente sostenibile per la missione degli organismi centrali della Chiesa.
In Parlamento, sempre ieri, il Presidente del consiglio Mario Draghi, con lucida precisione ha indicato la via da seguire se si vuole passare dalla conta dei colpiti da virus a quella che stabilisce la loro vittoria sul virus. In sintesi: Draghi ha detto che ci vuole massima intensità nella campagna vaccinale (senza dimenticare gli over 80 come fanno alcune Regioni) per riaprire prima le scuole – la speranza è dopo Pasqua – e poi tornare gradualmente a riaprire il resto; salute, formazione e lavoro sono perciò le tre direttrici che il governo segue, accanto all’autonomia produttiva in Ue perché «nessuno è al sicuro se non lo saremo tutti». Quello sentito ieri era un Presidente che alla sfiducia anteponeva la fiducia e alle polemiche tanta voglia di fare e di fare bene, no che non ha avuto esitazioni nel ribadire che combattere la pandemia significa «vaccinare più persone possibili nel più breve tempi possibile». Poi, mentre i vaccini procedono, sarà bene pensare e pianificare le riaperture.“Se la situazione epidemiologica migliorerà – ha detto Draghi – cominceremmo a riaprire la scuola in primis, almeno le scuole primarie e l’infanzia anche nelle zone rosse, già subito dopo Pasqua».
Se da noi Mario Draghi ha messo in chiaro chi siamo e che cosa dobbiamo fare, a due passi da noi, in Germania, nella Germania ricca e che fa scuola, Angela Merkel, omologa di Draghi, non ha esitato a chinare il capo e a chiedere scusa per una decisione che scombussolava il vivere di milioni di tedeschi. “So che tutta questa faccenda – ha detto la Merkel – innesca maggiore incertezza, me ne rammarico profondamente e chiedo scusa a tutti i cittadini”. Quindi, ecco la marcia indietro sul lockdown rigido annunciato, che si farà, ma senza esagerazioni.
Invece, ancora a proposito di Dante, ecco una chicca tipicamente olandese: nella nuova traduzione olandese dell’Inferno dantesco, pubblicata di recente nella terra dei tulipani è stato omesso il nome di Maometto, che Dante, com’è noto, elenca tra i dannati di Malebolge. La traduttrice ha preferito ricorrere a questa soluzione per evitare che l’episodio risultasse «inutilmente offensivo per un pubblico di lettori che è una parte così ampia della società olandese e fiamminga».
Non ho parole, oppure ne ho talmente tante che evito di riversarle in cronaca. Così, oggi mi godo un Dante che amo e conosco – quello che turba i miei giorni indicandomi il viaggio “in un selva oscura”, che mi esalta cantando “la bocca che baciò…”, che mi spinge a volgere una preghiera, la più bella preghiera mai scritta, alla Vergine Maria -, una Venezia deserta e ancor più bella, un Draghi che rassicura, una Merkel che non teme l’errore perché lo corregge, un Papa che amabilmente ma fermamente taglia prebende e chiunque che con me abbia voglia di lasciare il virus al suo destino per prendere in mano le redini del possibile-roseo-sognato e meritato futuro.
LUCIANO COSTA