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Quel che resta dell’Epifania

C’è come sempre l’Epifania che per i cristiani significa rivelazione del loro Dio e quella che in questo inizio dell’anno 2023 sarà ricordata come il giorno dopo le esequie del Papa emerito Benedetto XVI. Poi c’è l’Epifania che laicamente le feste se le porta via dopo aver lasciato dietro di sé i doni portati dalla Befana, quell’altra che tramite lotteria regala milioni… Poi anche quella che proprio oggi lascia intravedere una tregua nella assurda guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina (la Russia l’ha annunciata e promessa per la durata di 36 ore in modo da consentire agli ortodossi della cosiddetta grande Russia di celebrare il loro Natale; Kiev l’ha respinta perché ritenuta falsa e usata per intorpidire le acque e far credere umano quel che è invece uno zar disumano). Qualunque sia l’Epifania attesa e celebrata, è comunque triste: Dio si rivela ai soliti pochi; un Papa emerito, grande nella fede, umile e coraggioso oltre ogni umana aspettativa, sapiente nell’indicare la via da percorrere e saggio testimone del Vangelo. è appena stato sepolto; le feste sono finite; i doni della Befana e i soldi della lotteria riempiono i televisori con la solita enfasi sebbene privati di lustrini e merletti; le guerre (ce ne sono una ventina che girano nel mondo) continuano; la pace non si vede e la tregua sembra un piatto indigesto anziché l’anticamera della pace…

Ognuno scelga l’Epifania che più gli piace e vi aggiunga, se può, quel tanto di riflessione che serve per assicurarle il titolo di “festa grande”, di “festa dei popoli”, di “festa dell’incontro” di tutti e per tutti”, anche di “festa per un Papa” che dopo aver a lungo vissuto ha intrapreso la strada per il Cielo assicurato ai giusti. Personalmente, vedo in questa Epifania quel Benedetto XVI morto da emerito e sepolto da pontefice. E mi chiedo: che cosa resta di lui e del suo ministero? Secondo Andrea Tornielli, autore dell’editoriale scritto dopo aver visto la folla rendere omaggio al Papa Emerito, ciò che resta è visibile nelle parole pronunciate da Benedetto XVI nel suo primo messaggio Urbi et orbi. Era la mattina del giorno dopo l’elezione e il nuovo papa disse al mondo: “Nell’intraprendere il suo ministero, il nuovo Papa sa che il suo compito è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo”. Vale a dire, non la propria luce, il proprio protagonismo, le proprie idee, i propri gusti, ma la luce di Cristo. Perché “la Chiesa –ammoniva il Papa – non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi, non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi”. Un anno dopo la sua nomina, nel maggio 2010, a Fatima Benedetto XVI rinnovò quei concetti dicendo ai vescovi portoghesi: “Quando, nel sentire di molti, la fede cattolica non è più patrimonio comune della società e, spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da ‘divinità’ e signori di questo mondo, molto difficilmente essa potrà toccare i cuori mediante semplici discorsi o richiami morali e meno ancora attraverso generici richiami ai valori cristiani”. Perché “il semplice enunciato del messaggio non arriva fino in fondo al cuore della persona, non tocca la sua libertà, non cambia la vita. Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di Lui”. Ragion per cui, non sono i discorsi, i grandi ragionamenti o vibranti richiami ai valori morali a toccare il cuore delle donne e degli uomini di oggi; non servono per la missione le strategie del marketing religioso e proselitista, né la Chiesa di oggi può pensare di vivere nella nostalgia della rilevanza e del potere che aveva nel passato. Anzi, al contrario, importante è “tornare all’essenziale, a una Chiesa ricca soltanto della luce che gratuitamente riceve dal suo Signore…”.

E proprio questo ritorno all’essenziale, scrive Tornielli, “è la chiave per la missione… Joseph Ratzinger lo aveva detto quando ancora era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, durante una catechesi del dicembre 2000 quando, prendendo le mosse dalla parabola evangelica del granello di senape, che “è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero”, spiegò che bisognava evitare “la tentazione dell’impazienza, la tentazione di cercare subito il grande successo, di cercare i grandi numeri”. Perché questo “non è il metodo di Dio”. La nuova evangelizzazione, infatti, “non può voler dire: attirare subito con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa”. La storia stessa della Chiesa, osservava l’allora cardinale Ratzinger, insegna che “le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo ed i movimenti di massa sono sempre effimeri”, che Dio “non conta con i grandi numeri; che il potere esteriore non è il segno della sua presenza… “Non cerchiamo ascolto per noi, non vogliamo aumentare il potere e l’estensione delle nostre istituzioni, ma vogliamo servire al bene delle persone e dell’umanità… e questa è la condizione fondamentale del vero impegno per il Vangelo”.

È questa consapevolezza che ha accompagnato per tutta la sua lunga esistenza il cristiano, il teologo, il vescovo e il Papa Benedetto XVI. Quel che resta di Lui è racchiusio in questa consapevolezza. È la consapevolezza del Pastore, del Buon Pastore, del quale resta vivo il ricordo.

LUCIANO COSTA

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