Nel Pnrr (Piano Nazionale Ripresa e Risilienza), studiato e attuato per aiutare il Paese ad uscire dalla crisi innestata da Covid-19, è messa in bella evidenza, addirittura scritta e sottoscritta, la necessità di «valorizzare i beni confiscati alle mafie con il contributo del Terzo settore». C’è scritto, ma nel primo avviso pubblico per la presentazione di progetti di valorizzazione di questi beni da finanziare nell’ambito del Piano (lo ha pubblicato due settimane fa l’Agenzia della Coesione Territoriale), del contributo del Terzo settore, ben evidenziato nella stesura degli impegni, non vi è traccia. KI, bando, infatti, menziona soltanto agli enti pubblici.
La denuncia è stata fatta dal Forum nazionale del Terzo Settore. Parallelamente un gruppo di consorzi e cooperative sociali che da anni gestiscono con successo i beni tolti alle mafie, ha lanciato un appello chiedendo «l’immediata correzione e ripubblicazione del bando al fine di prevedere un percorso di co-progettazione fin dall’inizio». Attualmente sono più di 400 le realtà del Terzo settore, o comunque legate al privato sociale – cooperative, associazioni, gruppi scout, diocesi, parrocchie, Caritas – che hanno fatto nascere esperienze efficaci e efficienti sui quelli che erano “beni mafiosi” e ora beni comuni. Numeri in costante crescita e per questo l’esclusione dal bando stupisce.
«È una discriminazione che non comprendiamo, e che disattende l’indirizzo virtuoso definito nel Pnrr – sottolinea Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum nazionale Terzo Settore –. È sbagliato non prevedere la possibilità di forme di partenariato fra le istituzioni pubbliche e il Terzo settore. Peraltro le organizzazioni di Terzo settore, al pari delle amministrazioni pubbliche, sono assegnatarie dirette di beni confiscati alle mafie. In questo modo si commette un doppio errore: non si rispettano le indicazioni del Pnrr e si discrimina il Terzo settore invece di sostenerlo».
Non meno netta la critica di Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione con il Sud che ha finanziato, e continua a finanziare convintamente, molte delle iniziative del Terzo settore sui beni confiscati. «È una grande occasione mancata. Ricordiamo che si tratta di più di 300 milioni di euro. Ma ancora una volta c’è un intervento che non si fa carico della questione nella sua complessità ma va avanti a pezzi». E non è la prima volta, ricorda Borgomeo. «Prima della pandemia l’Agenzia nazionale per i beni confiscati ha messo al bando mille beni per il Terzo settore, ma senza prevedere neanche un euro. E quindi le organizzazioni che partecipano al bando devono poi andare in giro a cercare soldi».
A proposito di fondi, Borgomeo fa un’altra precisa critica. «La seconda grande obiezione che facciamo al nuovo bando è che ancora una volta i soldi servono solo per le ristrutturazioni dei beni. Ed è esattamente quanto hanno fatto nel passato i Pon (Programma Operativo Nazionale Sicurezza) del ministero dell’Interno, che hanno combinato guai. Hanno sistemato dei beni, ma poi non ci hanno fatto niente. Delle belle scatole vuote, che nel tempo sono anche state vandalizzate, magari dagli stessi mafiosi. Un’immagine di spreco. Lo Stato non solo non è in grado di utilizzare questi beni, ma butta anche altri soldi. Lo stesso errore si ripete oggi. Per questo dico che è un’occasione persa. È una superficialità. Un messaggio di sfiducia nei confronti di chi da anni tira la carretta, con progetti realizzati».
Dunque, aggiunge Carlo Borgomeo, «il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Mara Carfagna, farebbe un atto di grande intelligenza politica se ritirasse l’avviso e lo ridiscutesse col Forum del Terzo settore”. La stessa richiesta la fa anche la portavoce del Forum. «Il rischio è quello di fare un regalo alle mafie. Crediamo che sia necessario correggere l’avviso pubblico. Siamo disponibili a collaborare mettendo a disposizione le competenze e l’esperienza maturata sul campo». Oltretutto nel bando si legge che «il Soggetto proponente deve dimostrare e garantire il possesso delle capacità operative ed amministrative in termini di competenze, risorse e qualifiche professionali idonee a garantire la realizzazione del progetto».
«Noi crediamo che questa descrizione ci rispecchi appieno», sottolineano i consorzi e le cooperative che hanno firmato l’appello. «Noi che la comunità la viviamo, la accompagniamo, siamo attenti e abili lettori dei problemi quotidiani e siamo in grado di fornire risposte in tempi brevi, individualizzate, concrete, con risorse altamente specializzate che operano tra i bisogni espressi e inespressi del territorio».
Storie di esperienze davvero virtuose in territori difficili, dove le mafie sono ancora forti. E così i firmatari concludono l’appello con dure parole, quasi un grido: «Basta ricorso alle competenze del Terzo settore a basso costo e solo in un secondo momento, agendo così da semplici esecutori della Pubblica amministrazione».
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