E’ il solito ritornello, che però adesso assume i contorni di un assurdo difficilmente accettabile. Quest’assurdo che più assurdo non si può, dice che nei due anni di pandemia da Covid-19 i dieci più ricchi del mondo (e con loro un’altra quarantina di uguali anche se meno riccastri di primi) hanno raddoppiato le loro ricchezze. Secondo il calcolo degli esperti, messe insieme queste ricchezze formerebbero facilmente il bilancio globale di parecchi stati e staterelli disseminati sul pianeta. Niente di strano: essere ricchi è un‘aspirazione universalmente sognata e perseguita; invece, essere poveri è semplicemente una disgrazia, parte della vita, una condizione a volte insuperabile, soprattutto perché l’opposto, cioè il non essere poveri, dipende dal lavoro, che c’è o non, c’è e dalle politiche che Governi e governanti pongono in atto…
Però, suona sempre male il troppo mischiato col troppo poco. In questo contesto, la storia dei vaccini rifiutati dall’Africa – Continente inquieto, sempre più alla deriva e in balia delle mire espansionistiche delle grandi potenze, soprattutto della Cina che lì ha messo e mette radici mercificando e pianificando attraverso un uso smodato di danaro -, firmata da Francesco Ognibene su “Avvenire”, che vi consiglio di leggere se il vostro interesse non si limita ai fatterelli di casa e cortile, è lo specchio fedele di quel che sta avvenendo. E cioè, che la pianta delle ricchezze ha radici ben salde nel terreno delle povertà e anche, adesso, che i vaccini fioriscono dove c’è ricchezza e arrivano appassiti (vedi la storia raccontata in queste righe) o proprio non arrivano dove c’è povertà.
(Luciano Costa)
LA SCENA FA MALE anche solo a immaginarla. È il 7 dicembre, nella capitale nigeriana Abuja le autorità organizzano una cerimonia sinistra e spettacolare: la distruzione sotto i cingoli delle ruspe di un milione di dosi di vaccino AstraZeneca inviate dall’Occidente quand’erano troppo prossime alla scadenza per poter essere somministrate.
Un atto dimostrativo e apertamente polemico: il Paese che con i suoi 206 milioni di abitanti è il più popoloso dell’Africa non ci sta a essere considerato una sorta di “ripostiglio” del pianeta, un grido rabbioso dal cuore di un continente con un miliardo e 200 milioni di abitanti, meno di un quarto dei quali sinora ha ricevuto almeno una dose. Proiettata su scala mondiale, la cifra già modesta si ridimensiona ulteriormente: su 100 vaccinazioni praticate nel pianeta solo 3,4 sono avvenute in terra africana. Un ritardo enorme che l’Organizzazione mondiale della Sanità aveva pensato di arginare lanciando il programma Covax per riequilibrare la diffusione dei vaccini, basato sul meccanismo virtuoso di donazioni del quale però ora ci si svela un volto che di altruistico ha davvero poco. Possibile che la porzione del mondo più benestante abbia pensato solo a mettere in sicurezza se stessa? Ne avevamo vistosi indizi, ora però possiamo vedere che l’ha fatto non solo lasciandosi indietro il resto dell’umanità tanto da perderla di vista, ma in aggiunta macchiandosi del meschino calcolo di spedire gli avanzi (in scadenza) di un pranzo già abbondantemente servito (e nel caso dei no-vax incredibilmente rifiutato dai beneficiari).
La denuncia dell’efferata ingiustizia di impacchettare come munifico omaggio medicinali di cui è nota la quasi certa inutilizzabilità non è “di parte” ma arriva dall’Onu tramite l’Unicef, che in una relazione al Parlamento europeo ha parlato nei giorni scorsi di 100 milioni di dosi distrutte o addirittura respinte al mittente da Paesi poveri di tutto il mondo perché prive del requisito minimo che adottiamo persino acquistando lo yogurt: una data di scadenza che lasciasse un margine di tempo sufficiente a non dover eliminare il prodotto (che peraltro sarebbe stato meglio far giungere con frigo e siringhe).
Che solidarietà è mai quella destinata ad autodistruggersi, poco importa se per dolo o sciatteria? Serve a mostrare cifre imponenti – è di domenica scorsa l’annuncio che Covax ha superato il miliardo di dosi inviate fin negli angoli più dimenticati della terra – ma non sempre raggiunge il suo scopo. E quando fallisce rischia di compromettere la credibilità dell’intero sistema.
È dunque interesse di tutti, a cominciare dai donatori più sinceri, esigere che nel soccorso dei poveri non ci sia la minima ombra di iniquità, calcolo o approssimazione, atteggiamenti che dove la pandemia ancora corre pressoché indisturbata finiscono per tradire la fiducia nella comune umanità.
Le stesse scene di Abuja – come ha recentemente documentato Matteo Fraschini Koffi in una preziosa corrispondenza dalla capitale senegalese Dakar – si sono ripetute in altri lembi d’Africa, dal Sud Sudan al Malawi, con tassi di vaccinazione persino inferiori alla Nigeria dove le barriere anti-Covid sono arrivate appena al 5,86% della popolazione quando in Italia viaggiamo verso il 90. Uno squilibrio eclatante, sul quale l’impostura delle dosi in scadenza ha aggiunto un tocco di insopportabile volgarità.
L’impressione di un estendersi dell’area dello squilibrio trova purtroppo riscontro e amplificazione nel Rapporto che Oxfam – associazione globale che si batte contro il sottosviluppo – ha consegnato come tradizione mentre a Davos si apriva il Forum economico mondiale. Due anni di pandemia hanno più che raddoppiato i primi dieci patrimoni del globo spostando con lo stesso indifferente moto globale 163 milioni di persone oltre il ciglio della povertà, dentro il burrone della miseria. Come se il virus si fosse rivelato un inatteso affare per alcuni uomini privando altri – infinitamente di più – persino dell’essenziale per campare.
Anche i Paesi nei quali vive la moltitudine dei diseredati esibiscono un raddoppio: ma riguarda i tassi di mortalità da Covid rispetto alle nazioni benestanti, quelle che regalano i vaccini quasi scaduti, sofisticate briciole della tavola di Epulone. Alla nostra porta l’abbandono nel quale giace il povero e disperato continua a giudicarci. Neppure la pandemia, che da due anni unisce l’umanità nella stessa durissima prova, riesce dunque a mostrarcelo fratello?
FRANCESCO OGNIBENE