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Ricchi di bombe, poveri d’acqua…

GIORNATA SUL PROBLEMA DELLE MINE

“Anche dopo la fine dei combattimenti, i conflitti spesso lasciano dietro di sé un’eredità terrificante: mine terrestri e ordigni esplosivi che affliggono le comunità. La pace non porta alcuna garanzia di sicurezza quando le strade e i campi vengono minati, quando ordigni inesplosi minacciano il ritorno delle popolazioni sfollate, e quando i bambini trovano e giocano con oggetti lucidi che esplodono”. Ad affermarlo è il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in un messaggio rilasciato in occasione della Giornata internazionale sul problema delle mine e degli ordigni inesplosi, che è stata celebrata ieri in tutto il mondo. Secondo gli esperti delle Nazioni unite sono 60 i Paesi contaminati dalle mine antiuomo, 29 quelli in cui sono presenti bombe a grappolo, in una situazione aggravata dai 31 conflitti in corso nel pianeta, tra cui quello in Ucraina. “Sono ordigni che resteranno attivi per oltre 70-80 anni dalla fine di un conflitto. Questo significa – ha spiegato il direttore della Campagna italiana contro le mine -, che la guerra lascerà un’eredità pesantissima”.
I Paesi dove si registra una maggiore presenza di ordigni sono la Cambogia, l’Afghanistan, la Colombia, l’Iraq. Fino a qualche anno fa le persone colpite da mine inesplose erano circa 20 mila l’anno, al 90% civili e la metà bambini. Il numero era sceso per poi aumentare dal 2017. “Sono ordigni che rimangono seppelliti nel terreno o nascosti nella vegetazione. Molte volte vengono utilizzati anche in maniera terroristica, mettendoli all’interno delle case, nei pozzi o vicino a infrastrutture, nelle scuole o sotto un giocattolo, spesso la gente perde la vista, e poi c’è l’impatto economico che è quello di non permettere a questi Paesi, in gran parte a vocazione agricola e dediti alla pastorizia, di poter accedere alle terre e ai mezzi di sostentamento. È un disastro globale, perché sono armi crudeli che colpiscono indiscriminatamente ed è per questo che sono messe al bando”.
Il commercio legale di mine antiuomo è vietato a livello internazionale ed è formalmente fermo, anche se alcuni Paesi come Pakistan, Singapore e Russia continuano a produrre mine, ordigni, qualunque cosa che possa recare danno. In alcuni Paesi, come la Libia, gli arsenali sono stati saccheggiati da milizie irregolari o jihadiste e poi ritrovati in Siria, mentre altri Paesi, come l’Ucraina – dove all’inizio della guerra erano stoccate ancora 3 milioni e mezzo di mine – non li hanno distrutti come richiesto dalle Convenzioni internazionali a causa degli ingenti costi di smantellamento. Le Nazioni Unite, fortemente impegnate nel contrastare questo fenomeno, hanno istituito un’agenzia specializzata – l’UNIMAS – e promosso fin dal 1997 la Convenzione sulla messa al bando delle mine anti-persona, alla quale hanno aderito 164 Paesi affiancata nel 2008 dalla Convenzione sulle munizioni a grappolo, firmata da 18 Stati.

 

L’ACQUA CHE NON C’E’

Ci si ruba l’acqua che non c’è. Può finire a badilate, o più prosaicamente con una denuncia, se il derubato quella sera aveva deciso di fare il “giro dell’acqua” invece di dormire. Più sovente, l’epilogo di quelle notti secche è la vendita dell’azienda agricola a prezzi di saldo. Bancarotta e infarti. In Pianura Padana, la guerra dell’acqua è scoppiata da un anno e la politica non sa che fare. S’inventa un commissario che non può far piovere. Progetta nuovi invasi ma i laghi alpini sono vuoti. Il Lago Maggiore ha abbassato pudicamente le paratoie, sperando di tesaurizzare l’oro bianco in vista dell’estate; il lago di Garda ha fatto altrettanto e quello d’Iseo s’è accodato. Ogni giorno di sole che passa, viene a galla l’impreparazione a gestire l’emergenza. Il caso del riso è paradigmatico: si discetta per mesi sull’importanza di anticipare la bagnatura dei campi, perché ciò consentirà di rimpinguare la falda freatica come solo l’irrigazione in sommersione può fare; si stanziano persino dei soldi per chi ricorre a tecniche di semina in acqua, ma poi l’hanno deciso l’altro giorno in Regione Lombardia – si decide di posticipare le irrigazioni di un mese. Come tutte le imprese, anche le cascine vivono di programmazione.

 

LA FINLANDIA È NELLA NATO

L’invasione russa dell’Ucraina ha creato dei cambiamenti sensibili nell’assetto degli equilibri internazionali. Subito dopo quell’aggressione, datata 24 febbraio 2022, sia la Svezia, che la Finlandia, che ha in comune con Mosca un confine di oltre 1300 chilometri, chiesero l’adesione alla Nato nel timore che le mire espansionistiche russe potessero coinvolgere anche i due Stati scandinavi. Solo Helsinki, per ora, ha superato il blocco messo in atto dalla Turchia e da ieri è il 31° Paese membro dell’Alleanza Atlantica. Con l’ingresso della Finlandia nella Nato e, ancor di più se dovesse entrare anche la Svezia, l’asse strategico dell’Alleanza Atlantica si sposta verso nord, verso il Mar Baltico e oltre, verso i Paesi più vicini alla zona artica. Proprio la regione artica, troppo spesso dimenticata in passato, assumerà in futuro un’importanza strategica, economica e politica nei prossimi anni. Inevitabilmente l’area del Mediterraneo, con le sue crisi, prima tra tutte quella migratoria, rischierà di passare in secondo piano. La stessa guerra in Ucraina ha sensibilmente spostato l’attenzione più verso il nord Europa.
Con l’ingresso della Finlandia nella Nato si è creato il più lungo confine di un Paese dell’Alleanza con uno Stato esterno. Tra Finlandia e Russia corre una linea di frontiera di circa 1340 chilometri. A Helsinki spetterà, con il supporto dell’Alleanza Atlantica, difendere questo limite e già il governo finlandese uscente aveva deciso di costruire decine di chilometri di barriere di protezione su questa linea di confine. Una decisione inevitabile questa, vista la scelta della Russia di schierare armamenti al confine con la Finlandia. La situazione che si sta creando dalla guerra in Ucraina in poi, evidenzia sempre di più come esistano più realtà europee. Attualmente c’è un’integrazione solo dal punto di vista economico-commerciale e finanziario, meno dal punto di vista geostrategico. Troppo spesso ci si accorge che gli interessi e le preoccupazioni dell’Europa scandinava e baltica sono molto diversi e lontani da quelli dei Paesi del sud, come Spagna, Portogallo, Italia e Grecia. In pratica, ci sono varie Europe, ognuna delle quali vive problemi diversi, importanti solo localmente: l’emergenza migranti al sud e le preoccupazioni legate alla guerra in Ucraina al nord.

(A cura di LUCIANO COSTA)

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