Ricordando padre Ottorino Marcolini

Il 27 novembre 1978, quarantatrè anni fa, moriva padre Ottorino Marcolini. Oggi, giorno anniversario, un Seminario di Studio, in programma al Centro Pastorale Paolo VI a partire dalle 9, cercherà di dare un volto alla spiritualità che gli permise di passare dalla contemplazione all’azione, di permeare di carità ogni gesto compiuto a favore della città dell’uomo e per questo incamminarsi sulla via che porta alla santità. Il Seminario sarà introdotto da Giuseppe Nardoni, presidente dell’Associazione Amici di padre Marcolini e coordinatore dell’iniziativa. Porteranno il loro saluto il Vescovo di Brescia monsignor Pierantonio Tremolada, il Sindaco della città Emilio Del Bono, il presidente della Fondazione Padre Marcolini, Francesco Maltempi e il presidente dell’UCID Saverio Gaboardi. I lavori entreranno nel vivo con la testimonianza di padre Tiziano Sterli, dell’Oratorio della Pace, dedicata alla storia di padre Ottorino. Subito dopo, per scandagliare la “mistica dell’azione” sarà presentato il testo scritto da Dario Fiorentino e supportato dalla ricerca condotta dall’Università di Parigi, dedicato a Madre Teresa di Calcutta. Il filosofo Marco Vannini spiegherà invece “in che modo la mistica è un argomento attuale nel Terzo millennio”. Il Sindaco di Brescia Emilio Del Bono presenterà invece “l’opera Marcoliniana in Brescia e Provincia”. A conclusione del Seminario di Studio, nel nome di padre Ottorino Marcolini, sarà consegnato a Emilio Del Bono e a Renzo Piano il diploma di riconoscimento denominato “Il tralcio, che sottolinea l’impegno da loro profuso per trasformare l’azione in donazione.

 

Prete di Dio in mezzo agli uomini

Gli anni scorrono, ma per fortuna restano i ricordi, che sommati alle opere e agli esempi formano il gran libro della storia, del quale è bene mai dimenticare l’esistenza. In realtà, padre Ottorino Marcolini (di cui oggi, 27 novembre, ricorre il 43mo anniversario della morte) , ingegnere e, soprattutto, prete di Dio a cui non dispiaceva diventare muratore e manovale se e come c’era da costruire qualcosa di solido – una, cento o mille case, per esempio -, cioè adatto a contenere famiglie in cerca di un tetto sotto il quale far crescere la prole, non aveva una spiccata predilezione per le cronache che lo riguardavano. Alle interviste mirate a fargli spiegare come fosse possibile costruire villaggi e a rispondere sì a ogni richiesta di intervento e di aiuto, ma anche ai panegirici scritti intorno al suo modo di intendere il diritto di operai e poveri cristi ad avere una casa propria, preferiva la “le quattro parole che senza scomodare il sapere e senza tirare in ballo le scienze sociologiche” dicevano pane al pane e vino al vino.

Neppure amava i giornali e tanto meno i cronisti, che riteneva “tutt’al più buoni per mescolare le carte e mostrare lucciole spacciandole per lanterne”. Però, leggeva e commentava. E quando si convinceva che le righe scritte non erano confacenti al vero, mandava strali e rimproveri severi agli autori di quelli che secondo lui erano “inutili travisamenti”. Se poi qualcuno gli faceva notare che magari aveva esagerato, dichiarandosi pacificamente convinto di avere ragione, prometteva per gli “eventuali offesi” preghiere e benedizioni. “In fondo – dicevano i suoi compagni d’avventura, i padri della Pace, manovali e muratori come lui e come lui consacrati -, Ottorino metteva la preghiera in ogni anfratto e le benedizioni le inviava anche se non richieste”. Padre Giulio Cittadini, che ben lo conosceva, a chi gli chiedeva di raccontare quel “prete di cantiere e di azione”, prima ricordava che “egli fece e costruì per i senza lavoro e i senza tetto”, ma poi armonizzava quel suo modo di procedere fatto con “genialità e tenacia” coniugandolo con la “sapiente follia del Vangelo”, quella che gli consentiva di prodigarsi “da cristiano prete oratoriano, in un lavoro senza riserve, che in lui era fede e preghiera, nei fratelli speranza”.

Tanti hanno parlato e scritto di padre Ottorino Marcolini, ognuno per mettere in evidenza quel suo modo di essere tra la gente, prete ma anche manovale di un cantiere che doveva costruire case, meglio se in fretta, perché di case la gente aveva assoluto bisogno. Solo alcuni, comunque pochi, hanno invece parlato e offerto riflessioni sulla sua capacità di essere prete di Dio in mezzo agli uomini in ogni frangente – in guerra e in pace, in oratorio e in strada, nei cantieri e in fabbrica, in parrocchia e in convento, ovunque vi fosse un‘anima che chiedeva ascolto e comprensione -, di essere l’uomo che trovava nella preghiera costante, meticolosa, fervente, sempre diretta “a quel Dio misericordioso che tutto può e tutto perdona”, che usa la Provvidenza come viatico e conforto per chi spera e anche per chi si dispera. Padre Marcolini, però, non era “il mistico che d’improvviso s’illumina e si immerge in profondissime meditazioni mostrando sia la sofferenza dell’essere, sia la gioia della contemplazione”.

Piuttosto, disse il vescovo Carlo Manziana, suo amico e sodale partecipe della sua meravigliosa avventura, nella testimonianza dedicata all’amico “andato avanti”, di sicuro per avvicinarsi in fretta al Cielo che già lo attendeva, “in ogni circostanza egli si dimostrò sacerdote di profonda pietà, semplice ed essenziale, non disgiunta mai da autentico spirito di povertà e da amore concreto per i fratelli”. E se talvolta il linguaggio e l’atteggiamento di padre Marcolini poteva sconcertare chi non sapeva intuire come nella sua eccezionale intelligenza e instancabile intraprendenza si nascondesse un’anima di fanciullo, nessun dubbio esisteva sulla sua capacità di immergersi nella preghiera: alla ricerca del tempo perduto, per mettere Dio tra al primo posto, per cercare spiritualità da collocare al posto della materialità pretesa dalle cose da fare.

Il 27 aprile 1957, parlando all’inaugurazione dei nuovi villaggi Badia e Violino di Brescia, monsignor Giovanni Battista Montini, guardando con ammirazione padre Ottorino, l’artefice dell’opera, lo chiamò “fraterno amico”. I due avevano trascorso l’adolescenza mischiando giochi e cercando di dare concretezza ai sogni. Poi, su strade diverse, camminarono comunque e sempre testimoniando il Vangelo e la prevalenza dell’umanesimo su ogni altra prospettiva. Don Battista divenne papa col nome di Paolo VI; padre Ottorino aggiunse al titolo di costruttore di case quello di parroco dove già era stato parroco padre Giulio Bevilacqua, il primo prete di strada a essere insignito del titolo di cardinale, anche l’unico a pretendere e a ottenere dall’amico Papa di restare in quella parrocchia di periferia dove la gente lo chiamava per nome e dove pregare insieme e insieme invocare misericordia era la prima regola della comunità.

Quel giorno, sul declinare del discorso inaugurale, monsignor Montini ricordò a padre Ottorino e suo tramite a ciascuno, che “l’uomo deve essere al vertice dei nostri sforzi e del nostro lavoro”, perché “in mezzo a questo vertice è la fede cristiana, è l’amore cristiano, è Gesù Cristo che ci dice di amare il prossimo in questa maniera e che, dandoci questo comando, ci dà la fiducia che questo è possibile fare e quella fiducia apre le vie della possibilità e chiude le difficoltà che si oppongono”. In una lettera scritta nel 1923, con disarmante semplicità e felice entusiasmo giovanile, don Battista diceva a padre Ottorino: “Il Signore ti dà meriti per fare cose grandi”. Qualche mese fa, sulla rivista Jesus, il professor Marco Vannini, di certo non un esperto di cose marcoliniane, argomentando sull’azione che sempre contraddistingue chi si nutre di Vangelo, spiegò che “nell’azione si mostra la verità”, che “la contemplazione sgorga nell’azione” e che “la vita spirituale intensa porta all’azione caritativa”. Forse senza conoscerlo, il professore ha disegnato quel che padre Ottorino è stato, quel che ha fatto e perché lo ha fatto.

Oggi, nel Seminario di Studio organizzato proprio nel giorno che ricorda il 43mo anniversario della sua morte, l’attenzione è interamente rivolta alla mistica dell’azione che ha caratterizzato il suo modo di essere sacerdote e religioso, un prete di strada capace di immaginare la conquista della santità attraverso le piccole cose ben fatte; fatte per amore di un prossimo sconosciuto ma fratello.

Tornerà allora nuovamente di attualità la richiesta di veder presto aprirsi per padre Marcolini, Apostolo di Brescia come san Filippo Neri lo è per Roma, quel “processo diocesano” necessario a fugare dubbi e perplessità circa la vita del “prete costruttore di case e sogni” e a confermare “la grandezza delle virtù cristiane” che hanno contrassegnato la sua vita. Se fosse qui, padre Ottorino, di sicuro direbbe “lasciatemi riposare nella pace, ricoprite di silenzio ogni cosa fatta e poi pregate affinché il Buon Dio abbia misericordia di un insignificante padre oratoriano della Pace che la sua esistenza l’ha consumata sognando cieli, terre e case da consegnare agli umili e agli ultimi…”.

E se fosse proprio questa la chiave che apre la porta della santità?

LUCIANO COSTA

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