Ricordare il passato per migliorare il presente…

Ho visto scorrere all’alba, ora preferita per vedere e meditare, le immagini della ventiduesima notte di guerra in Ucraina: bagliori, macerie, fiamme, gente disperata. Ho anche sentito le voci dei fuggiaschi – nessun lamento, solo lacrime e parole per dire “aiutateci a vivere” – e quella di un presidente coraggioso che al Congresso Usa chiede aiuti ma anche di condividere il suo sogno: un’Ucraina libera e democratica. Come Martin Luther King appena sessant’anni fa, ieri Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, s’è presentato all’America e al mondo dicendo: “I Have a Dream”, io ho un sogno. Un sogno che non smette di essere di tutti coloro che ancora credono possibile far tacere le armi e vivere in pace. Strappa applausi e lacrime il presidente ucraino. Dice che il suo Paese vive da tre settimane, ogni giorno, “un undici settembre” rimesso in circolo da un’armata che ha le sembianze dei terroristi che l’11 settembre 2001 causarono la morte di 2996 innocenti. Per chi lo avesse dimenticato gli attentati dell’11 settembre 2001 furono quattro attacchi suicidi coordinati e compiuti contro obiettivi civili e militari degli Stati Uniti d’America da un gruppo di terroristi appartenenti all’organizzazione terroristica Al Qaida. Chiede aiuti il presidente ucraino, invoca pace e libertà per il suo popolo. “Ma – racconta l’inviato – alla stessa ora la Russia di Putin colpisce ospedali e scuole, case e palazzi, ponti e porti… Un missile cade su persone in fila per acquistare pane… Questa non è solo la guerra, è una vera e propria carneficina”.

Mente l’alba annuncia il nuovo giorno, improvvisamente, si è rinnovato il ricordo di un uomo che quarantaquattro anni fa, come ieri 16 marzo 1978, venne rapito dai terroristi delle brigate rosse dopo che avevano fatto scempio degli uomini della sua scorta. Quell’uomo si chiamava Aldo Moro. Era un illuminato statista, un generoso servitore del Paese, un coraggioso interprete del nuovo che avanzava, un nemico di ogni estremismo, un professore prestato alla politica o, forse, il politico che non disdegnava di mettersi a confronto con gli allievi vestendo i panni del professore. Soprattutto, era un uomo semplice che considerava la politica un servizio di carità e mai un privilegio. Era il 16 marzo 1978 quando venne rapito a Roma in via Fani. Era il 9 maggio dello stesso anno quando il suo corpo martoriato venne fatto ritrovare, rinchiuso nel bagagliaio di un’auto rossa, in via Caetani, al centro di Roma.

Oggi il ricordo riaffiora, rimette al centro la sua lezione, rinnova pensieri di gratitudine e di cordoglio, ma anche di rimorso… Quell’uomo, spesso superficialmente ritenuto “arcigno e severo” era invece un condensato specialissimo di umanità. “Egli – scrisse allora Mario Melloni, corsivista del quotidiano comunista che firmava i suoi pezzi col nome di Fortebraccio, “non è un uomo tetro ma serio, non è assorto è attento, non è scontroso ma riservato”.

Non so se i romani, passando ieri da via Fani, abbiano ricordato quell’uomo che le brigate rosse rapirono immaginando bastasse quel gesto ipocrita e crudele per metterlo a tacere e per sotterrare il suo pensiero. Spero che qualcuno abbia rimesso al centro del giorno il suo ricordo. Perché è ricordando che e facendo tesoro delle parole pronunciate che si può migliorare il presente. Così, ho ricercato il testo dell’ultimo discorso pronunciato da Aldo Moro. E’ datato 28 febbraio 1978 e Aldo Moro lo pronunciò davanti all’assemblea della Democrazia Cristiana per spiegare le ragioni che portavano a quella convergenza destinata a passare alla storia col titolo di “compromesso storico”.

Di quel discorso mi ha di nuovo colpito il vigore con cui Moro poneva la questione delle responsabilità. Diceva, e quel suo modo di dire mi è sembrato adatto all’adesso vissuto e subito: “Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà. Quello che è importante è affinare l’anima, delineare meglio la fisionomia, arricchire il patrimonio ideale che ci appartiene… Quello che è importante in questo passaggio (tempo, momento) è preservare ad ogni costo l’unità del partito… Per questo dico a tutti: stiamo vicini… che se dovessimo sbagliare, meglio sbagliare insieme; se dovessimo riuscire, sarebbe estremamente bello riuscire insieme, a essere sempre insieme… Camminiamo insieme, perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi…”, a chi cammina insieme cercando la pace. Leggetelo quel discorso, e applicatelo ai giorni di guerra che siamo costretti a subire.

Aldo Moro, per molti di noi, non è stato un semplice politico e tantomeno un semplice popolare-democristiano. Egli è stato, invece e soprattutto, simbolo ed alfiere di un modo nuovo di intendere la politica. Non più contrapposizione tra blocchi ideologici; piuttosto incontro di culture e uomini obbligati dalle necessità e dalle rispettive provenienze ad essere diversi, ma forse anche già coscienti della missione loro affidata dalla storia: costruire una società finalmente nuova e giusta nella quale diritti e doveri di ciascuno fossero evidenti e consolidati, costruire un futuro degno d’essere vissuto da chiunque…

Aldo Moro credeva la politica il mezzo essenziale ed insostituibile per garantire ai cittadini, chiunque essi fossero e quale fosse la loro provenienza, democrazia e partecipazione effettiva alla gestione della res pubblica, della cosa pubblica, vale a dire quell’insieme di Istituzioni, che vanno dal Comune allo Stato, alle quali è assegnato il compito di garantire sviluppo, giustizia, lavoro, libertà, pace…. Aldo Moro, di fronte al pericolo del disimpegno dalla politica, un male che già affiorava in quegli anni, ammoniva: “Ricordatevi, se noi non ci occupiamo di politica, la politica si occuperà comunque di noi”. E ancora: “Guai stare comodamente alla finestra osservando la storia che scorre; meglio essere nella storia piuttosto che subirla. Guai ai politicanti interessati: dietro parole e promesse nascondono sempre il loro tornaconto”.

Oggi, per impedire che una nazione (la Russia di Putin) schiacci un’altra nazione (l’Ucraina di Zelensky) è necessario ridare forza alla politica, è logico non stare alla finestra, è indispensabile cancellare ogni ricorso all’equidistanza, è urgente far tacere le armi e così camminare insieme sulle strade della Pace. La Pace, che non è, come disse Papa Giovanni XXIII, “il tacere delle armi” ma la realizzazione di quattro principi indissolubili: verità, giustizia, solidarietà e libertà. Infatti, non c’è pace finché non c’è verità, non c’è pace senza giustizia. E non c’è pace se essa non si fonda sulla solidarietà (“che non è una virtù facoltativa – è scritto nell’Enciclica -, ma un dovere di giustizia”). Ultimo pilastro della pace è la libertà, che non può essere “pagata con la mancanza di libertà degli altri”. Ecco, “non è un caso che le nazioni più forti ricorrano, per risolvere i problemi, alle soluzioni violente, alle guerre che sono al di fuori della ragione umana, che danno ragione ai più forti, non ha chi ha eventualmente ragione”. Invece “la libertà coincide con la non violenza, che non è viltà o non far niente, ma la scelta più autenticamente umana, perché riconosce le ragioni di chi le ha, anche dei più deboli, e quindi orienta veramente verso la pace”.

Cose di ieri che obbligano anche adesso a pensare. Magari per scoprire che la pace è ancora possibile.

LUCIANO COSTA

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