La pace non è semplicemente «assenza di guerra armata o di sangue versato». Così scriveva Emmanuel Mounier (filosofo francese, scrittore e giornalista, che insieme a Jacques Maritain è considerato uno dei massimi esponenti del cattolicesimo politicamente impegnato, morto nel 1950) nel suo libro I cristiani e la pace, dato alle stampe nel 1939, mentre Hitler imperversava. Dire che la Conferenza di Monaco «ha salvato la pace significa: i fucili non hanno sparato», annotava laconico nelle prime righe del volume, che l’editore Castelvecchi ha deciso ora di pubblicare in una nuova edizione con una prefazione di Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Pd, e l’introduzione del filosofo Giancarlo Galeazzi.
Con l’invasione dell’Ucraina decisa da Putin, in effetti, queste pagine del fondatore del Personalismo comunitario cristiano tornano, purtroppo, di strettissima attualità. Per Ceccanti, la guerra che dopo tanti anni è tornata a infiammare e terrorizzare l’Europa, oltre a «rilanciare seriamente» le riflessioni contenute nel testo «con il rigetto sia del bellicismo sia di un astratto pacifismo», ci aiuta anche, anzi soprattutto, «a leggere bene l’articolo 11 della Costituzione».
In quel passo della Costituzione, argomenta il giurista e parlamentare, «la rinuncia alla guerra prende il suo senso nella costruzione di una nuova autorità legittima chiamata a rompere il sistema delle sovranità nazionali assolute»: l’Onu quindi, fondata nel 1945, e la futura Unione Europea. Non a caso di «forme di futura unità europea» si discusse già alla Costituente, dal dicembre del 1946. Quanto poi alla decisione di «ripudiare la guerra» (e non “rinunciare” oppure “condannare”), Ceccanti riporta la spiegazione di Meuccio Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione, secondo il quale il verbo scelto «ha un significato intermedio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra».
Nessun dubbio, dunque, sulle intenzioni dei Costituenti. È un fatto però che negli anni successivi, e pur all’interno di sodalizi internazionali, la democrazia italiana e le democrazie occidentali in generale si sono trovate alle prese con decisioni difficili: dalle due guerre del Golfo al Kosovo, dall’Afghanistan fino, appunto, all’invio di armi all’Ucraina. «Questi dilemmi si prestano male a sicurezze assolute», riconosce Ceccanti, ricordando tuttavia che «un Diritto imperfetto» come può sembrare quello delle liberal-democrazie «è sempre meglio di alcun Diritto».
Lo stesso Mounier pensava che la creazione di «una società naturale delle nazioni» fosse l’unico modo per mettere in discussione «la sovranità assoluta degli Stati che genera le guerre». Il bellicismo, per il pensatore francese, è figlio infatti della sovranità statale. Ma, allo stesso tempo, Mounier distingueva con forza «il realismo cattolico» da «una certa ideologia pacifista». E spiegava: «In un mondo in cui certi vogliono la guerra o almeno non la escludono nei loro rimedi, rifiutare ogni azione che potrebbe comportarne il rischio significa rifiutare ogni resistenza, poiché il rischio è ovunque, salvo nell’avvilimento o nel suicidio deliberato. Questo rischio deve essere corso, facendo al contempo uno sforzo tanto più eroico per scongiurarlo. Dio deciderà del risultato».
Scongiurare il rischio di altre guerre era ed è il compito dell’Onu, l’organizzazione delle nazioni unite. Sublime impegno, purtroppo oggi offuscato da veti e pretese che sono assurdi e improponibili rispetto alla realtà: quella che si dipana adesso in Ucraina, libera nazione invasa e obbligata alla guerra dalla Russia, quella che appena ieri ha insanguinato Paesi del mondo in cui le armi non hanno taciuto soffocando ogni ragione e qualsiasi discorso orientato a cercare la pace. Mounier, in quegli anni in cui Hitler imperversava, ammoniva sul rischio di considerare la pace soltanto “assenza di guerra armata o di sangue versato” e invitava a diffidare del potere affidato ai potenti piuttosto che equamente suddiviso tra le nazioni. Poi, quando nel 1945 nacque l’Onu, al mondo scosso dalla guerra parve giunto il tempo di una pace globale confermata e garantita da un organismo finalmente rappresentativo del diritto alla pace proprio di qualsiasi nazione. Adesso, di fronte a risoluzioni disattese e a incapacità evidenti di impedire il ricorso alle armi, ripensare il ruolo dell’Onu è un dovere. E’ un pensiero dominante, condiviso, necessario. Ieri papa Francesco, sottolineando nel corso dell’udienza generale del mercoledì l’orrore della guerra in Ucraina e dei crimini commessi contro civili innocenti, non ha esitato a sottolineare le debolezze attuali dell’Onu. “Dopo il secondo conflitto mondiale – ha detto – si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace; ma poiché non impariamo si è andati avanti con la vecchia storia di grandi potenze concorrenti. E nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo all’impotenza della Organizzazione delle Nazioni Unite”. Così in Ucraina si continua a morire e a contare i crimini commessi. Fino a quando durerà questa assurda guerra?
“Di fronte alle autentiche atrocità della guerra – ha scritto ieri il direttore del quotidiano di Cremona Marco Bencivenga – gli occhi non bisogna chiuderli, ma sgranarli, perché solo la consapevolezza dell’orrore può spingerci a dire basta, a reagire, a mobilitarci sul piano individuale e collettivo. Altrimenti, la rimozione della verità non è più una legittima forma di autodifesa, ma diventa vigliaccheria, omissione di soccorso, codarda fuga dalla realtà. Un po’ quello che successe nel ventesimo secolo con l’Olocausto: possibile che nessuno vedesse o sapesse? Possibile che nessuno si chiedesse che fine facessero tutte quelle persone caricate nei vagoni di un treno diretto in una sola direzione, sempre e soltanto verso i campi di concentramento e mai verso l’uscita o la libertà? Certo, la razionalità impedisce di pensare che si possa davvero pianificare di sterminare un intero popolo nelle camere a gas, ma la storia dimostra che l’impossibile… è successo!”, che rinnova il suo lugubre metodo.
Nel frattempo il dibattito sui crimini di guerra commessi dai soldati di Putin in Ucraina si arricchisce ogni giorno di nuovi capitoli e nuovi orrori. Foto, video e testimonianze shock raccontano atrocità talmente spaventose da sembrare inventate. “Ed è esattamente qui, in questo momento preciso, che la storia si incrina e a ognuno di noi viene richiesto uno scatto in avanti, un sforzo in più, una reazione coraggiosa per evitare di cadere nella trappola dell’orrore e della disinformazione”. Non possono esserci esitazioni di fronte all’obbligo di far tacere le armi; non si può voltare lo sguardo e fingere di non sapere. Non lo può fare l’Europa, non lo può fare l’America, non lo possono fare la Cina e gli altri interessati “amici” di Putin. Adesso serve solo la pace
L. C.