Che cosa resta dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica? Di buono la rielezione di Sergio Mattarella; di gramo la crisi della Politica; di pessimo i partiti e i loro capi. Nei sei giorni di votazioni (inutili) il cuore dell’orologio, tra i partiti, tutti nessuno escluso, ha segnato soltanto incertezze e sottili seppur visibili lotte, sempre intraprese per far prevalere non il bene comune ma la vittoria personale. “Così – mandava a dire la Politica, signora inascoltata – non si va da nessuna parte”. Vero, ma quella ciurma di poco pensiero e ancor meno intelletto, troppo impegnata in faccenduole di bottega, non ascoltò richiamo preferendo avventurarsi per l’oscura valle benché sapesse che alla fine non avrebbe trovato il lume che indicava la via da seguitare, ma soltanto la condanna dovuta a chi, come loro, aveva sciupato l’occasione per onorare la Politica e il mandato ricevuto dal popolo. Poi, all’ottava votazione, quella che oggi chiamiamo “svolta” ma che fino a quel punto era considerata “miracolo”. Da quel momento i partiti e i loro capi non contavano più. Al loro posto c’era chi della responsabilità necessaria per assicurare un futuro degno al Paese aveva fatto virtù. Fu allora che Mario Draghi, Presidente del Consiglio e più volte indicato come possibile inquilino del Quirinale, andò da chi un anno prima l’aveva chiamato per guidare il Governo fuori dalle crisi per dirgli, (immagino sia andata così, anzi: sono sicuro che è andata così) “guarda Sergio che quelli lì non riescono a cavare un ragno dal buco, figurati se trovano un Presidente da mettere al tuo posto. Quindi, come io ho risposto al tuto richiamo, tu adesso rispondi al mio: accetta di restare al tuo posto per i prossimi sette anni”.
Il seguito lo conoscete. Invece, forse, vi sfugge l’entità della crisi: della Politica e dei partiti. E’ grave, credetemi. La Politica, che è dialogo, confronto, servizio, mediazione, risorsa e virtù equiparabile, senza incomodare san Paolo, all’esercizio della carità, lor signori l’hanno messa fuori gioco preferendo lo scontro all’intesa, privilegiando l’io invece del noi, gridando ragioni che di ragioni non ne vantavano neppure una, cancellando ogni buon pensiero per far posto soltanto a metodi che il pensiero dominante lo identificavano (e identificano) nel tornaconto partitico quando non già personale. “Al netto delle mancanze restano le colpe, che sono tante” ha detto un politologo. Ora, benché sia di moda mettere tra un discorso fatto e un altro che principia l’espressione “al netto…”, ovviamente di qualcosa che si suppone debba essere purificato, resto convinto che al suo posto l’espressione “fare piazza pulita” sarebbe assai più congeniale. Consiglierei perciò di mettere da parte “al netto” (è diventato un’ossessione, tal quale a quella che infestò la patria lingua implorando aiutini e facendo uso indiscriminato di assolutamente) e di usare la scopa per rendere netto (pulito, limpido, visibile, trasparente) il distacco tra chi offendendo la politica semina vento e chi invece cerca costantemente di far valere le ragioni della Politica.
E adesso? Tutti pronti a fare ammenda e a evidenziare propositi di rifondazione e di redenzione… Ma, davvero c’è qualcuno disposto a credere che sempre loro siano gli artefici delle novità auspicate? Continua a dubitare. Li vedo beati nella loro incoscienza litigiosa, credo abbiano la pancia di leccornie, ma sono sicuro che la testa ce l’hanno vuota di idee e di programmi. Certo, come ha scritto qualche giorno fa Michele Serra “la pancia piena è meglio di quella vuota, ovvio. Ma anche questo non basta a sentirsi felici, o quanto meno sereni. Anche perché ci hanno progettato, a quanto pare, con pance estensibili quasi all’infinito: più le riempi, più le riempi, più hai fame. Che ci serve? Dieta? Decrescita felice? Maggiore ricerca di soddisfazione nel sentirsi comunità come ai tempi (beati, checché se ne dica) dell’impegno politico di massa? Musica, cultura, arte, silenzio, paesaggi? Be’, un po’ di tutte queste cose, certamente in più, senza dubbio, respirare forte e guardare le nuvole per sentirsi un poco più in sintonia, con il mondo che ci ha generato”. Un mondo che ai giovani offre spazi, ma non certezze; che ai vecchi assicura la pensione, ma non la giusta considerazione; che per le donne reclama parità, ma che però non ne trova una da mandare al Colle più rappresentativo. E il futuro? Tutto da inventare, magari partendo dai giovani. Perché toccherà a loro costruire quel buon futuro atteso e possibile solo con l’impegno di tanti se non di tutti. E questo modo di procedere passa attraverso la Politica, non quella che abbiamo visto arrovellarsi e perdere dignità rincorrendo voti per eleggere uni di loro, bensì l’altra, quella che il servizio alla gente lo considera una virtù.
Però, i giovani sono davvero destinati a distanziarsi sempre più dalla Politica oppure cambieranno il modo stesso di fare Politica attraverso movimenti “dal basso”? E se i sondaggi in Italia e non solo sembrano registrare una disaffezione dei giovani dalla Politica tradizionale, quella per intenderci incarnata dai partiti, quali scenari si aprono? Nessuno lo sa. Di certo è chiaro che “la generazione dei padri non ha trasmesso ai figli che l’impegno in società e nella Politica è importante come lo sport, la scuola o altre dimensioni necessarie del vivere. Poi la cultura liquida, nata dopo il fallimento di quella solida delle ideologie, ha promosso la costruzione del consenso attraverso gli influencer, le cui posizioni superano quelle di molti leader politici”.
Ricordando come eravamo, a noi carichi ormai di anni, vien da dire che un tempo i partiti puntavano sulle scuole di formazione, quella cosa che oggi sembra una esperienza semi-archiviata, rilevando l’urgenza di una formazione civica dei giovani, quella che adesso la scuola non sembra offrire in modo sufficiente. Se così stanno le cose, come si può pensare che i giovani si appassionino alla Politica? Forse “puntando non solo sui contenuti, ma sul metodo, che si basa almeno su quattro elementi: un luogo; un pensiero con radici spirituali e antropologiche; la preparazione rigorosa dei temi complessi; la costruzione di una comunità”. Se questo diventasse il percorso, potremmo anche sperare di dare alla Politica (che mi sono ostinato a scrivere con la iniziale maiuscola, per rispetto e gratitudine) una vita nuova e certa.
LUCIANO COSTA