Santi e Morti: due giorni dedicati al ricordo

Una giornata di pioggia, di un autunno normale, come da tempo non si vedeva. Nella festa dei Santi, vigilia di quella dei Morti, sono prevalse brevi visite ai cimiteri e celebrazioni finalmente corpose nelle chiese dove ogni parola era un ricordo e ogni ricordo diventava una lacrima per le tante vittime del virus. La domanda più insistente non era, come di solito accadeva, il senso della vita, ma perché la vita debba essere sempre così turbata da eventi imprevedibili, da tragedie inspiegabili, da desolazioni e pianti che nessuno mai avrebbe voluto vedere e ascoltare. “Stiamo combattendo il virus con tutti i mezzi – diceva ieri un medico -, ma resta l’imponderabile, che adesso si chiama rifiuto di vaccinarsi, che domani si chiamerà impossibilità di vaccinare tutti i popoli della terra, che poi diventerà paura di altri possibili virus…”. E’ la natura si ribella allo sfruttamento cui è stata sottoposta? Non lo so. Spero che l’umanità ritrovi il senso dell’essere e del fare l’uno per l’altro e insieme per tutti.

“Santi benedetti – ha detto il parroco nella Messa celebrata nel piccolo camposanto del paese davanti agli abitanti di ieri e di oggi – fate in modo che finisca questo tempo di pandemia; e voi, ospiti di questo camposanto, che assaporate il sonno dei giusti, chiedete al Signore della terra di usare misericordia per il suo popolo”. Poco dopo i ragazzi delle scuole innalzavano la canzone della pace che chiedeva “pace per i vivi e per i morti, per i buoni e per i cattivi, per gli innocenti e per i colpevoli, per ciascuno che spera e che chiede una porzione di mondo da abitare senza temere le onde terribili del male, di un male che oggi si chiama ancora covid-19…”. Quei ragazzi, in cuor loro speravano anche un tempo nuovo di gioia e di serenità capace di abbracciare l’umanità intera.

In fondo al camposanto, distrattamente appoggiati al uro che delimita ciò che siamo stati e ciò che siamo – il dentro e fuori del palazzo della vita, perché è così che la geografia classifica i giorni concessi a ciascuno – alcuni assistevano distratti, lasciando che a fare memoria dei morti fossero il prete, le pie donne e i vecchi. Per loro, infatti, valeva l’immediato, come la notte di “halloween” appena trascorsa tra scherzi, dolcetti, bevute stimolanti e zucche piene di niente. Però erano lì. E forse quella presenza voleva dire che in fondo, la memoria e l’affetto per chi aveva incontrato la morte non era cosa di poco conto. Forse, a loro modo, nei Santi e nei Morti che il popolo fedele celebrava, cercavano risposte alle paure.

Ieri e anche oggi sono i giorni del ricordo che interrompe la lontananza e ricuce e amplifica gli affetti; sono il tempo della memoria che riannoda le fila di discorsi lontani, mai interrotti, solo lasciati in sospeso quando gli eventi hanno costretto qualcuno ad andare oltre il confine, altri dal sud al nord, altri ancora a cercare terreni da coltivare oltre il territorio conosciuto, oppure verso le periferie della città, laddove tra campi e filari di pioppi stavano sorgendo fabbriche e officine, villaggi e condomini. Ieri e anche oggi sono i giorni in cui al piacere di incontrare amici altrimenti impossibili da incontrare, s’è aggiunta la preoccupazione per chi non c’era. “Mario – mi ha detto l’amico un tempo vicino di casa -, ha fatto sapere che del paese in cui aveva trovato amore e fortuna non restano che macerie”. Qualcuno ha allora detto che sarebbe il caso di far sapere a Mario e alla sua famiglia di tornare, che qui c’è posto e affetto per loro. Chissà, forse l’anno prossimo tra le file di croci che onorano il piccolo camposanto, ci sarà anche lui, felice di salutare gli amici e di sentirsi di nuovo a casa.

Al di là degli affetti e dei ricordi, benché la moltitudine di gente presente non fosse necessariamente arrivata perché spinta da sentimenti di religiosità profonda, al centro della festa dei Santi e dei Morti resisteva l’idea del sacro che accompagna ogni singolo passo. Sacro e profano, in giorni come questi, si confondono fino al punto di trovare quel comun denominatore che annulla le distanze e restituisce il piacere del ritrovarsi insieme. Certo, il tempo regala nuovi scenari, ma per fortuna non riesce ancora a cancellare ciò che eravamo: gente che delle pene e delle gioie faceva un unico fardello, perché gioie e pene era meglio condividerle così che passassero in fretta e in fretta cambiassero indirizzo. Allora, tanti anni fa, il pane dei morti salutava la tavola della festa dei santi e se qualcuno chiedeva perché mai quel fagotto di cose buone destinato ai defunti veniva servito il giorno dedicato ai sicuri ospiti del Paradiso, gli veniva spiegato che “proprio mangiando il buono si evitava di masticare senza fine il gramo”. Insomma, quel pane dei morti mangiato nel giorno dei santi era un deterrente alle disgrazie e certezza di vita. Magari nessuno ci credeva, però quel dolce boccone nessuno lo rifiutava. Ricordando quel modo di essere e di vivere la festa dei Santi e subito dopo quella dei Morti, ha fatto dire al vecchio Filippo, con una punta evidente di melanconia, che “forse, ma solo forse, si stava meglio quando si stava peggio”.

Nel grande cimitero monumentale della città, anche ieri chi salutava i morti non mancava di stupirsi davanti a lapidi su cui si potevano leggere pensieri filosofici, riflessioni sacre, sospiri d’infinito e, anche, prosopopee laudatorie difficili da comprendere e ancor più giustificare. Davanti alla tomba decorata da un semplice ma filosofico “poeta muto”, qualcuno sorrideva senza poter nascondere una lacrima amica. La piccola Maria Grazia, leggendo che un tale avrebbe “camminato nella terra dei vivi alla presenza del Signore”, chiese subito alla mamma se era vero e se era scritto anche in Internet; Samuel, figlio cristiano di un già musulmano (capita anche a loro di scoprire un profeta diverso, che ama e perdona tutti senza distinzione) pretese invece gli venisse spiegato che cosa significava quel “infinito cielo” assicurato alla defunta che lì riposava da almeno cent’anni; un frate raccomandava di  lasciar da parte le parole difficili e i dubbi ombrosi per andare in fretta al di là delle apparenze, magari verso “cieli e terre nuove”.

Fuori dal grande e monumentale cimitero, una scritta di certo non improvvisata assicurava che “morte e vita”, benché nessuno lo voglia, “ci sono compagne”.

LUCIANO COSTA

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