Per la serie “ci sono le vacanze di Pasqua e qualcuno parte mentre altri sono costretti a stare a casa”, vale forse la pena aggiungere qualche riflessione sul dramma che l’assenza di scuole aperte sta provocando. In una nota dell’Associazione nazionale genitori, si leggeva l’altro ieri che “senza scuole aperte si toglie ai ragazzi la possibilità di crescere imparando e confrontandosi con i loro simili. Il che – aggiungeva la nota – lascerà segni indelebili e negativi nella loro personalità”. Un’insegnante di scuola primaria, piangendo, ha confessato di sentirsi “inutile davanti a uno schermo sapendo che a distanza i suoi ragazzi non sentivano certo il suo affetto e neppure vedevano la sua preoccupazione”. Tanti anni fa, un pedagogista illuminato come Vittorino Chizzolini, scrivendo di diritto al sapere, ribadì che “nessuno, per nessun motivo, deve essere escluso: non c’è ragione, per quanto grande e onerosa, che possa avere il sopravvento su tale diritto. E i Paesi che possono, perché la ricchezza è nelle loro mani – aggiungeva –, devono impegnarsi ad assicurare ovunque e a chiunque tale diritto”.
Ripensando al tanto fatto da educatori come Vittorino Chizzolini, ha osservato il presente vedendo intorno tanta, troppa, miseria: intellettuale e sociale. Non a caso il Covid-19 ha trascinato il mondo in un baratro di morte, di malattia, di povertà, ha messo, e tuttora mette, a dura prova l’equilibrio mentale delle persone, colpite dallo stress, dall’isolamento sociale, dall’incertezza in generale. E mentre è già incominciato il secondo anno di pandemia, i conti si fanno anche con la chiusura totale o parziale delle scuole. L’Unesco ha sempre espresso i timori per il rischio di un aumento delle diseguaglianze, tanto da istituire una “Coalizione mondiale per l’educazione” – “Global Compact on Education” -, che ha visto coinvolti molti partner importanti, da organismi internazionali, a imprese del settore privato, a organizzazioni no profit e filantropiche, con l’intento di aiutare i Paesi a potenziare l’apprendimento a distanza e consentire loro di raggiungere tutti i ragazzi e ragazze che corrono il maggior rischio a causa della chiusura delle scuole.
Un patto che la Chiesa cattolica, già nell’ottobre scorso aveva rilanciato chiedendo un nuovo impegno educativo per un mondo dove “non ci sia posto per questa cattiva pandemia della cultura dello scarto”. A distanza di un anno, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, ha fatto il punto della situazione in un evento non a caso intitolato “l’apertura delle scuole, il recupero degli apprendimenti, la trasformazione digitale”.
Secondo gli esperti convocati per discutere e induividuare linee di azione comune, ad oggi, secondo anno di convivenza con il coronavirus, si stima che due terzi della popolazione studentesca mondiale sia ancora colpita dalla chiusura totale o parziale delle scuole. Una chiusura che non tutti i bambini, ragazzi e ragazze, hanno vissuto nello stesso modo. “Nei Paesi occidentali, del cosiddetto Nord del mondo – ha spiega Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes, uno dei più grandi movimenti al mondo per la difesa dei diritti dei bambini – circa il 90% dei bambini e delle bambine, sono riusciti ad approfittare di una qualche forma didattica a distanza, questa percentuale, però scende in maniera esponenziale nei Paesi del Sud del mondo, dove si stima che soltanto un 35- 40% al massimo di bambini ne abbia potuto usufruire”. Per molti studenti la scuola è chiusa completamente, in molti Paesi del Sud del mondo, la forbice tra i ceti medi e più agiati e quelli più poveri e più vulnerabili si è ancora più divaricata.
Ma non è questo il solo drammatico dato, perché è ormai conclamato che il sesso femminile, le bambine e le ragazze sono le più colpite. “Già oggi – ha aggiunto Ferrara – si stima che 11 milioni di bambine non torneranno a scuola”. Questo, purtroppo, sta facendo fare un balzo indietro di circa 30 anni, allontanando sempre di più la popolazione mondiale dagli obiettivi del millennio. Questi numeri avranno conseguenze gravissime, ma ci sono aspetti che vanno al di là di questo dato, come ad esempio quello della malnutrizione. “A scuola – dicono gli esperti – normalmente si consuma, nei Paesi più poveri, soprattutto un pasto, il pasto sano, almeno uno, a volte anche due. Uno degli indicatori che abbiamo ci dice che il numero di bambini malnutriti aumenterà di circa 80 milioni nel corso di questo anno, soprattutto a causa del mancato accesso a scuola”.
L’atro ieri, nel corso di un’udienza particolare, papa Francesco ha detto che oggi non si tratta di “essere o non essere”, bensì di “vedere o non vedere”. Dinanzi ai drammi che stiamo vivendo – pandemia, guerre, sfollati, emigrazioni, povertà… – l’alternativa al il shakespeariano dubbio si trasforma in un monito per le coscienze. Ieri, un sociologo e politologo solitamente scettico su ogni forma di carità cristiana o comunque fideistica, ha scritto che “i ricchi potranno continuare a vivere nella loro ricchezza solo e soltanto se i poveri, tutti i poveri del mondo, saranno vaccinati e dunque sottratti al virus pandemico”. Insomma, se ho ben capito, la ricchezza è un attimo fuggente, che per sopravvivere e mantenersi in forma, ha bisogno che i poveri siano e continuino a essere sani.
L. C.