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Se c’è Sanremo, il resto non conta…

Un balconaro impenitente, di quelli ospitati nel domenicale, mi ha pregato di tagliare la politica e di occuparmi degli stracci che la cronaca regala, tutti i giorni, a sapienti e ignoranti, però non in parti uguali, essendo chiara la prevalenza del cretino su tutto e su tutti. Il principe degli stacci è oggi il festival di Sanremo, incominciato con una selva di poltrone vuote dei soliti deretani (Fiorello li ha chiamati in modo diverso ma uguale), tutto lustrini e merletti, ammantato di novità, con tanta voglia di stupire e di far sorridere, comunque ostaggio dei soliti luoghi comuni, dei soliti piagnistei, delle solite esagerazioni mediatiche. “Ridiamoci sopra” e, forse, riusciremo a sopravvivere. Però, questo mettere Sanremo davanti a tutto, a me garba poco. E a voi?

Perché, come dice il vecchio Martino, qui e altrove c’è dell’altro: pandemia, nuovo dpcm, colorazioni che variano, politicanti che litigano, morti ammazzati, ruberie, imbrogli, vulcano in attività, americanate (trumpianate), dittature senza vergogna, soprusi palesi, privazioni assurde di libertà e democrazia, studentesse rapite, bambini che muoiono sommando numeri impressionanti, guerre dichiarate-guerreggiate-mostrate-acutizzate ma sempre e comunque assurde, carestie, sconvolgimenti climatici, vendette, egoismi, corse assurde a chi prima arriva ai vaccini, quali che siano non importa…

Poi, nel gran marasma del cosiddetto “altro”, un papa, Francesco, parte per il viaggio in Iraq, il più difficile e importante del suo pontificato, fatto per esprimere vicinanza ai cristiani, sostegno alla ricostruzione del Paese devastato da guerre e terrorismo e per porgere la mano ai fratelli musulmani.

Intanto, nell’anno internazionale dedicato allo sradicamento della piaga del lavoro minorile, i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia Onu, sono drammatici: 152 milioni di bambini ed adolescenti in condizione di schiavitù o trasformati in lavoratori poveri. La pandemia, anche in questo, è stata e continua a essere un formidabile acceleratore di diseguaglianze. Per cui, chiuse le scuole ed erose le entrate delle famiglie, i minori sono divisi in due gruppi: quelli che salgono sul treno digitale della didattica a distanza protetta dal reddito e quelli che devono procurarsi il pane da soli.

Ad oggi, cioè a poco più di sessanta giorni dall’inizio dell’anno, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ricordano a me e a chiunque voglia intendere, che “sarebbero già circa 160 le vittime del 2021 nel Mediterraneo centrale”, che “lungo tutta la rotta che porta, attraverso la Libia, al Mediterraneo centrale, sono decine di migliaia le persone vittime di inenarrabili brutalità per mano di trafficanti e miliziani”. Su oltre 3.800 persone arrivate in Italia via mare dal primo gennaio, almeno tremila sono partite dalle coste libiche”. Secondo i dati raccolti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni “nello stesso periodo sono state oltre quattromila le persone intercettate in mare e riportate in Libia, dove — costrette a subire una condizione di detenzione arbitraria — corrono il rischio di diventare vittime di abusi, violenze e gravi violazioni di diritti umani”. L’Unhcr e l’Oim hanno un’altra volta ribadito che “la Libia non è da considerarsi un porto sicuro” e che deve essere fatto ogni sforzo affinché le persone recuperate in mare non vi vengano riportate. Infatti, in linea con gli obblighi internazionali, il dovere di salvare persone alla deriva in mare deve sempre essere rispettato, indipendentemente dalla loro nazionalità e dallo status giuridico. Il fatto che rifugiati e migranti continuino nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale è poi la riprova della necessità di uno sforzo internazionale immediato per offrire ad essi alternative valide. Le soluzioni ci sono, ma per attuarle serve è un cambio di passo per rafforzare l’accesso all’istruzione e per aumentare i mezzi di sostentamento. Oltre il mare cosiddetto nostrum, c’è la questione legata  alla rotta balcanica dei migranti, che si interrompe dal 2018 a pochi chilometri dalla Croazia, intrappolando nei boschi gelati della Bosnia ed Erzegovina migliaia di profughi. Ottomila almeno, tremila dei quali accampati alla bel e meglio nella neve. Arrivano da Afghanistan, Pakistan, Iraq e Siria, hanno  in tasca un passaporto — almeno chi è riuscito a conservarlo — che nel mondo diviso in frontiere equivale a un marchio più che a un lasciapassare, un documento che li condanna alla traversata illegale.

Ma nonostante tutto questo, la migrazione non si ferma: è un diritto dell’uomo, un movimento naturale che crudeltà e barriere non riusciranno mai a impedire.

Tutto vero? Purtroppo sì. Però c’è Sanremo e tutto il resto passa in secondo piano.

LUCIANO COSTA

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