Dovrei… Dovrei fare gli auguri a quel tale che oggi compie gli anni (tanti, mai troppi, comunque pesanti) mettendo bene in vista la sua condizione di anziano – illuso utopista sognante – pazzamente convinto che nonostante sia evidente lo stare sospesi “come le foglie d’autunno” è meglio esserci piuttosto che non esserci a raccontare ogni giorno un giorno degno d’essere raccontato; dovrei inventare parole per circondare i pallonari di Napoli con la giusta gloria dovuta a chi sul campo ha vinto aggiudicandosi con ciò un rettangolo di stoffa chiamato scudetto; dovrei sorridere (o magari sghignazzare) alla pomposità stucchevole con cui inviati di ogni tipo-specie-classe-provenienza s’industriano per raccontare l’incoronazione di Carlo, certo un re per chi ancora crede che possa ancora esistere la monarchia, ma nulla più di un “principe travicello” se l’dea di una corona posata sulla testa di un chicchessia non basta a elevarlo al di sopra della folla… Dovrei… Invece mi astengo: invecchi pure l’utopista, si esaltino i pallonari di Napoli per l’oro conquistato, esulti il re-principe-sovrano d’Inghilterra… Tutto in un giorno, poi la solita somma di problemi e di inadempienze tornerà a pretendere udienza. E tutto ricomincerà, come prima, peggio di prima. Allora, ecco il solito menù, che oggi offre fame, sottosviluppo, crisi alimentare, guerre, siccità, migrazioni selvagge, morti ammazzati, provvedimenti che volendo dire tutto non dicono niente… Ecco, prorompente, quel dice il rapporto sulla fame e il sottosviluppo nel mondo…
ECCO A VOI la “pungente” accusa contro l’incapacità dell’umanità di porre fine alla fame e raggiungere la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione «per tutti». Non usa mezzi termini il segretario generale dell’Onu, António Guterres, commentando i dati dell’ultimo Rapporto globale sulle crisi alimentari (Global food security report) che mette nero su bianco una sconcertante realtà: quasi 260 milioni di persone nel mondo soffrono la fame. Per l’esattezza, 258 milioni. Il documento, redatto dai 16 attori della rete globale sulle crisi alimentari, che comprende l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il Programma alimentare mondiale (Pam-Wfp) e l’Unione europea, specifica infatti che nell’arco di un solo anno coloro che sono stati colpiti da una “grave insicurezza alimentare” sono passati dal 21,3 per cento del 2021 al 22,7 del 2022. Coinvolti 58 Paesi e territori, rispetto ai 53 del 2021.
A incidere sono soprattutto i conflitti, che secondo gli organismi internazionali mobilitati rimangono il «principale motore» delle crisi alimentari, coinvolgendo 117 milioni di persone, anche se in calo rispetto al 2021: alle conseguenze di oltre un anno di guerra in Ucraina e alle instabilità globali, si aggiungono altri fattori, come gli shock economici legati anche alla pandemia da covid-19, che negli ultimi dodici mesi hanno avuto un peso maggiore in particolare in Afghanistan, Siria e Sud Sudan. E, non ultimi, gli eventi meteorologici-climatici estremi, che sono risultati catastrofici per quasi 57 milioni di persone in 12 Paesi.
L’insicurezza alimentare acuta, rileva il rapporto giunto alla settima edizione, rappresenta una minaccia immediata per i mezzi di sussistenza e la vita delle persone, facendole scivolare nella carestia. Dal 2016 il numero di chi vive in condizioni di stress alimentare è più che triplicato, passando da 83,3 milioni a 253 milioni nel 2022. Messa in evidenza, inoltre, la natura prolungata di molte emergenze. Le dieci maggiori crisi alimentari nel 2022 che coinvolgono 163 milioni di persone, rappresentando il 63 per cento della popolazione globale, sono quelle in Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Afghanistan, Nigeria, Yemen, Myanmar, Siria, Sudan, Ucraina e Pakistan.
L’insicurezza alimentare acuta comprende i livelli da 3 a 5 della scala internazionale: le condizioni sono quindi di “crisi”, “emergenza”, “disastro”. In quest’ultima categoria rientra la Somalia, dove dal 2020 — come nel resto del Corno d’Africa — si vive la peggiore siccità degli ultimi 40 anni.
La drammaticità del quadro che emerge dal rapporto si fa ancora più preoccupante quando ci si rende conto che sono oltre 35 milioni i bambini sotto i 5 anni che hanno sofferto di deperimento.
Se il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, parla di una situazione «inconcepibile», il direttore dell’Ufficio emergenze e resilienza della Fao, Rein Paulsen, definisce il quadro molto preoccupante. «Quattro rapporti per quattro anni consecutivi hanno infatti registrato un peggioramento costante della situazione – ha sottolineato presentando il rapporto 2023 -; questo ripetersi increscioso di una situazione inquietante chiede un intervento urgente con azioni umanitarie globali da intraprendere subito”. Già domani potrebbe essere troppo tardi. In più, entro la fine del 2023 è previsto l’arrivo del fenomeno climatico “El Niño”, le cui conseguenze potrebbero essere ancora più devastanti.
Dice il rapporto che gran parte degli Stati analizzati si trovano sul Continente africano, dove la fragilità dei sistemi politici e economici ha causato e causa l’esodo di milioni di persone, costrette a vivere come rifugiati in altri Stati oppure da sfollati all’interno del proprio Paese. Per esempio, l’Etiopia ospita più di 800mila profughi provenienti principalmente da Sud Sudan, Somalia e Eritrea. Ma sempre in Etiopia sono più di quattro milioni gli sfollati interni, tutti bisognosi di assistenza alimentare. In Nigeria, dove gli sfollati sono più di tre milioni, la situazione continua ad aggravarsi. E nel resto del continente africano, salvo rare eccezioni, la situazione non è certo migliore.
TUTTO QUESTO ALTROVE. Ma, in Italia, come vanno le cose? L’Italia non è certo menzionata nel rapporto. Però la Caritas, attenta nel monitorare le situazioni di disagio, sottolinea che neppure il nostro paese è immune da povertà, malnutrizione e sottosviluppo. Da noi, infatti, si parla di povertà radicata in poche determinate zone e di povertà evidente che riguarda il mondo dei migranti. Per il resto, almeno secondo alcuni esperti, “non ci sarebbe di cui lamentarsi”. La domanda conseguente è: se così stanno le cose, cosa significano le polemiche in atto su redito di cittadinanza, di accoglienza, di merito o di inserimento e perché tanto clamore attorno alle misure che il Governo ha adottato e intende adottare per far fronte alle sacche di povertà e di abbandono esistenti? “Significano – dicono le associazioni di volontariato – che non bastano le parole, soprattutto quando in gioco c’è la vita di disperati provenienti dal mare… e per affrontare la situazione le nuove misure adottate non bastano”. Di fronte a questa situazione la Caritas italiana non nasconde la sua preoccupazione. Una nota critica diramata subito dopo l’approvazione del “decreto lavoro”, mette in fila quello che non va e invita alla corresponsabilità per trovare insieme opportunità di miglioramento, dialogando in spirito costruttivo sia sulle due misure che hanno sostituito il Reddito di cittadinanza, sia sulla gestione del fenomeno migratorio che non deve più essere emergenziale e deve puntare sull’accoglienza diffusa.
LUCIANO COSTA