Attualità

Se il crollo di una banca fa tremare il mondo…

“Mi sono svegliato con un gran mal di banca”. “Ma dai, vorrai dire che ti fa male l’anca…”. “No! Voglio dire che mi fa male la banca…”. Dialogo immaginario, ma non troppo. Infatti, a sentire il mondo che parla e straparla dentro e fuori televisioni e giornali, se non ti prende un colpo, poco ci manca. Colpa dei zuzzurelloni che negli Usa, zona California, hanno ammassato capitali e li hanno affidati a una banca – la Silcon Valley Bank – che improvvisamente ha fatto crac, è collassata, letteralmente crollata mettendo a nudo la fragilità del sistema che l’aveva fatta nascere e progredire, gettando nel panico non solo i vicini (clienti, residenti dalle sue parti, affezionati a quello scrigno – forse dorato o forse solo colorato – che proclamava la grandezza e la potenza della loro valle, la Silicon Valley, eldorado della scienza e delle tecnologie avanzate), ma anche i lontani (clienti superdotati, banche parallele e parallelamente intenzionate a moltiplicare i guadagni, finanzieri mai sazi, gruppi e sistemi che sulla speculazione hanno costruito mondi luccicanti) non necessariamente americani, almeno se son vere le lacrime versate in giro per il mondo quando l’annuncio dell’irreversibile crisi della banca californiana che con sé trascinava un malloppo stimato attorno e forse superiore ai trecento miliardi di dollari (una cifra che per scriverla necessita di una riserva di zeri non indifferente) ha rotto gli argini sconvolgendo il vivere delle Borse (uffici in cui si contrattano titoli che rappresentano soldi e beni), dei borsaioli (trafficanti di titoli e beni), degli investitori patentati (compratori e venditori per conto terzi, terzi ma mai casuali), degli speculatori (brutta genia di avventurieri sistematicamente in libera uscita) e di chissà quante banche (tutte quelle che sul mercato finanziario recitano la parte di venditori e acquirenti vendono e comprano col solo scopo di fare cassetta).

Oggi saprò e sapremo se il mal di banca è curabile. Però, sinceramente, perché preoccuparsi di qualcosa che riguarda i soliti ricchi e potenti e, per fortuna, non il resto del branco, fatto di piccoli risparmiatori e di felici clienti che alla loro banca chiedono al massimo di custodire il frutto del loro lavoro potendo usare un bancomat o una carta di spesa o una carta di credito o quel poco contante ammesso e appena prelevato dal marchingegno affacciato sulla via da usare e spendere laddove acquista pane e companatico? Appunto: chi se ne frega? Però, dicono gli esperti e amplificano i politici, la burrasca americana potrebbe estendersi… E allora il guaio diventerebbe di tanti (di chi i soldi li ha e li ha affidati chiedendo di riaverli almeno moltiplicati), per fortuna non dei i poveri cristi, dei piccoli risparmiatori, dei clienti che il conto lo contano sempre in sofferenza, di quelli che il futuro se lo stanno costruendo col mutuo, magari a tasso fisso, che se fosse variabile subirebbe gli influssi del mercato negativo.

Fuori di metafora: Silicon Valley Bank non è “un’altra Lehman Brothers” (il gigante finanziario che nel 2008 segnò l’inizio della grande crisi mondiale), ma solo un’avvisaglia di ciò che potrebbe accadere senza che vi siano controlli e opportune salvaguardie. Lehman Brothers crollò trascinando con sé mezzo mondo, perché aveva investito senza freni su titoli derivati complessi, dal valore indefinibile ma in ogni caso lontanissimo da quello indicato a bilancio. A mandare in crisi Silicon Valley Bank, la sedicesima banca degli Stati Uniti, non sono state manovre speculative, ma scelte paradossalmente troppo prudenti. La banca, che gestiva i depositi di almeno metà delle startup della Silicon Valley, negli ultimi anni davanti a un enorme aumento di liquidità aveva pensato di cautelarsi comprando titoli del Tesoro americano, forse il secondo investimento più sicuro e trasparente dopo il dollaro, senza però fare i conti con il rapido rialzo dei tassi imposti dalla Fed e con ciò affossando il valore di mercato delle obbligazioni acquistate. In più, i fondi di venture capital hanno ridotto gli investimenti sulle startup, che a loro volta hanno ritirato i depositi depositati in Silicon Valley Bank, che a quel punto ha dovuto vendere i bond prima della scadenza per rafforzare il capitale. Ci ha perso un paio di miliardi, ha mostrato le sue difficoltà ed è partita la corsa agli sportelli. In tre giorni è fallita. Non era un fondo speculativo, ma una banca tradizionale, che gestiva depositi e faceva prestiti, ma ha gestito male la liquidità. Per questo la sua vicenda difficilmente potrà essere “contagiosa”. Però fa paura, Quindi, state in guardia o voi che possedete beni e denaro…

A questo punto, gli stessi governi sono costretti a considerare con molta più cautela le scelte di spesa e di politica economica. “Infatti – dicono gli esperti – i tassi alti sono impopolari, è inevitabile: azzoppano la crescita, indeboliscono la propensione a rischio, fanno evaporare posti di lavoro. Sono brutti, ma non sono il male: rappresentano una scelta tecnica per accompagnare l’evoluzione dell’economia contenendo i suoi eccessi sgraditi, come l’incredibile inflazione a due cifre che abbiamo visto nel 2022 e che contiamo di veder scendere ancora nei prossimi mesi”. Adesso il nuovo spettro di Svb, accanto a quello di Lehman Brothers e di tante altre crisi minori, viene a ricordarci che sembrava bello quando il denaro non costava niente e le Borse correvano impavide verso nuovi massimi storici, ma non poteva durare per sempre. Se poi non è una storiella inventata quella che segnala come il prezzo delle uova in Europa, in un anno è aumentato del 30%, allora serve giudizio. Un banchiere serio ha scritto ieri che “forse, un po’ di disintossicazione dai tassi a zero sarà salutare per tutti: anche per noi italiani”.

LUCIANO COSTA

Altri articoli
Attualità

Potrebbero interessarti anche