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Se la felicità diventasse materia scolastica…

È bastato il titolo dato alla ricerca – “felici a scuola” – per spingermi ad immaginare che se davvero fosse così, metà dei problemi che gravano sull’umanità sarebbero già risolti. Infatti, se la felicità fosse normalmente compagna di banco, chi mai si sognerebbe di cambiarla con l’odiosa guerra, o col vile razzismo, oppure con l’arroganza del bullo o con l’ignoranza di chi vuole a tutti i costi restare ignorante? Ovviamente, nessuno. Allora resto anch’io sulla traccia della felicità e, per un giorno lungo un attimo, dimentico le miserie che immiseriscono il panorama quotidiano (così tante che a elencarle servirebbero pagine e pagine) e mi impongo di viaggiare alla ricerca della scuola felice, che forse c’è sebbene ancora non sia del tutto visibile. Perché, nonostante gli sforzi e le buone intenzioni, la scuola resta croce e delizia, peso e fatica, gioia e spensieratezza, esperienza e riflessione, sapere e conoscenza, impegno e disimpegno… Anche felicità, ma a gocce e mai equamente distribuita. Però, sebbene faticosamente, resta pur sempre il luogo in cui si impara a diventare adulti, dove si scopre come si diventa cittadini del mondo, come l’intelligenza ben allenata e ben usata fa la differenza, dove si misura il valore dell’autonomia, dove si scopre il piacere di avere amici con cui giocare ma anche piangere e faticare per conquistare la parte migliore del sapere.

Detto in questo modo sembra di essere nell’anticamera della scuola perfetta, quindi felice di accogliere e di rimandare a casa ragazzi altrettanto felici, preparati e soddisfatti. Invece… Invece la scuola felice ancora non esiste sebbene stia cercando di esserlo. Al suo posto c’è una scuola che fatica ad assicurare percorsi omogenei e magari adatti per non lasciare indietro nessuno. Secondo lo studio-ricerca appena concluso, per aiutare i ragazzi della scuola a essere felici è urgente inventare docenti felici. Come dice il pedagogista Andrea Traverso, “la felicità dei ragazzi è direttamente proporzionale alla felicità dei maestri”. In più, se già al primo approccio la scuola insegnasse l’arte dello stare e del fare insieme, allora la classe sarebbe davvero il luogo in cui si celebra “la festa dello stare insieme”. E scoprire la bellezza dello stare insieme equivarrebbe ad assicurare alla scuola la parte di felicità che si merita. “L’insiemistica – mi spiegò un illuminato maestro – non è una scienza esatta, però è il modo più adatto per trasformare la solitudine che intristisce in qualcosa che mettendo in comune il meglio posseduto fa crescere la buona pianta della felicità”.

Alla domanda “cosa ti rende felice a scuola?” migliaia di ragazzi hanno risposto a modo loro ma in maniera pressoché univoca: felicità è… “quando un’amica mi aiuta a disegnare una cosa che non sono capace di fare… quando le maestre ci fanno una sorpresa… è fare il percorso da casa a scuola con una mia grande amica… è felicità quando il mio papà viene a prendermi all’asilo con la bici…”. La ricerca intitolata “felici a scuola”, di fresca pubblicazione, ha coinvolto 11.441 alunni, di cui 2.993 di scuola dell’infanzia, 6.253 di scuola primaria e 2.195 di scuola secondaria di primo grado. Gli istituti partecipanti sono di 177 città, 56 province e 16 regioni. Coinvolte anche sei scuole italiane all’estero (a Buenos Aires, Londra, Madrid, Mosca, San Paolo del Brasile e Teheran). Le cento risposte che «meglio si prestavano allo sviluppo narrativo del volume», ha spiega il curatore della ricerca, sono state inserite nel libro. “Ma tutte – ha spiegato Andrea Traverso – contengono un seme importante e indelebile: l’originalità”.

Le motivazioni che hanno spunto i ricercatori a ragionare sulla scuola partendo dal concetto di felicità sono molteplici. Due, però, secondo il pedagogista che ha coordinato la ricerca, sono fondamentali. “La prima è di natura politica: dopo due anni di scuola cupa e affaticata dalle restrizioni imposte dalla pandemia, di scuola che aveva perso il respiro, abbiamo scelto questo tema per offrire alla scuola un motivo per ripartire con slancio. La seconda ragione è, invece, di carattere culturale: imparare rende felici. E le risposte degli alunni lo confermano: quando si impara qualcosa di nuovo si è contenti”. Poi, ciò che più colpisce leggendo le risposte di bambini e ragazzi è “l’interpretazione della scuola come un vero momento sociale, una scuola che diventa comunità attraverso il fare insieme. Una scuola, insomma, come luogo di socialità e di apprendimento sociale”. Un altro aspetto interessante “è l’idea che la scuola non si esaurisce nell’edificio ma attraversa la città e che il tempo-scuola è esteso a un prima e a un dopo le ore di lezione. Riguarda anche, per esempio, il tragitto da casa a scuola fatto insieme a un compagno. Infine, dalle risposte ricevute abbiamo avuto la conferma che la felicità è un’esperienza molto personale e molto diversa e che, per questa ragione, la scuola deve cercare di garantire un momento felice a ciascuno”.

Al professor Andrea Traverso è stato anche chiesto se e come, visto come è organizzata oggi, la scuola italiana è una scuola felice. “Se pensiamo alla felicità come benessere – ha risposto il pedagogista – ci sono ancora molte zone d’ombra. Pensiamo alle infrastrutture che crollano o a quelle che mancano, come, per esempio, le palestre. Da questo punto di vista è necessario fare ancora dei passi in avanti. Se, invece, crediamo che la felicità a scuola passi anche dall’impegno e dalla testimonianza degli insegnanti, allora siamo tutti chiamati a metterci in gioco. La scuola italiana ha bisogno di docenti adulti e contenti di fare questo lavoro. Per questo deve essere concesso loro di sentire un senso di appartenenza all’istituzione scolastica. Un obiettivo molto complicato da raggiungere, vista la poca stabilità lavorativa di larga parte dei docenti della scuola italiana”.

Se ho ben capito, il senso della ricerca sta nel definire se e come sia possibile che una scuola felice sia anche una scuola dove si impara meglio e più in fretta. È possibile – ha spiegato il curatore della ricerca –; infatti a scuola si va soprattutto per imparare. Ma qual è l’oggetto di questo imparare? Quello che emerge dalla nostra ricerca è che gli alunni chiedono alla scuola un cambio di paradigma e delle strategie utilizzate per insegnare. La nuova sfida per la scuola è dedicarsi alle cose che riguardano i bambini, a ciò che più amano fare. Per questo servono strategie didattiche innovative che facilitino l’apprendimento attivo”. Allora, e solo allora, la scuola felice esisterà per davvero.

LUCIANO COSTA

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