Ci sono le lettere che genericamente si scrivono ai giornali per dire chi siamo, che cosa cerchiamo, quel che ci piace e quel che ci dispiace. Poi, ogni tanto, una lettera capovolge l’ovvietà e pone bene in vista i grandi problemi della vita. Una di questa lettere, letta appena l’altro ieri su un giornale nazionale, metteva in evidenza un concetto tanto ovvio quanto sottovalutato. Diceva: “La salute viene prima di tutto”. Frase intelligente, essenziale e fondamentale, ma anche pericolosa se intesa quale formula di rito piuttosto che come conseguenza di un modo di affrontare le situazioni che ci riguardano. L’autore della lettera si è anche chiesto se “siamo certi di condividere il significato, la scala di valori e le scelte politiche che questa frase sottende?”. Per farlo dovremmo intenderci sul valore da dare alle parole usate per parlare di “salute”. La salute, al di là della burrasca attivata da Covid-19, “è uno stato di benessere fisico, biologico, ma anche psicologico e relazionale-sociale”, uno stato che comprende l’insieme e non il particolare, uno stato che non mette in secondo piano qualcosa per privilegiare altro. La lettera dice chiaramente che è pericoloso e ingiusto “penalizzare altri aspetti della nostra salute fisica, riducendo il movimento, rinviando gli accertamenti medici, o sospendendo del tutto i ricoveri e le cure per altre patologie; oppure giustificando ogni colpo inferto ad altre dimensioni della nostra salute, come quella psicologica, o relazionale e sociale”. Emerge che “l’uomo, la persona, il malato o il sano sono più importanti” di ogni altra cosa. Però, se diciamo che l’uomo è più importante, perché dobbiamo proprio far intendere che “la vita in salute” è l’unica priorità? Forse che se sei malato o non sei in età produttiva la tua vita vale di meno?
In risposta alla lettera Marco Tarquinio ha scritto che “non prima la (propria) salute, ma prima le persone. Tutte. Perché mai come adesso possiamo essere consapevoli dell’assoluta vanità della pretesa e della presunzione di salvarsi da soli. Prima le persone. Tutte. Perché se abbiamo chiaro e fermo questo principio, allora possiamo affrontare in modo più giusto ed efficace – per me l’unico davvero appropriato – ogni questione: dalle guerre guerreggiate alle prove di forza economico-finanziarie, dagli equilibri e squilibri nei bilanci pubblici ai cambiamenti climatici, dalla legittimità della ricchezza privata e del debito pubblico al diritto all’istruzione, dalla convivenza e concittadinanza di uomini e donne di fedi e visioni diverse alla sacrosanta parità uomo-donna, dalla difesa della salute di ognuno alle migrazioni (forzate e no) degli esseri umani… E se non sarà così, niente e nessuno verrà davvero messo in salvo”.
Prima le persone. Tutte. Ovunque vivano, qualunque pelle abbiano, qualsiasi cultura sentano propria, che siano ricche o povere, integrate o marginali. Prima le persone, tutte. E questo dovrebbe significare, se appena fossimo capaci di uscire dal nostro seminato per ammettere che altri hanno i nostri stessi problemi e diritti, che la fraternità (quella evangelica, ma anche quella laica) non è solo un modo di dire senza concretezza e senza conseguenze di giustizia e di pace, ma è un modo di vivere e di pensare che cambia la storia. È perciò illuminante, e niente affatto retorico, ripetere che quella o quell’altra fraternità sono pilastri su cui si è fondato il migliore pensiero politico dalla fine del Settecento a oggi. Se poi accettiamo che la fraternità sia “sorella piccola” della libertà e dell’uguaglianza, allora potremmo davvero procedere senza mettere un prima o un dopo, ma semplicemente mettendo al centro le persone, chiunque esse siano. Insomma, “prima le persone, tutte”. Vuol dire, come ho letto e volentieri riporto, che abbiamo a disposizione un metro morale “caldo” per affrontare il male e la malattia che, qui e ora, sono parte della nostra umana esperienza, ma non la esauriscono.
Domani, finita la pandemia e ripreso un cammino speriamo di normalità, vedremo cieli e terre nuove e, se ci toccherà in dono, potremo anche goderli.
L. C.