Al Senato, prima tappa della corsa alla fiducia, è andata come era previsto andasse: maggioranza ampia, qualche astensione, alcuni no improvvisati e un poco rabbiosi (verso i rispettivi raggruppamenti, non proprio contro la proposta del Premier), il dissenso totale e ribadito della destra più a destra, quella dei “meloni” (che se non li consumi in fretta ti regalano miasmi e mal di pancia), tante parole (non tutte, per fortuna) messe una accanto all’altra per consumare il tempo a disposizione piuttosto che per dire cose nuove e sensate e, per finire, quel dichiararsi “patrioti” stabilendo che loro, patrioti saranno fino a quando converrà esserlo. Oggi si replica alla Camera. E non ci sono motivi per temere un esito diverso.
Mario Draghi, elegante e composto, mai sopra ma neppure sotto le righe, ha retto la scena con la serenità dello studente preparato e l’autorità del professore che ai suoi allievi ha dato solo e sempre il meglio: preciso nel proporre il suo programma di Governo, meticoloso nelle spiegazioni, attento a non lasciar margini al dissenso, coraggioso nell’indicare soluzioni e scelte anche dolorose, sempre disposto a concedere margini alle diverse collaborazioni, purché sincere e rispettose dei ruoli. Insomma, un Presidente del Consiglio pressoché perfetto. Però, già ieri sera, cioè appena dopo la fiducia conquistata, dai titoli che i vari programmi televisivi di approfondimento mettevano in bella vista, si notava quella sottile voglia di trovare l’appiglio cui appigliarsi per trovare almeno un neo attorno al quale costruire almeno un dubbio e ipotizzare almeno un timido distacco da cotanto presidente.
Potrei continuare la tiritera, invece preferisco riandare al discorso con cui Draghi s’è presentato al Senato per dire che il succo era già nelle prime due righe (sottolineavano le responsabilità da assumere, lasciavano intendere che regole e norme sarebbero state condivise e semmai attuate coinvolgendo la gente e mai senza la gente…) e che la morale stava nelle ultime due, quelle che dicendo “l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere” richiamava tutti al dovere di partecipare per fare piuttosto che per disfare.
Leggendo i giornali troverete tanti suggerimenti sul come intendere il discorso programmatico pronunciato da Mario Draghi. Ognuno scelga quel che più gli aggrada e, semmai, mediti sulla citazione tratta dal pensiero di Cavour, quella che spiega come “le riforme compiute a tempo, invece d’indebolire l’autorità, la rafforzano”, ma anche su quella che dice come “senza l’Italia non c’è l’Europa”, come “fuori dall’Europa c’è meno Italia” perché “non c’è sovranità nella solitudine” e semmai “c’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere”.
Draghi ha citato anche papa Francesco. Lo ha fatto parlando del dopo Covid, usando le parole del papa per sottolineare come “le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento” e anche per riflettere ad alta voce sulle conseguenze di tale maltrattamento. Draghi utilizza le parole di papa Francesco per spiegare quanto sia illusorio pensare di tornare al mondo di prima, come se dopo il Covid bastasse semplicemente “accendere l’interruttore”. Quelle parole Draghi le ha poste all’inizio di un’ampia argomentazione che ha poi trovato la sua naturale conclusione nell’impegno di correggere il Recovery plan italiano proprio nella parte riguardante la transizione ecologica.
Per ragionare sull’anno della pandemia, Draghi ha utilizzato gli ultimi report della Caritas. “Si è anche aggravata la povertà – ha detto -. I dati dei centri di ascolto Caritas, che confrontano il periodo maggio-settembre del 2019 con lo stesso periodo del 2020, mostrano che da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che oggi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Tra i nuovi poveri aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, degli italiani, che sono oggi la maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa, di fasce di cittadini finora mai sfiorati dall’indigenza”.
Invece, nel ricordare le tante buone qualità del Paese, che ci sono anche se spesso non si vedono, il professore, abbandonato il terreno economico ha fatto posto alle emozioni. “Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni – ha detto Draghi – nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi nei confronti del nostro Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale, del nostro volontariato, che altri ci invidiano”. E perché fosse chiara l’importanza di quel “capitale sociale” fatto di volontariato e di passione verso gli altri, ha aggiunto un “chiariremo il ruolo del terzo settore e del contributo dei privati al Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso i meccanismi di finanziamento…” che lascia intendere la volontà di camminare insieme. LUCIANO COSTA