Se una partita diventa poesia…

Accusato di derisione acuta del calcio giocato, rispondo che sì, a volte sorrido del troppo che lo circonda, ma evito accuratamente di deridere. Forse non amo questo calcio giocato-parlato-discusso e suscitante ambigui processi mentali (tre-cinque-due per dire terzini mediani attaccanti mi sembra un’autentica idiozia), però apprezzo il gesto atletico, il sano agonismo, il gol inventato, la parata salvatutto e anche la gente che sceglie il calcio come integratore dei suoi giorni senza per questo diventare calciodipendente. Per questo motivo domani starò davanti al televisore per vedere la partita di pallone e salutare la vincitrice della contesa, meglio se sarà vestita di Italia. Però, nessuna esagerazione, nessun corteo, nessun bagno in fontana, neanche una bevuta alcolica, solo congratulazioni e condivisione di felicità sia in caso di vittoria tricolore, sia in caso di sconfitta, soprattutto perché arrivare fin lì non era scontato ed esserci significa molto. Per esempio che il tricolore conta e che i giovani che lo vestono sono l’espressione più bella dell’Italia che riparte lasciandosi alle spalle il mare di guai causati dalla pandemia.

Oltre questa estasi intrisa di partite giocate e vinte, c’è però la realtà del solito tran tran. Così le esagerazioni sono nel conto, come nel conto ci sono le parole sprecate, gli insulti, le grida sguaiate, le imprecazioni, le accuse… Forse anche qualche saggio ragionamento sulla rotondità della palla, che appunto perché rotonda rotola, a volte assecondando chi la manovra, altre rovesciando la prospettiva e andando dove non doveva andare. Poi ci sono i commentatori: alcuni precisi, altri metodici, altri ancora fantasiosi leggermente letterati che declamano il gesto atletico rendendolo poesia e vera espressione d’arte sopraffina. Come sia possibile trasformare una partita di calcio in una cronaca scritta o parlata resta un mistero.

Però, leggendo quel che Umberto Folena ha scritto a margine dell’ultima partita giocata dall’italico popolo calcistico – niente altro che la squadra messa in campo dal prode suo allenatore – ho colto gioiosa voglia di raccontare e stupire condita con la fatica richiesta per mettere nero su bianco e parole attorno alle immagini. Tessendo la cronaca delle ore vissute in redazione dopo la partita (poche e tutte giocate sul filo dei minuti che separano dall’avvio delle rotative), il fine notista elogia l’evento e colloca la serata vittoriosa tra quelle “da rievocare con colleghi e amici negli anni a venire”. Poi, con la stessa leggerezza mette in chiaro quel che succede “quando la partita termina a una manciata di virgole dalla mezzanotte, le rotative profumano d’inchiostro bollente e devi cucinare una, due, tre, dieci e più pagine”.

Certo, spiega, “quando l’articolo lo scrivi a tappe e con la variante, una versione se vincerai, un’altra se perderai, la lucidità può appannarsi e si può andare fuori giri”. Allora fioccano in pagina titoli e titoloni che prendono tutte le erbe e le offrono in salsa roboante, addirittura esplosiva. “Così – commenta Folena -, se il Dio salvi Donnarumma (messo lì da “Repubblica”) è da semplice richiamo verbale, perché in fondo evoca l’inno inglese, il Dio è italiano (lanciato a caratteri cubitali dal “Corriere dello sport”) è da cartellino rosso”. Seguono i titoli di un giorno di vittoria: “Italia, Fiesta final” (“Corriere della Sera”), “Fiesta! Italia eroica a Wembley” (“Gazzetta dello sport”), “Fiesta Italia” (“Libero”), “Carramba” (“Quotidiano nazionale”), “Carramba che Italia!” (“Stampa”)…

Non mancano poi commenti gustosi e anche mielosi: “loro col Tiqui Taca e noi col Tuca Tuca ma alla fine l’abbiamo vinta all’italiana, con il coltello tra i denti” (“Gazzetta dello sport”), “loro con il tikitaka, noi con il nostro Tucatuca nel cuore: non poteva che finire così” (“Corriere della sera”). Seguono trasposizioni arzigogolate di canzoni: “come cantava Julio Iglesias: con l’orgoglio ferito di chi poi si ribella, quando ti arrabbi sei ancora più bella”, “Donnarumma deposita delicatamente a terra il pallone come farebbe con un gatto”, “Mancio tiene sempre Jorginho come Centro di gravità permanente“, “Aggrappati a quel nasone di Chiellini, quel naso triste come una salita che ci riporta all’epica di Bartali”, “la faccia triste di Luis Enrique”, a cui fa da contraltare l’urlo poco poetico ma assai musicale: “Donnarummaaaaa! Jorginhooooo!”.

Domani si gioca e tutto ricomincerà. Chissà quali e quante poesie ci riserverà la notte… Che siano tutte belle niun lo sa, ma che esistano è sicuro e cercarle, magari in compagnia e senza esagerazioni, sarà un vero piacere.

LUCIANO COSTA

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