Serviva coraggio e non voglia di contarsi

Serviva il coraggio di mettersi attorno al tema e così discuterlo fino a trovare soluzioni onorevoli per tutti. E questo prima di andare al voto, per altro segreto e quindi non controllabile dagli apparati di partito, in modo da evitare quel che poi è successo: Senato che approva, con risicata maggioranza ma comunque con i voti necessari, la richiesta di non passare al voto degli articoli del decreto Zan; favorevoli alla bocciatura sugli scranni ad applaudire; sostenitori della proposta sparpagliati a cercare i soliti franchi tiratori che hanno permesso di annullare quel che la Camera aveva invece approvato.

La scelta del Senato ha rimandato in Commissione, dove non potrà essere rimesso in agenda prima che passino sei mesi, il controverso testo che si propone di combattere omofobia e omotransfobia e che ha però sollevato le perplessità di molti giuristi per la definizione di “identità di genere”, per il rischio di configurare un reato di opinione e per la norma che introduce il “gender” nelle scuole statali e paritarie, anche quelle confessionali. Proprio su questi punti controversi, in più occasioni, era stato chiesto tempo e spazio per discutere e per ridefinire la proposta. Per farlo serviva quel coraggio, richiesto da molti ambiti del mondo cattolico, che invece non c’è stato. Così, si è andati al voto gli uni contro gli altri ottenendo, gli uni una vittoria che non porta da nessuna parte, gli altri una sconfitta che divide e che rimette in circolo l’urgenza di tornare a usare la politica come mezzo di dialogo, di confronto e di necessaria mediazione.

“L’esito del voto al Senato – ha dichiarato il presidente della Conferenza Episcopale cardinale Gualtiero Bassetti – conferma quanto sottolineato più volte: la necessità di un dialogo aperto e non pregiudiziale, in cui anche la voce dei cattolici italiani possa contribuire all’edificazione di una società più giusta e solidale”. Richiamando le perplessità già espresse in passato, il cardinale sottolinea che il voto del Senato “offre un’ulteriore considerazione nel segno del concetto stesso di democrazia: una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza. Tra l’approvazione di una normativa ambigua e la possibilità di una riflessione diretta a un confronto franco, la Chiesa sarà sempre a fianco del dialogo e della costruzione di un diritto che garantisca ogni cittadino nell’obiettivo del rispetto reciproco”.

Dopo il voto, il gioco dello scaricabarile. Il centrodestra ha dato la colpa all’ostinazione del centrosinistra; il centrosinistra ha accusato il centrodestra di essere contro i diritti delle persone omosessuali. Sul gioco dello scaricabarile è però prevalsa la logica dei numeri: 154 no al decreto contro 131 sì. Per il PD, il segretario Enrico Letta ha detto che si tratta di “una pagina nera per la democrazia e i diritti” e il primo firmatario del decreto, Alessandro Zan, ha aggiunto che “il Senato ha deciso di essere lontano dalle esigenze reali; infatti9 la destra sovranista, che è vicina ad Orban e alla Polonia, ha deciso di affossare la legge”.

Sull’altro versante il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ha spiegato, a suo modo, che “il decreto è stato affossato per i calcoli sbagliati del Pd: ora togliamo i bambini, i nuovi reati e il dibattito sull’identità di genere. Hanno deciso di andare allo scontro, dopo mesi che avevamo avvisato ed è finita così. Ora proporrò al centrodestra di ripartire dal nostro testo”. Delusione anche nel Movimento 5 Stelle. Giuseppe Conte, presidente del gruppo, ha detto che “sul decreto registriamo un passaggio a vuoto su un percorso di civiltà e di contrasto a ogni forma di discriminazione e violenza per l’orientamento sessuale. Chi oggi gioisce per questo sabotaggio –ha aggiunto – dovrebbe rendere conto al Paese che su questi temi ha già dimostrato di essere più avanti delle aule parlamentari”.

Per impedire lo scontro, come detto, serviva il coraggio di mettersi attorno al tema per ragionare e dialogare. Ma, come è risaputo, il coraggio non lo si compra, lo si coltiva. Ma oggi, purtroppo, tra i politicanti in circolazione, di coltivatori di coraggio ce ne son ben pochi.

LUCIANO COSTA

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