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Si vive di corsa, ma anche di ricordi

Capita, mentre si segue una nuova “rossa avventura”, di concedere spazio eccessivo, eppur gradito, ai ricordi. Quelli raggrumati nelle pagine della 1000 Miglia competitiva, ma anche quelli accumulati nella storica, oppure uno, preso a caso tra tanti, per ogni precedente edizione. I ricordi non sono mai uguali e classificati. Ve ne sono di quieti, ma anche di tumultuosi. Quest’ultimi contendono la scena ai tanti segnati da passione ed avventura. Tutti insieme, inesorabilmente, segnano lo scorrere del tempo, rincorrano vincitori e vinti, esaltano i turisti per caso e i ricercatori di emozioni, inventano la cronaca e la colorano ora di rosso, ora di nero, di grigio o di blu notte.

I ricordi obbligano anche a fare i conti con le domande più misteriose e strane. Perché in un mondo votato alla velocità sussiste e si impone un così forte istinto di conservazione? Perché ci prendiamo la licenza di togliere al passato il diritto di conservare i suoi oggetti senza essere obbligato a mostrarli? Perché tanto interesse e così eclatante successo per pezzi da museo mandati in libera uscita? Come spesso accade perché deve accadere, non servono risposte. E non servono perché la 1000 Miglia è – e per fortuna continua ad essere – tutto e il contrario di tutto. Vale a dire, solo e sempre la 1000 Miglia: un capolavoro preservato all’usura del tempo e delle mode, una sfilata di macchine sublimi, di nonne maestose uniche ed irripetibili, una corsa lunga un anno, un sogno che a volte prende forma per ascoltare l’applauso della folla.

Così, eccomi di nuovo a raccontare forse la corsa o forse tutto ciò che gli ronza intorno. Da una parte il nuovo, e che nuovo, che avanza; dall’altra il vecchio, e che vecchio, che stupisce e affascina. Uno contro l’altro? No! Uno per l’altro, complementari l’uno all’altro, ora infarciti di utilità fascinosa e di tecnologie per i tempi moderni, ora belli e forti come fabbrica e maestri meccanici li fece. Grazie alla Mille Miglia, la Brescia che lavora e produce, ma anche l’Italia distratta e litigiosa, mettono in mostra gli sconfinati tesori d’arte e di storia di cui dispongono.

Se però “importante è partecipare”, allora eccomi qui. In verità, mi sento come un pennivendolo immerso fino al collo in un bagno caramelloso ed infarcito di luoghi comuni fatti apposta per rimarcare l’esistenza e l’insostituibilità del confine che separa le “masse” dalla “borghesia”.Ma, vivaddio, se è questo ciò che esige la commedia che è in scena, sono felicemente disponibile a fare la mia parte. La quale comincia, sia ben chiaro, quando tutto lo scibile umano “millemigliatico” è già stato copiosamente versato in supplementi, opuscoli, depliant, cataloghi più o meno ufficiali, fogli sparsi, riviste e rivistine che oggi troviamo disseminati tra corsie rese impercorribili dalla massa di “nonne motorizzate” in attesa di compiere il rito che le marita, forse indissolubilmente, alla “corsa più bella del mondo” o distrattamente distribuiti da giovani, esili e bellissime femmine sottratte, per un giorno, alla loro vocazione di liceali forse aspiranti modelle o già influencer…

Piazza Vittoria, nonostante il suo fascino “retrò” così poco disponibile a farsi poesia sia universalmente riconosciuto, nel giorno della “1000 Miglia” favorisce, in maniera inversamente proporzionale, lodevoli pensieri e profonde meditazioni. Il genere umano che oggi la popola, ad esempio – per la serie “lodevoli pensieri” -, è quanto di meglio si possa immaginare riunito in un rettangolo grande meno di un campo di calcio. Consci e felici di essere parte di un evento osannato ed amato lì, infatti, si contano industriali, banchieri, finanzieri, cantanti, attori, principi, politici, baroni, commercianti, luminari, commercialisti, chirurghi, professori, professionisti, piloti, calciatori e loro accompagnatrici o consorti (tutte tirate a lucido, dunque bellissime, levigate, abbronzate, eteree e appetibili) il cui reddito complessivo – per la serie “meditazioni profonde” – potrebbe oscurare quello di un qualsiasi Paese terzo o quartomondista.

Ripenso a quando, venti e passa anni fa, un Lucio Dalla pacioso, corrucciato e barbuto come solo un cantante socialmente evoluto poteva esserlo, mentre scompigliava il branco degli inviati speciali, faceva chiedere al solito Pierino (per la cronaca l’unico fotografo self made men senza permesso e senza pass): “Che fine ha fatto Angelita?”. Appunto, caro Lucio, che fine ha fatto la bambina testimone innocente dello sbarco alleato ad Anzio, quella che una generazione di inguaribili utopisti elevò, dopo la tua bella canzone, a simbolo di un mondo finalmente pacifico, lontano da ogni rigurgito guerrafondaio, più attento alla felicità degli occasionali abitanti che al lupo cattivo?

E tu, bionda e bellona venuta da chissà dove a miracol mostrare (e che miracolo!), che pensi di tanta sublimazione racchiusa nello spazio di una corsa?

E voi, voi che adesso state oltre le transenne godendovi pillole di spettacolo, che cosa dite? Nel mezzo della corsa un tale, arrabbiato per natura, è venuto a dirmi che “in presenza di un casino come quello suscitato della pandemia da virus covid-19 si poteva fare uno strappo alla regola e rimandare tutto a tempi migliori”. Uno che gli era vicino, evidentemente poco incline a simili divagazioni filosofico-pacifiste, lo ha subito gratificato con un “vaffa…” certo poco elegante anche se assai esplicativo degli umori “villici pedemontani” che dominano i contorni della corsa. In tanta “malora” risolleva gli animi il sano pragmatismo casalingo esibito da una “cinquantina” arrivata per dire che non era il caso di “mischiare latte e vino”. In effetti, non trovai motivo per accondiscendere e neppure per approfondire. Soprattutto perché, come sempre ammonisce il saggio, “non è tutto oro quel che luccica” e una corsa, sebbene titolata ed amata, rimane pur sempre “una corsa”.

Passano per città e paesi (uno diverso dall’altro ma tutti uno più bello dell’altro) cento, duecento, trecento “nobili espressioni della più alta e raffinata tecnologia automobilistica espressa tra il 1927 e il 1957”. Passano, ricevono applausi e creano, alla maniera di un qualsiasi prodotto che si muove nel terzo millennio, un colossale anche se gioioso ingorgo. Questa è la 1000 Miglia, bellezza!

Il filosofo Giovanni Gentile, nella “Teoria generale dello spirito come atto puro”, scrisse: “Mirate con fermo occhio a questa vera e concreta realtà che è il pensiero in atto; e la dialettica del reale vi apparirà evidente e certa come certo ed evidente è a ciascuno di noi l’aver coscienza di ciò che pensa”. Dalle nostre parti, adesso, di chiaro, evidente e certo c’è soltanto il serpentone di automobili che partito da Brescia si muove attraverso l’Italia cercando la via che lo riporterà dove tutto è incominciato: a Brescia, città Leonessa d’Italia ma anche sede della corsa più bella del mondo.

Quanto all’aver coscienza di ciò che si pensa – e si scrive -, invochiamo le attenuanti di rito. La Mille Miglia, la corsa più bella, amata e chiacchierata del mondo, infatti, ci ha dato alla testa. Se potete, perdonate; se invece il virtuoso esercizio vi trova impreparati, passate oltre. Domani è già un altro giorno e nulla vieta sia migliore di quello appena concluso.

LUCIANO COSTA

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