Nel sabato del villaggio, l’ultimo della serie, vedere tanta gente andar allegramente per prati, campagna, piazze, colline e vie, se non fosse stato per il fatto che si era ancora immersi in un tempo di restrizioni imposte onde evitare la diffusione del virus, poteva essere considerato il risveglio della speranza, la fine della paura, l’inizio di un nuovo corso, la dimostrazione che il peggio era stato messo alle spalle e che i giorni a venire sarebbero stati tutti belli, salubri, finalmente degni di essere vissuti in assoluta normalità e libertà. Sembrava… Invece era solo un terribile azzardo, niente altro che un fuoco fatuo, oltretutto fuori tempo, soprattutto perché le fiammelle che lo caratterizzano, solitamente di colore blu o di colore celeste, appartengono alle calde sere d’agosto e non a quelle ancora freddine di febbraio.
In quel sabato del villaggio c’erano tutti gli ingredienti per rallegrarsi dello scampato pericolo, ma anche per dolersi della superficialità con cui si dava libero sfogo alla stupida voglia di fregarsene altamente delle norme, dei divieti, delle raccomandazioni emanate affinché fosse rispettato e applicato tutto ciò che il manuale di prevenzione imponeva. Nell’illusione di essere tutti liberi di fare e andare, tutto sembrava permesso, anche di far parte di un paesaggio popolato da imbecilli. A Roma, Napoli, Milano, Bologna, Rimini, Genova, Firenze, Verona, Bergamo, Brescia e in qualunque altra città o in qualunque altro paese abilitati a respirare, il panorama era il medesimo: folla e ancora folla ovunque, giovani e giovanissimi in cerca di amici con cui fare comunella, donne e uomini e ancora uomini e donne dediti allo struscio, anziani storditi da tanto clamore però ancora capaci di sorridere, forze dell’ordine preoccupate dal poco ordine esistente, ma incapaci di porvi rimedio…
Capitato per caso dalle parti del centro cittadino di Brescia, sabato ho esattamente visto quel che le precedenti righe hanno descritto. Non avendola vissuta in presenza, non so come sia andata domenica. Però le fotografie e le immaginI ospitate dai media dicevano che la follia incominciata di sabato era proseguita anche nel giorno di festa. Quindi, inevitabile, ecco servita la zona color arancione rafforzato che comprende tutta la provincia di Brescia con estensione a sette comuni della bergamasca (Viadanica, Predore San Martino, Sarnico, Villongo, Castelli Calepio, Credaro e Gandosso) e a un comune cremonese (Soncino) che di fatto sono sue naturali appendici. Sulla base di tale ordinanza, da oggi fino al 2 marzo, oltre alle normali misure della zona arancione, anche la chiusura delle scuole dell’infanzia, elementari e medie, il divieto di recarsi nelle seconde case, l’utilizzo dello smart working dove possibile, l’utilizzo delle mascherine chirurgiche sui mezzi di trasporto e la chiusura delle attività universitarie in presenza.
Secondo Guido Bertolaso, esperto voluto dalla Regione Lombardia per guidare la lotta al virus “allo stato attuale, la situazione è sotto controllo e gestibile rispetto all’autunno passato, in tutto il territorio regionale, tranne in provincia di Brescia, dove siamo di fronte alla terza ondata della pandemia”. Secondo il sindaco di Brescia Emilio Del Bono “abbiamo tutto il necessario per vincere anche questa nuova emergenza”. Del Bono ha ragione: questa città che prima di qualunque altra città ha ripreso a lavorare-progettare-inventare e accomodare perché nessuno fosse lasciato a mani vuote, supererà la prova che la nuova “zona arancione” le ha imposto.
Per altri sabato del villaggio allegramente spesi in chiacchiere e aperitivi ci sarà tempo quando il virus sarà stato debellato certo grazie ai vaccini ben somministrati a tutta la popolazione ma anche e soprattutto grazie al buon senso messo in campo da ogni singola persona.
Ieri, in un’altalena di se e di ma, è stata un’altra volta la scuola a soffrire di più. “Ma – come ha scritto il responsabile delle scuole cattoliche bresciane Davide Guarneri, – benché le scuole siano fra i luoghi più sicuri, le scuole di ogni ordine e grado vengono chiuse, magari perché questa è la soluzione più comoda da adottare. Poco importa se a fronte di tale decisione vi siano famiglie e studenti disorientati”. Poi, aggiunge Guarneri “servirà sostenere con decisione le scuole e le famiglie, i luoghi di socialità e di attività sportive, l’associazionismo giovanile…”.
Ma chi lo farà e, soprattutto, come sarà possibile farlo?
LUCIANO COSTA