Silenzio, si vota!

Silenzio, si vota! Da oggi le chiacchiere vanno in corridoio e ai 1009 grandi elettori sarà chiesto di scegliere tra sessanta e passa milioni di italiani l’italiano più degno di rappresentare qui e nel mondo la nostra Repubblica. Si comincia nel pomeriggio, con la prima votazione, poi una votazione al giorno per altri tre giorni. Nel quinto giorno, cambiando il quorum, si vedrà. In verità, utopisticamente-bonariamente-popolarmente, sarebbe bello immaginare che già oggi, per un intervento misterioso-miracoloso piuttosto di uno frutto di trattative tra partiti che poco hanno da dire e insegnare (almeno per il momento), il Parlamento allargato voti ed elegga il nuovo Presidente. Però, si sa, dovremo aspettare. Fino a quando non lo sanno neppure loro, quelli che a Roma stanno studiando la strada che porta all’urna e le scorciatoie per evitare i cercatori di voti. Sarebbe anche ottima cosa pensare – ma è un pensiero illusorio – che ciascun grande elettore sia libero di votare come vuole ma, ahimè, anche questa è una delle ipotesi più illusorie che ci siano. Però, messi in bella vista sotto gli occhi dei votanti, ci sono, per adesso, dodici nomi che più di altri possono ottenere voti. Chi sono e quante probabilità hanno di salire al Colle? Se interessa, ecco i pro e i contro di ognuno.

(Luciano Costa)

MARIO DRAGHI – Per capacità di attrarre una larga maggioranza, senso istituzionale e credibilità internazionale, l’attuale presidente del Consiglio resta probabilmente la prima ipotesi in campo. C’è un ostacolo e non è facile da superare: per candidarlo al Quirinale, i partiti di maggioranza dovrebbero assicurare la continuità della legislatura e la volontà di costituire un governo in continuità con quello ora in carica. Alla conferenza stampa di fine anno Draghi si era autodefinito un «nonno a servizio delle istituzioni», disponibile quindi qualora venisse chiamato al salto verso il Quirinale.

SERGIO MATTARELLA – È arcinota l’indisponibilità del capo dello Stato a concedere il bis al Quirinale. Il motivo l’ha spiegato in lungo e in largo: guai a trasformare un’eccezione (il Napolitano-bis) in una nuova prassi. Uno spiraglio però resta, ed è legato a due condizioni: uno stato di assoluta emergenza istituzionale, con il Parlamento impantanato; la disponibilità a sostenerlo anche da parte del centrodestra, quantomeno quello di governo (Lega e Forza Italia). Una rielezione con larghe intese, che consentirebbe così a Draghi di continuare il lavoro al governo con un “esecutivo fotocopia”.

SILVIO BERLUSCONI – Ufficialmente si è ritirato dalla corsa, ufficiosamente resta lì in attesa, realisticamente deve fare i conti con gli anni e gli acciacchi. La sua autocandidatura, poi divenuta indicazione dell’intero centrodestra, era azzardata, tanto azzardata da indurlo a fare un passo indietro. Per adesso, salvo che segretamente non stia ancora tramando e invitando a votarlo, resta fuori. E gli serviranno tempo e salute per rimettersi in sesto e così, chissà, tornare al centro delle scene (come accompagnato da polemiche, ironie e, soprattutto, da allarmate cronache dei giornali esteri, che hanno intravisto nelle ambizioni del Cavaliere un pericolo per la stabilità del Paese).

MARTA CARTABIA – E’ la prima donna diventata Presidente della Corte costituzionale. Attualmente è Ministra della Giustizia, chiamata da Draghi a costruire difficili riforme multipartisan. ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, presidente del Senato, eletta nel 2018 alla seconda carica dello Stato su proposta del centrodestra, ma con gradimento trasversale. GIULIANO AMATO, due volte premier, presidente in pectore della Consulta, ampio curriculum accademico. Cartabia, Casellati e Amato sono i tre nomi istituzionali che rispondono ad uno scenario in cui parte dei gruppi di maggioranza, preoccupati dal possibile voto anticipato, riterrebbero troppo rischioso l’abbandono di Palazzo Chigi da parte di Draghi. Uno scenario che spingerebbe a convergere su personalità considerate sufficientemente unitive, lasciando il premier al suo posto.

PIER FERDINANDO CASINI – Già presidente della Camera e a lungo leader dell’Udc, ha conquistato l’ultima elezione al Senato nelle file del Pd, allora renziano. È stato presidente dell’Internazionale democristiana, oggi rappresenta uno dei pochi punti d’incrocio tra Prima, Seconda e Terza Repubblica, nonché “centro naturale” di una legislatura attraversata da continue spinte centrifughe e centripete. Forte della tradizione, si è prudentemente “inabissato” negli ultimi tempi. Nessuno (nemmeno M5s) gli oppone un veto, motivo per cui, almeno per chi persegue larghe intese, è l’alternativa “politica” a profili più istituzionali.

FRANCO FRATTINI – GIANNI LETTA – LETIZIA MORATTI – Se il centrodestra riuscisse a restare compatto, potrebbe ancora far valere un certo “diritto di proposta”, cui nelle settimane scorse i leader di centrosinistra non si erano mostrati contrari. Una rosa che potrebbe contenere tre nomi politico-istituzionali: Franco Frattini, due volte ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, già commissario europeo e per il quale ieri è stata formalizzata la nomina a presidente del Consiglio di Stato; Gianni Letta, storico consigliere del Cavaliere e suo sottosegretario a Palazzo Chigi; Letizia Moratti, già sindaca di Milano e rientrata di recente nella politica attiva andando ad affiancare nella lotta al Covid il governatore della Lombardia.

PAOLO GENRTILONI – ROSY BINDI – In uno scenario di muro contro muro tra due poli, con il centrodestra che implode, anche il centrosinistra potrebbe avere la chance di provare un contropiede. I nomi più accreditati sono l’attuale commissario europeo ed ex premier, Paolo Gentiloni – con più possibilità di attrarre voti di centro -, e l’ex presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi, che invece compatta il fronte a sinistra. Se a Gentiloni, in aula, potrebbero guardare con interesse tutte le forze europeiste, va detto che Bindi è uno dei pochi profili che sta ricevendo appoggi anche fuori dai Palazzi da quelle componenti della società civile impegnate sul tema legalità.

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