Leggo il bollettino mensile della sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale. Si riferisce al mese di aprile ed è interamente dedicato all’impatto della presenza migratoria nell’assetto degli Stati. Parla cioè di esclusione o inclusione, di risorsa o costo concludendo che gli studi dimostrano che la presenza dell’immigrazione si traduce in un guadagno netto, diversamente dalla percezione che se ne ha
Molti Stati in diverse parti del mondo percepiscono o semplicemente descrivono i migranti e i rifugiati come un problema o addirittura un peso economico per il Paese ospitante. Inoltre, vengono spesso applicati dei requisiti per l’integrazione, in modo da selezionare coloro che si prevede si potranno integrare senza problemi e negare, invece, l’ingresso o il permesso di soggiorno a coloro che sono ritenuti di difficile “adattamento” alla società ospitante.
Tuttavia, mentre nel breve termine i migranti e i rifugiati dipendono dall’assistenza del governo e rappresentano un costo, nel lungo termine essi generano domanda di beni, creano posti di lavoro e pagano le tasse. Gli studi dimostrano che questo si traduce in un guadagno netto per l’economia.
Affinché i Paesi ricevano questi benefici economici, devono ovviamente garantire che i migranti siano accettati, accolti e integrati. Una vera integrazione nel sistema economico di un Paese è impensabile senza integrazione culturale, che significa parità di diritti, emancipazione femminile, accesso a servizi di base come l’istruzione, il riconoscimento dei titoli di studio, ecc…
Realizzando il loro potenziale e mettendo a disposizione i loro talenti, i migranti e i rifugiati contribuiscono pienamente alla crescita, alla forza e alla stabilità delle comunità e offrono la migliore risposta al comune preconcetto di essere un peso per le comunità ospitanti. Il Bollettino offrendo alcuni esempi di iniziative positive e di buone pratiche volte a promuovere lo sviluppo delle competenze dei migranti e dei rifugiati e, di conseguenza, dell’economia del Paese ospitante, conferma l’utilità e, in qualche caso, l’insostituibilità della loro presenza.
D’altronde, che “lo straniero migrante”, disperato o rifugiato non fa differenza, sia utile all’economia del Paese che lo accoglie, parte cioè di uno sviluppo integrale che non può lasciare indietro nessuno, non è scoperta di adesso. Già nel 1967 (vedi l’enciclica Populorum progressio), Paolo VI parlava di “sviluppo integrale” ossia “volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo…”. Più recentemente (vedi l’enciclica Caritas in veritate) Benedetto XVI, rivisitando l’insegnamento di Paolo VI sullo sviluppo umano integrale, ha affermato il diritto del migrante ad essere trattato come una persona umana e non “come una merce o una mera forza lavoro”. Ha inoltre rilevato che: “I lavoratori stranieri, nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie”. Appena ieri (vedi l’enciclica Fratelli tutti) Francesco, affermando che “in una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale”, ha spinto ogni uomo e donna di buona volontà a “ripartire dagli ultimi”, perché “una società non può permettersi di abbandonare nella periferia una parte di sé”. Infatti, “l’inequità e la mancanza di sviluppo umano integrale non permettono che si generi pace”.
Dal canto suo la comunità scientifica, esaminati alcuni dati e studi relativi al costo dell’accoglienza dei rifugiati, studi fatti al fine di determinare se questi rappresentino un male o un bene per l’economia, evidenzia che “i rifugiati non rubano il lavoro, ma sono più propensi a creare posti di lavoro rispetto ad altri gruppi di migranti o cittadini nativi”. Infatti, “i Paesi che hanno accolto i rifugiati hanno visto aumenti del reddito medio e del prodotto interno lordo grazie alla capacità dei rifugiati di avviare nuove imprese”. Inoltre, l’accoglienza dei rifugiati può risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione in un’ampia percentuale di Paesi ad alto reddito. Essi possono rispondere alla crescente domanda di servizi sociali e colmare i posti di lavoro lasciati liberi dai lavoratori nativi anziani. In conclusione, anche se l’accoglienza dei rifugiati è spesso costosa in un primo momento, la ricerca mostra che alla fine si traduce in un guadagno netto per l’economia. E per chi di quell’economia si serve per vivere e magari anche per aumentare il proprio guadagno.
Dicono gli esperti che la guerra in Ucraina sta generando e continuerà a generare profughi in cerca di rifugio. Qualcuno grida “no” ai nuovi stranieri, altri aprono le porte delle loro case, altri ancora mandano aiuti e aiutano che li aiuta. A quale di queste tre categorie vogliamo appartenere?
L. C.