Non credevo possibile che tutto rimasse lì in bella vista. Invece, tutto era lì quando passando me ne sono accorto e quando, tornato apposta per sincerarmi, era come l’avevo visto. Sotto il portico di un titolato supermercato della immediata periferia nord cittadina ho visto un carrello da supermercato pieno di stracci, una valigia enorme, rotoli di giornali, cartoni, bottiglie mezze piene e mezze vuote, giacche giacconi e vestiti accatastati, borse di plastica svolazzanti e altre piene di non so che cosa. Poi, a cavallo del mezzogiorno, proprio addosso a quel deposito di cenci e povertà, ho osservato una donna oltre la sessantina, un ragazzotto tra i venti e i trent’anni e un cane non piccolo, tutti lì, in piedi, a consumare quel che probabilmente era il rimasuglio del pranzo di altri. Cinque metri più in là la porta scorrevole del supermercato segnava l’andirivieni di clienti frettolosi; venti metri a destra un parcheggio pieno di auto con gli immancabili questuanti – un ragazzo di colore e una anziana sicuramente disperata – a far da palo sperando di intercettare un passante o un automobilista disposti a concedere forse spiccioli o forse addirittura un euro; due passi oltre il portico scelto dai due con cane al seguito quale abitazione e rifugio, oltre la striscia verde, il largo viale alberato, con i bus in sosta e una lunga fila di automobili lasciate a casaccio dagli impiegati in zona; oltre la strada un moderno hotel e i soliti grandi negozi; di fronte una palazzina, sede di uffici, con un brande cortile segnato da bandiere…
Tutto normale? Forse sì. In fondo, quello altro non era se non il quotidiano spaccato di una fetta di città fatta di gente normale, di negozi normali, di parcheggi normali, di questuanti normali… Però, con la tragica variante di persone per le quali il pezzo di città era fatto di cenci e stenti accatastati nella parte meno visibile del portico antistante il supermercato. Sempre tutto normale? Forse anche no. Soprattutto perché quella realtà sbatteva in faccia una realtà presente ma disturbante, quindi da accantonare piuttosto che da affrontare e, magari, cambiare in meglio. Ero passato altre volte da quel sito, ma non mi ero mai accorto di quell’anomalia. Sapevo di altre situazioni gravi e critiche – per esempio quelle viste nelle adiacenze della stazione ferroviaria, in alcuni capannoni dismessi, sotto qualche ponte, tra i cespugli di qualche giardino pubblico, a ridosso dei cassonetti dei rifiuti, negli androni di vecchi palazzi, nei pressi di qualche parrocchia…. -, ma quella, così in vista e pronta a sfidare il quieto vivere di persone colpevoli di andare a fare la più normale spesa, era particolare. Ho allora provato ad avvicinarmi. Ma quando ero ancora alla cosiddetta “debita distanza”, la donna, il ragazzo e il cane se ne sono andati velocemente. Ho scattato una foto, ho atteso, inutilmente, che tornassero. Sono ritornato il giorno dopo, ho rivisto la stessa scena. Allora ho chiesto a una suora caritatevole di provare a interessarsi… Aspetto notizie. Magari anche che la suora mi dica: “Ho trovato una soluzione”. Però, se io e voi ci mettessimo d’impegno…