La domanda dei ragazzi costretti a vedere la guerra scorrere sui teleschermi di casa e a sentire i commenti che le immagini suscitano, è angosciante, ripetitiva, dolorosa, di quelle che non ammettono silenzi o distanziamenti: “Quando finirà?”. Trenta giorni fa nessuno immaginava possibile che nel cuore dell’Europa potesse scatenarsi l’inferno, che la “grande Russia” se la prendesse con la “piccola Ucraina”, che un uomo solo al comando – il folle Putin – sfidasse il mondo pretendendo immunità e illimitato potere su una fetta di mondo non sua e certamente non disposta a lasciarsi privare di libertà e di democrazia. “Quando finirà questo scempio?” chiede la gente. Da trenta giorni, ogni volta all’alba, spero di ascoltare l’unico annuncio che davvero conta, quello che dice “la guerra è finita”; spero ma poi devo fare in conti con la cronaca che racconta scempi e non smette di sommare lutti, distruzioni, che sbatte in prima pagina i bambini straziati dalle bombe e privati dal diritto di vedere un mondo di pace, che obbliga milioni di persone a lasciare ogni cosa per cercare altrove quel che resta del loro giorno, che mette noi -, noi che stiamo dall’altro lato delle barricata respirando ancora libertà, democrazia e pace – nella condizione di essere spettatori muti di una tragedia spaventosa e orribile chiamata “guerra”. Allora di nuovo torna la domanda: “Quando finirà tutto questo?”. Ieri, i ragazzini impegnati nella loro ora di giochi, hanno trovato il tempo di fermarsi per scrivere sulla sabbia “no alla guerra”. Forse era un lato del gioco, forse era la somma dei pensieri pensati in questi trenta orribili giorni, oppure era la necessità di far sapere agli eventuali spettatori che loro, bambini spensierati eppure pensanti, vogliono vivere in pace. Tradotto in poche e semplici parole, il pensiero dei ragazzini che ieri hanno lasciato i giochi per scrivere sulla sabbia quel che tenevano dentro il cuore, è questo: fate tacere le armi e lasciate parlare il cuore; smettetela di litigare e incontratevi per scrivere la parola pace su ogni cosa; lasciate che la gente viva libera e felice; Putin smettila di ordinare bombardamenti, fai il papà che per i suoi figli vuole un buon futuro; Biden agisci e fai agire perché tutto sia circondato dalla pace; Francesco prega per la pace, ma se occorre vai dove la pace non c’è e portala in dono; Russia le Ucraina restate nazioni vicine e amiche…
E’ passato un mese dall’inizio della guerra che Putin ha scatenato contro l’Ucraina. Trenta giorni, pochi o tanti, dicono che la ragione non ha ancora trovato ascolto e ospitalità. Cos’è un mese nell’esistenza di un uomo? “Se la vita scorre in modo “ordinario” – ha scritto Alessandro Gisotti – è un tempo breve, un tratto di strada che difficilmente lascia orme profonde sul nostro cammino. Tutto cambia se quella manciata di settimane è sconvolta da un evento che sposta bruscamente i binari su cui corre il treno della storia”. È esattamente quello che è successo in questo mese, cioè da quando, nella notte tra il 23 e 24 febbraio, le forze armate russe hanno sferrato l’attacco contro l’Ucraina. “Sì, un mese è un tempo breve, eppure questi giorni densi di dolore, sofferenza e angoscia, sembrano lunghi un secolo perché ad un secolo, quello scorso, ci hanno drammaticamente riportato con il profilarsi di una nuova guerra fredda, addirittura con la paura di una terza guerra mondiale”.
Trenta giorni fa in pochi credevano che Vladimir Putin avrebbe dato l’ordine di attaccare, tanto sembrava assurdo, folle — anche per gli interessi del popolo russo — scatenare una guerra nel cuore dell’Europa per di più in una fase storica in cui, a causa della pandemia da covid-19, l’umanità fa fatica a rimettersi stabilmente in piedi. Invece… Invece la guerra è diventata pane quotidiano. Così oggi “appare evidente che chi ha voluto questa guerra sconsiderata e ingiustificata non pensava di trovare un’opposizione così ostinata del popolo ucraino a cui l’Europa, e non solo, guarda con ammirazione per la forza che sta dimostrando nel difendere la propria libertà. Chi ha riportato di nuovo l’orrore della guerra nel Vecchio Continente, riteneva probabilmente che in pochi giorni la “questione” sarebbe stata risolta. Ha ignorato così, ancora una volta, la lezione della storia che tragicamente ci ricorda — anche per le cosiddette super potenze — che una volta iniziata una guerra non si sa mai quando (e come) andrà a finire. L’unica certezza è che la vita delle persone è sconvolta per sempre”. Perché, come più volte ha detto il papa “chi fa la guerra dimentica l’umanità e non guarda alla vita concreta delle persone”.
È proprio così. Secondo il notista vaticano “nella prospettiva di chi fa la guerra Kiev, Mariupol, Kharkiv sono solo obiettivi da raggiungere, tessere di un puzzle da comporre per ottenere la vittoria finale. Ma questo non è risiko, non è un videogame. La gente è morta davvero in questo mese che ha cambiato la storia e continua a morire ogni giorno, anzi ogni ora, in queste città martiri dell’Ucraina. La vita concreta delle persone, la vita delle famiglie, dei padri, delle madri, dei loro bambini è stata stravolta per sempre. Le immagini che quotidianamente giungono dall’Ucraina ci mostrano la crudeltà della guerra in tutta la sua efferatezza. E insensatezza. Niente e nessuno viene risparmiato”.
Sono passati trenta giorni dall’inizio di questa guerra insensata e ingiusta. La domanda che sale dal mondo è sempre la stessa: “Quando finirà?”. Domani vorrei un’alba salutata dalle parole più semplici, quelle che dicono “la guerra è finita”.
LUCIANO COSTA