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Storia e storie di un giorno non qualsiasi

Proprio come diceva il vecchio direttore: “La cronaca non è un fatto, ma la somma di tanti fatti, che se ben raccontati e ben usati, magari per accrescere conoscenza, consentono di vedere scorrere il giorno e trarne opportune riflessioni”. Bravo, direttore! Così ieri, prima e durante e dopo il fatto più importate del giorno – la partita di calcio dell’Italia nostra -, restando convinto che non di solo calcio si nutre l’italico popolo, sperando di offrire supporto alla ricerca di utile conoscenza, ho applicato la lezione di allora alla serie di accadimenti ammucchiati sul tavolo: la partita (perché è impossibile non fare i conti con emozioni e speranze), la pandemia (perché il pericolo che rialzi la testa induce a mettere in pagina che non è ancora il caso di abbassare la guardia e di darsi alla pazza gioia), le incomprensibili beghe tra i partiti (perché su un disegno di legge – detto Zan, che sanziona l’omotransfobia – dovrebbero convergere azioni di civiltà e di rispetto piuttosto che azioni divergenti e utili soltanto a sollevare steccati), divisioni e steccati), la malattia di Francesco (perché di un Papa, di questo Papa, abbiamo più che mai bisogno), la morte di Raffaella (perché in fondo lei ha raffigurato l’Italia: bella, coraggiosa, canterina, dubbiosa, dolorante… eppure sempre pronta a ricominciare), l’inarrestabile dramma dei migranti (perché la voce del presidente Sergio Mattarella si è levata forte e coraggiosa per dire che niente e nessuno può impedire a popoli diversi di cercare altrove il loro destino) e cento altri imprevisti (perché di imprevisti belli e brutti è fatta la vita).

Applicando la lezione ho visto scorrere storie parallele. La prima, durata fin quasi a mezzanotte, è quella dell’Italia calcistica: preceduta dal delirio dell’attesa (un delirio moltiplicato e reso virale dall’insistenza dei media), incominciata con cuore e batticuore (avanti, indietro, bloccati, indecisi, arrabbiati, involuti e poi improvvisamente evoluti), proseguita con tanta voglia di usare il tuca tuca (contrapposto al tiki-taka degli spagnoli faceva un gran bel effetto) per segnare il gol decisivo, conclusa col trionfo più carrambesco possibile e immaginabile vittoria ai rigori, con l’ultimo simile a una dolcissima caramella). E proprio quella dolcissima caramella ha permesso al cronista di scrivere senza vergogna: “Diciamolo: non è stata solo una partita, ma un film, teso, emozionante, crudele nel suo consegnare la verità all’ultima scintilla del fuoco, i calci di rigore”.

La seconda storia, che dura da settimane, è quella dei politicanti che s’arrabattano attorno a un disegno di legge che intende regolare quello che, secondo me, potrebbe essere regolato dal comune senso civico, che c’è sebbene spesso non dia segni di vita. Per loro, alla fine, il copione della giornata si è svolto come previsto. Così, dopo l’infruttuoso tavolo di mediazione mattutino, in serata il voto dell’assemblea di Palazzo Madama ha deciso che il testo del disegno di legge Zan andrà in Aula al Senato martedì 13 luglio, con quale risultato non si sa. In ballo ci sono 140-150 possibili “sì” contro altrettanti potenziali “no”, 17 “incerti” e un possibile voto segreto che potrebbe sconvolgere le più logiche previsioni.

La terza storia è quella di Francesco, papa venuto dall’altra metà del mondo, che la malattia se l’è portata a spasso a lungo senza mai dare segno di cedimento e che l’operazione subita domenica l’ha semplicemente considerata parte del quotidiano e non certo un ostacolo insuperabile. Francesco ha misurato i suoi acciacchi temporali senza mai elencarli. Però si è sempre preoccupato delle malattie degli altri facendosi prossimo con la stessa delicatezza con cui altri si erano fatti suo prossimo.  E questo, ha scritto un vaticanista “è uno stile che non potrebbe essere simile senza una forte visione spirituale. Soprattutto perché Egli sa intervenire al momento giusto senza neppure che gli venga chiesto”, fino al  punto di dire all’amico che gli confidava le sue paure che “non si deve avere paura del futuro, perché il tempo è di Dio, mentre il futuribile è del diavolo”.

La quarta storia, quella della pandemia, è ricorrente e continuerà a stare in pagina fin quando l’ultimo vaccino salvavita sarà stato messo a dimora; la quinta, quella di Raffaella Carrà, antidiva di un’Italia abituata al divismo, finirà quando, dopo venerdì, alla geniale artista sarà stato consegnato l’ultimo saluto, assicurata la benedizione con cui il prete le indicherà la strada verso l’angolo di cielo a lei riservato e regalato quel silenzio e quella preghiera che soli sanno sollevare dall’umano dolore.

L’ultima storia, quella dei migranti, racconta la passione del Presidente Sergio Mattarella per gli ultimi e i disperati. Ieri, in visita a Parigi, di fronte all’ennesima tragedia del mare (oltre quaranta tunisini morti tra le onde) ha detto, perché l’Europa e il mondo intendessero, che “se qualcuno si illude che basti mettere il cartello di divieto d’ingresso dall’Africa, si illude, perché il problema continua…”. Poi, parlando alla Sorbona, rivolgendosi ai 27 paesi partner ed alla loro riluttanza a dotarsi di politiche sull’immigrazione comuni ed adeguate ai valori fondanti dell’Unione, ha detto che “donne, bambini, uomini in fuga difficilmente possono essere individuati come un nemico”, che “la questione attiene alle sorti stesse dell’Europa”, che “l’incapacità di dare una risposta adeguata, efficace e comune è come un vulnus recato alla coscienza europea”.

Di tutte le altre storie trovate indizi sulle pagine dei giornali e tra gli angoli dei notiziari radiotelevisivi. Se quel che trovate non basta a sollecitare riflessioni, cercate altrove, magari tra le pagine di un libro o di un blog…

LUCIANO COSTA

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