Quelle fotografie di bambini abbandonati e poi quelle dei bambini inghiottiti dal mare e restituiti senza vita su una spiaggia lontana e quelle che li ritraggono abbandonati sotto il muro invalicabile oltre il quale immaginavano d’incontrare libertà o in fila tra tanti disperati senza sapere se in qualche anfratto del barcone che li ha trasportati vi siano mamma e papà… Che strazio quelle fotografie! Appena ieri erano ancora sulle pagine dei giornali; oggi non più. Infatti, la cronaca ha esaurito il suo compito e altre notizie son pronte s prendere spazio e attenzioni. Eppure, diceva un mite e illuminato pedagogista “i bambini e il loro diritto di vivere non dovrebbero mai uscire dalle cronache, perché ogni volta che di loro non si parla c’è il rischio che di loro si perdano le tracce…”. Per fortuna in qualche parte del mondo (al mio paese, per esempio) è stabilito che qualsiasi bambino ha il diritto di avere una famiglia e spazio per crescere, giocare, imparare. Così, in piazza e nelle viuzze adiacenti del paesello, fa bella mostra un cartello che informando come quello attraversato sia un luogo in cui i bambini giocano liberi e felici, invita a usare con parsimonia e prudenza ogni veicolo o motociclo in grado di suscitare scompiglio. Insomma, il “prima i bambini” non è uno slogan, ma un modo di essere perfettamente in linea con quanto previsto dalla “Convenzione sui diritti dell’infanzia” (voluta dall’ONU e firmata il 20 novembre 1989, via via adottata da quasi tutte le nazioni del mondo, Italia compresa che la ratificò e adottò il 27 maggio 1991) che a leggerla e rileggerla, confrontando ciò che è scritto con quel che viene attuato, equivale a stabilire come sia facile parlare di diritti dei bambini e quanto sia invece complicato rendere quei diritti, diritti di ciascun bambino, qualunque sia la sua provenienza.
“Liberi di crescere” era lo slogan scelto dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza per sottolineare il trentesimo anniversario della ratifica della Convenzione e anche la responsabilità di applicarla. “È una responsabilità – ha detto Carla Garlatti, Garante dell’Autorità che sovrintende l’applicazione della Convenzione – che impone a istituzioni, comunità e genitori di assicurare un futuro a bambini e ragazzi investiti dagli effetti della pandemia attraverso la tutela dei loro diritti: quelli alla salute, al gioco, all’istruzione, alla socialità, alla sicurezza e alla partecipazione nelle scelte che li riguardano”. Richieste ineccepibili, che lasciano comprendere come, a 30 anni dalla ratifica, i diritti dei bambini e dei ragazzi siano tutt’altro che tutelati.
Sul piano generale è invece ogni volta un pugno nello stomaco scoprire che nonostante la Convenzione sia il trattato con il maggior numero di ratifiche al mondo (192), vi siano ancora Nazioni – gli Stati Uniti per esempio – che non l’hanno mai sottoscritto. Eppure, a parole, son sempre tutti d’accordo, almeno sui diritti ritenuti fondamentali. Innanzi tutto il principio di uguaglianza, visto che i diritti sanciti nella convenzione devono essere garantiti a tutti i minori senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori; poi il cosiddetto “superiore interesse del fanciullo” (art. 3) secondo cui in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale deve considerare preminente l’interesse superiore del bambino; seguono il dovere di ascoltare l’opinione del fanciullo in tutti i processi decisionali che lo riguardano (art. 12) e il suo inalienabile diritto di vivere ed essere educato nella famiglia di origine (art. 5) rafforzato dal divieto di separare il minore dai suoi genitori contro la loro volontà (art. 9), che può venir meno quando le autorità competenti decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione é necessaria nell’interesse preminente del fanciullo. La Convenzione parla anche del “diritto all’adozione” (articolo 20) nel caso in cui il fanciullo venga “temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare”.
Ma anche questo diritto rimane nella maggior parte dei casi sulla carta se è vero che, secondo stime Unicef, sono almeno 150 milioni i bambini orfani nel mondo in attesa di una famiglia, E in Italia, mentre l’adozione internazionale rimane una scelta costosa e complessa, certamente non sostenuta né promossa dallo Stato, ogni giorno 23 minorenni vengono allontanati dalla propria famiglia con provvedimenti dell’autorità giudiziaria o dei servizi sociali che, nella maggior parte dei casi, finiscono per essere contestati e per scatenare confronti giudiziari lunghissimi e densi di sofferenza.
“E’ tempo di adattare la Convenzione alle nuove esigenze” dicono gli esperti. Come e quando, però, non si sa. “D’altra parte – ha commentato il presidente di un’associazione che si occupa sistematicamente di minori abbandonati – se ne parla da solo trent’anni. Magari altrettanti saranno sufficienti per vedere concretizzato qualche punto tra i 54 articoli della Convenzione e per favorire aggiustamenti”. Per ora, triste consolazione, limitiamoci a ricordare che il trentesimo anniversario della ratifica passa all’archivio lasciando dietro di sé tanti problemi irrisolti.
LUCIANO COSTA