Ero solo un ragazzino curioso che suor Irene, direttrice dell’istituto, prendeva per mano quando doveva lasciare Salò per recarsi alla Casa Madre delle Ancelle della Carità, in città. Viaggio in tram, camminata dalla stazione a via Moretto, arrivo dopo aver messo all’attivo almeno due rosari. Però, appena varcato il portone, c’era lei, sorella Lucia, che con un sorriso, due biscotti e un pezzettino di cioccolato compensava la fatica del viaggio e apriva la strada a due ore buone di giochi e corse in su e in giù per i corridoi del severo convento. Adesso che quella piccola suora portinaia di Casa Madre viene innalzata alla gloria degli altari col titolo di Beata (accade oggi a Brescia, nella Cattedrale vestita a festa e popolata di fedeli) sento addosso il peso di una conoscenza fortunata, però mai sufficientemente approfondita. Se potessi. chiederei a Suor Lucia di perdonarmi per non aver cantato ad alta voce la sua piccola ma già visibile santità, e anche per non aver raccontato a destra e a manca tutto il bene che sapevo possedeva e distribuiva senza mai chiedere conto delle ragioni che spingevano persone diverse a supplicare d’essere aiutate.
Io l’ho conosciuta questa suora che adesso diventa Beata! Tra un gioco e una caramella lei mi ha insegnato il segreto della felicità, che non consiste, diceva, nello stare bene da soli, ma insieme, belli brutti poveri ricchi ignoranti o intelligenti non importava, purché disposti a darsi la mano e a condividere quel che il tempo metteva a disposizione. Straordinaria, davvero straordinaria e forse anche unica l’avventura vissuta da suor Lucia! Nata ad Acquate, provincia di Lecco, il 26 maggio 2009, figlia di Ferdinando e Angela Ripamonti, soprannominati Tinterra, battezzata col nome di Maria, quarta di una nidiata di sei pargoli, bimba vivace e allegra, così buona e docile da far dire alle comari che la sua strada l’avrebbe portata dritta a diventare suora. In effetti, a chi la interrogava, lei non nascondeva di sognare la vita dentro un convento. Invece, ben presto, si trovò a fare l’operaia in filanda, che in quel tempo ricco di stenti e gramo di soddisfazioni era il comune approdo per le ragazze come lei. La casa dei Tinterra, la chiesa, l’oratorio e la filanda furono i luoghi della sua formazione. In aggiunta, scuola al minimo necessario e obbligato. Poi, lavoro e ancora lavoro, perché le bocche da sfamare erano tante e la paga che il capofamiglia portava a casa risultava sempre inferiore alle necessità.
Un giorno del 1930 Maria bussò alla porta del convento delle Suore della Carità, dette anche di Maria Bambina, quelle fondate da Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, chiedendo di essere accolta e aiutata a diventare religiosa. Le dissero che forse non era adatta, che era meglio se ripassava… L’anno dopo bussò all’Istituto del Cottolengo, di quel prete che a Torino aveva fondato la Piccola Casa della Divina Provvidenza. Ricevette sorrisi e comprensione, ma non quel posto che in cuor suo aveva sognato. Poi, nel settembre 1932, grazie a suor Argentina, il viaggio a Brescia per chiedere alle Ancelle della Carità di accettarla come era e per quel che valeva tra le giovani che volevano diventare suore. Il 15 ottobre dello stesso anno Maria Ripamonti lasciò Acquate e la filanda ed entrò come postulante nel convento delle Ancelle della Carità, in via Moretto a Brescia. Undici mesi dopo, il 16 novembre 1933, Maria vestì l’abito dell’Ancella; il 30 ottobre 1935, fece la sua professione temporanea come sorella coadiutrice, pronunciò il quarto voto di carità e assunse il nome di sorella Lucia dell’Immacolata; il 13 dicembre 1938, con la professione perpetua, pronunciò il suo sì definitivo chiedendo di essere “mandataria”, cioè di servizio e di aiuto.
Da quel momento sorella Lucia divenne portinaia di Casa Madre, ma anche inviata per conto delle Ancelle a portare ovunque tutto ciò che la Provvidenza metteva a disposizione. In quei tempi difficili, dove bastava una parola fuori posto per essere classificati nemici, il suo sorriso impediva ai capoccioni di pretendere spiegazioni e giustificazioni su ciò che portava nelle borse o nelle tasche. Sorella Lucia era l’angelo consolatore, la portatrice di pane, la suora che attraversava gli anni della dittatura, della guerra, della resistenza e della ricostruzione fidando semplicemente sulla forza della Provvidenza e sulla generosità delle Ancelle. I suoi sono stati vent’anni di storia bresciana in cui sono si son o avvicendati fatti e personaggi che hanno lasciato una traccia importante
In questa traccia, emergente, bella e forte, c’era la figura di una “piccola suora che con niente aveva lastricato le strade di bontà e di carità”. Don Peppino Tedeschi la chiamava “sorella provvidenza”; Bruno Marini, giornalista e affabulatore, la considerava un “angelo consolatore”; Bruno Boni, sindaco della città, la indicava qual vero e proprio “esempio di altruismo generoso” da seguire e imitare; Italo Nicoletto, comunista tutto d’un pezzo, diceva che di suore come lei ce ne volevano tante. Sorella Lucia, assalita dal male incurabile, sofferente ma ancora capace di trasmettere gioia e speranza a chiunque l’avvicinava, morì serenamente il 4 luglio 1954. “Se ne è andata una santa”, disse la gente. E da quel momento crebbe l’attesa per vederla fiorire “quella la rosa che odorava di santità e che regalava santità a chiunque si soffermava a guardarla”.
La devozione per la piccola generosa suora crebbe e non passò giorno senza che un fiore e una preghiera venissero posati sulla sua tomba. La gente che la ricordava come portatrice di carità concreta e che a lei si rivolgeva chiedendole grazie e consolazioni, la chiamava “la suora dei miracoli”. E un miracolo, per sua intercessione, avvenne per davvero. Il 26 aprile 1967, la piccola Irene Zanfino, una bimba di sette anni investita mentre attraversava la strada, venne ricoverata all’ospedale di Bolzano in condizioni disperate. “Solo un miracolo potrebbe salvarla”, dissero i medici. Allora le Ancelle della Carità in servizio all’ospedale, insieme ai genitori e ai parenti, iniziarono giorni di preghiere e di suppliche rivolte alla venerabile sorella Lucia. Il 30 aprile nella cartella clinica i medici scrissero che “la paziente accennava a rispondere agli stimoli”. Un mese dopo il dottor Steger, primario dell’ospedale, scrisse: “Viene dimessa, risuscitata, la piccola Irene Zanfino”. La bimba era perfettamente guarita e non ebbe bisogno di altre cure.
Per sorella Lucia la strada per l’introduzione della Causa di Beatificazione venne ufficialmente inaugurata nel 1974 con l’invito alle suore e a chiunque altro l’avesse conosciuta di far pervenire testimonianze, pensieri, segni, grazie e miracoli collegati o collegabili alla sorella. Nel 1984 “i fioretti di suor Lucia”, mirabilmente raccontati da don Giovanni Antonioli, aprirono spazi nuovi verso il riconoscimento della sua santità. Negli anni successivi maturò la richiesta ufficiale per l’introduzione ufficiale della Causa di Beatificazione: prima piccoli segnali, minuscole raccolte di testimonianze, paziente ricerca di segni; poi i passi ufficiali richiesti; più in là la catalogazione meticolosa delle sue virtù. Così, il 27 luglio 1990, l’allora Superiora Generale, madre Eugenia Menni, con il consenso del Consiglio Generalizio, chiese a monsignor Rolando Zera, teologo e canonista, di essere Postulatore della Causa di Canonizzazione di sorella Lucia, pregandolo di «agire a nome e per conto sue e dell’Istituto, in conformità alle norme emanate dalla Santa Sede e dalla Congregazione delle Cause dei Santi».
Nel 1991 il vescovo Bruno Foresti avviò il processo di canonizzazione nominando il postulatore della causa; nel 1992 lo stesso postulatore chiese al vescovo di aprire ufficialmente la Causa di Beatificazione; nel 1995 si concluse l’inchiesta diocesana e subito dopo da Roma giunse l’approvazione che di fatto annoverava sorella Lucia tra i “degni d’essere riconosciuti nella santità”. Da quel momento iniziò l’attesa per il riconoscimento del miracolo avvenuto per sua intercessione il 26 aprile 1967. Quel miracolo, dopo lunghe e meticolose verifiche, venne ufficialmente riconosciuto il 13 maggio 2019 quando la Congregazione per le Cause dei Santi, comunicò che papa Francesco aveva autorizzato la promulgazione del decreto relativo al miracolo attribuito all’intercessione di suor Lucia Ripamonti, stabilito che Suor Lucia fosse scritta nel libro dei Beati e fissata per il 9 maggio 2020 a Brescia la cerimonia di Beatificazione. Causa virus la data venne spostata al 23 ottobre 2021, cioè a oggi.
L’anno di attesa ha ampliato la devozione e permesso agli umili di conoscere meglio quella piccola suora chiamata a far parte della schiera dei “santi di strada”. Oggi la città assiste; domani, forse, canterà la gioia di avere dalla sua parte una Beata che la gloria l’ha conquistata mettendo amore dove c’era odio, pane dove c’era fame e speranza dove c’era soltanto disperazione.
LUCIANO COSTA