Ancora una volta guardo le notizie, le soppeso, ne cerco una che valga la pena di commentare (tra queste di sicuro la conferenza stampa del Presidente del Consiglio Mario Draghi è di quelle che meritano, sia per chiarezza che per risolutezza e coraggio giusta attenzione) ma non la trovo, soprattutto perché quelle di oggi sono simili a quelle di ieri. Semmai, oggi, la sedia negata alla Commissaria europea diventa un caso politico con al centro Erdogan (Mario Draghi, con assoluta autorevolezza, lo ieri ha chiamato per nome: dittatore), e quel Michel, altro commissario UE, che inebetito davanti al autoproclamato sultano, non ha avuto il coraggio e neppure l’intelligenza di rifiutare il posto assegnatogli e di cederlo alla Signora che quella sedia doveva occupare per rango e diritto. Oltre la sedia negata, quando il giorno avanzava, si è materializzata l’arroganza cinese mirata a impedire a chicchessia di guardare al suo interno e magari scoprire che lei, la ricca e potente Cina, dei diritti e delle libertà degli individui se ne frega altamente. Secondo la Cina, concedere asilo politico, come ha fatto la Gran Bretagna, a qualche dissidente cinese è ledere il suo diritto di giudicare (ovviamente senza avere tra i piedi nessuno che controlli o che contesti).
Non avendo voglia di buttarmi tra quelle notizie deprimenti in un tempo che da solo già deprime, mi sono rifugiato nello sport per accorgermi che l’Olimpiade di Tokio è alle porte e che tutte le Olimpiadi che verranno possono aspettare. Però, proprio lì tra le pieghe delle cronache olimpiche, ecco una proposta, degna di essere salutata con largo anticipo e con larga soddisfazione, per un’Olimpiade organizzata dalla Germania e da Israele, insieme, uniti nell’abbraccio, decisi a riparare quell’altra Olimpiade che nel 1936 mostrò al mondo, insieme al volto peggiore del nazismo, l’incapacità delle Nazioni di opporsi alla perversa logica del potente organizzatore e di ribadire invece l’assoluta indipendenza e distanza dello sport da ogni logica politica che non fosse quella della parità e della libera partecipazione.
In quel 1936 Hitler aveva imposto la sua normalità: una normalità fatta di svastiche, saluti imperiosi e imperiali, esclusione di chiunque non la pensasse come lui, odio diffuso nei confronti degli ebrei, classificati “vil razza dannata”, e dei diversi. Allora, quel pazzo incivile dittatore, che si faceva chiamare fuhrer (guida, condottiero, capo assoluto, niente più di un dittatore), impose la sua tracotante figura senza curarsi della condanna di gran parte del mondo civile ottenendo il disprezzo di molti e l’insignificante applauso dei suoi gerarchi. Di quell’olimpiade macchiata di razzismo e inciviltà restano poche cose e qualche ricordo degno d’essere ricordato: la fiaccola accesa ad Olimpia e portata fino a Berlino dai tedofori (una tradizione incominciata quell’anno che continua e che si rinnova ogni volta); un famosissimo film firmato da Leni Riefenstahl; il mitico Jesse Owens, quello che Hitler neppure voleva vedere, il negro che sconfisse i bianchi nella gara regina della velocità; la fotografia del tedesco Luz Long disteso nel prato dell’Olympia Stadium insieme al velocista americano a cui aveva elargito non pochi consigli sul come affrontare e vincere la corsa sulla pedana del salto in lungo; la fratellanza, mai sufficientemente raccontata, di tanti giovani provenienti da paesi diversi ma uniti dallo sport.
Adesso, ancor prima che inizi la corsa alla nomination olimpica, questa strabiliante idea di celebrare i cent’anni da quella funesta Olimpiade (Berlino 1936) con un‘altra Olimpiade (Berlino-Tel Aviv 2036), questa volta gioiosa, libera, partecipata, simbolo di pace, di amicizia e di fraternità. Difficile dire se quest’idea troverà sostenitori sufficienti a farla decollare, ma facile è auspicare che nulla impedisca di farla. Certo, organizzarla sarà un azzardo, però uno di quelli che vale la pena tentare. “Svolgere a Berlino i giochi olimpici cent’ anni dopo quelli di Hitler – ha scritto Giulia Zonca su La Stampa -, rievocherebbe i tempi bui, ma manderebbe anche un forte segnale di speranza nel futuro”. In più, rendere quel 1936 un evento piuttosto che una ricorrenza, sarebbe il modo migliore, sicuramente anche il più coraggioso, per ricordare senza cancellare l’orrore provocato falla tracotanza di un dittatore, per farsi carico delle responsabilità consegnate al mondo dalla storia, ma anche, come bene hanno detto i responsabili del comitato olimpico tedesco, “per mostrare quanta strada Germania e Israele hanno fatto insieme da allora e quanta ne possono ancora fare insieme”.
Per ora son solo idee e azzardi. Però, perché non credere che si possa passare dalle idee e dagli azzardi a qualcosa che li renda reali, praticabili, fattibili? Io e il mio amico Ettore, con il quale nel 1972, anno delle Olimpiadi di Monaco, ho visto e misurato la violenza omicida portata fin lì da terroristi palestinesi che volevano la fine dei Giochi e l’annientamento degli atleti israeliani, ci crediamo. Soprattutto, siamo convinti che un’Olimpiade riparatrice, celebrata a Berlino e Tel Aviv da tedeschi ed ebrei, vale più di qualsiasi possibile e immaginabile lezione di antirazzismo e antisemitismo. Se accadrà, vorrei esserci. Ma se l’accumulo dei miei anni risulterà impietoso e al punto da rendere impossibile sostenere quel desiderio, allora incaricherò figli e nipoti di rappresentarmi.
Adesso però, sempre più convinto che i giovani non sanno quello che i vecchi hanno già dimenticato, vi invito a ripensare e a rileggere la storia. Scoprirete che nel 1936, all’apice della sua meschina gloria, Hitler usò l’Olimpiade per mostrare i muscoli di una Germania che lui voleva padrona dell’universo e per far sapere a chiunque che Berlino era e doveva restare caput mundi. Per fortuna le cose non andarono nella maniera voluta e Hitler fece la fine che meritava.Restò la Germania, costretta a fare i conti con i campi di sterminio inventati dal perverso dittatore, poi impegnata a curarsi le ferite e a curare quelle procurate alle nazioni offese; anche obbligata a vedere la sua capitale divisa a metà –anno 1963 – da un orrendo muro e lei, la grande Nazione, tagliata a metà: la parte est sottomessa al volere comunista sovietico; la parte ovest orgogliosa di affermare democrazia e libertà.
Poi, nel 1972, quelle olimpiadi a Monaco, riparatrici di quel che era stato, che dovevano perciò essere una festa partecipata e gioiosa dentro un’organizzazione perfetta, che dovevano mostrare al mondo lo splendore della Germania libera ed economicamente forte. Così fino a quando, il mattino del 5 settembre, un commando dell’organizzazione terroristica palestinese denominata Settembre Nero irruppe negli alloggi destinati agli atleti israeliani uccidendo subito due atleti e prendendo in ostaggio altri nove membri della squadra olimpica; seguirono convulse trattive e, infine, la tragedia consumata all’aeroporto in cui, nel tentativo di liberazione da parte della polizia tedesca trovarono la morte tutti gli atleti sequestrati, cinque terroristi e un poliziotto.
Le Olimpiadi si fermarono per un giorno e ripresero, col cuore gonfio di paura e dolore, per dimostrare che lo sport vince ogni violenza. Se questo è ancora vero, un’altra Olimpiade a Berlino non solo è possibile ma anche doverosa, soprattutto se insieme alla Germania ci sarà Israele. E quando la storia futura confermerà quel che oggi sembra un azzardo, il mondo esulterà, ringrazierà e si scoprirà migliore di prima.
LUCIANO COSTA