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Un bacio, anche due o tre, a chi…

C’è poco da stare allegri (e non mi riferisco certo all’allegria vestita in bianco e nero). In Italia s’insedia il Parlamento su cui aleggiano, contemporaneamente, la certezza dei numeri (schiacciante maggioranza del centrodestra) e l’incertezza delle intese tra la stessa maggioranza schiacciante (pee esempio, anche ieri Giorgia Meloni, premier designata ma non ancora incaricata, ha incontrato Berlusconi in villa, ma non Salvini, che la villa ha dimenticato di onorare con la sua presenza; tatica o dissenso, non si sa). Oggi ne sapremo (forse) di più. Però non mi illudo di vedere azzurro dove adesso è solo grigio. Bisognerà avere pazienza, leggere i nomi dei proposti, guardare chi siederà sugli scranni più alti, saggiare di ognun gli umori e poi sperare… Sperare che una volta all’opera i vincitori facciano quel che devono fare senza permettere che anche uno solo dei loro compagni (sic!) d’avventura possa commentare il suo essere lì con il più platonico e scorretto “io speriamo che me la cavo”.

Tutto questo mentre il mondo guarda perplesso al menefreghismo assoluto e sordo ostentato dalla Russia e con disperazione e dolore all’Ucraina invasa dal folle zar. Ieri l’Onu ha condannato, giudicandola illegale, l’annessione vantata dalla Russia dei territori ucraini. Come sempre, Putin ha fatto spallucce e mandato a dire, ovviamente usando linguaggi a noi sconosciuti, che lui se ne frega delle risoluzioni votate dall’Organizzazione delle Nazioni Unite… Non è una novità. Infatti, disponendo del diritto di veto e della compiacenza di alcuni sodali, lui all’Onu fa il bello e cattivo tempo. E cioè, come già fecero certi dittatori che l’hanno preceduto, “se ne frega”. Certo, il folle Putin, zar feroce delle sue russie, parla col turco ma pensa ad altro, col cinese che non si sa mai da che parte sta, con gli sponsorizzati e foraggiati che sono tanti e pronti a dirgli “bravo, sì sei proprio bravo”, con quelli che fanno affari con lui… Non parla invece col resto del mondo che gli chiede di smetterla di fare la guerra e di fare invece la pace. Anzi, parla, però senza profferire parola, sganciando bombe, lanciando missili e qualunque altra cosa serva a seminare distruzione e morte sulla misera e innocente Ucraina, sua preda novella, sua base ideale per lezioni di potere, sua amata terra non da zappare piuttosto da distruggere-annettere-sottomettere-costringere-uccidere…

Putin, che pur essendo lo stesso di ieri e dell’altro ieri, costringe a chiedersi ogni giorno che viene “ma chi è costui?” e, soprattutto, “fin quando durerà?” e dove lo porterà quella sua “ira tremenda che infiniti adduce lutti…” agli ucraini e a chiunque non sia d’accordo con lui? Putin è un despota, uno che non conosce ragione, “ma se qualcuno avesse una buona idea per spingerlo a ragionare – ha scritto ieri Mattia Feltri nel Buongiorno pubblicato da La Stampa – io lo bacerei in fronte”. Perché, pur pensando che la pace sia meglio della guerra, non è ipotizzabile con quale trattativa si possa incominciare a ragionare avendo davanti “un despota che da vent’anni è dedito a far fuori gli oppositori politici, nei partiti e nei giornali, esordiente al Cremlino con la devastazione feroce della Cecenia, di cui ci siamo occupati poco, un po’ per quieto vivere, un po’ perché la Cecenia sull’atlante sta nell’altra pagina, e che a febbraio ha invaso l’Ucraina perché l’Ucraina non esiste, è suolo sacro della Russia, e perché va liberata dal dominio di una cricca nazista, e perché vuole entrare nella Nato e dunque la Nato stessa è una cricca di nazisti, casamatta militare di un mondo declinante e arreso al vizio, cioè per un assemblaggio di schizofrenie vendute a buon  mercato, e in realtà non aveva modo migliore di assecondare i suoi desideri di conquista indirizzati a recuperare una grandezza che ormai rimbomba soltanto nella sua testa, s’è impancato in una guerra criminale contro i civili, impreziosita di torture e fosse comuni, e ancora ieri ha restituito sui condomini e nei parchi delle città ucraina le bombe che gli ucraini hanno destinato, nella loro eccezionale e sorprendente resistenza, soltanto a obiettivi militari o infrastrutturali, e soltanto sul loro stesso territorio all’unico scopo di liberarlo da questo disgraziato invasore. Ecco –  concludeva Feltri – se qualcuno ha una buona idea, giuro, non sono ironico, io lo bacio in fronte, perché davvero non so quale conciliazione si possa ricavare da un simile malvivente”. Io, se permettete, di baci ne darei due, e senza ironia.

Tre baci darei a chi mi dicesse che gli arsenali militari russi stanno esaurendo le scorte di missili…Invece, leggendo, ho scoperto che l’esercito russo ha usato finora il 40% circa dei suoi missili più moderni e anche che i tecnici stanno riconvertendo anche i razzi di vecchio stampo. È forse l’ultimo colpo di coda di un esercito ormai prossimo alla disfatta? O le decine di missili scagliati fra ieri e avant’ieri e oggi su tutta l’Ucraina suggeriscono che l’arsenale di Putin è ancora dirompente? Sir Jeremy Fleming, che comanda lo spionaggio britannico in fatto di guerra elettronica e di intercettazioni (Gchq), non ha dubbi: «Le munizioni russe si stanno esaurendo. Lo sappiamo noi e ne sono consapevoli i comandi dell’Armata Rossa». Ma ne siamo davvero sicuri?

Un reportage firmato da Francesco Palmas per “Avvenire” informa che “purtroppo ci sono altri dati che raccontano una storia diversa: l’esercito russo ha usato finora il 40% circa dei suoi missili più moderni. Per gli americani, prima del 24 febbraio, Mosca ne aveva grosso modo 5mila. Facendo due calcoli gliene resterebbero 3mila. Duemila sono stati bruciati in otto mesi di guerra. Sono tanti per un’operazione definita meramente «speciale» e i russi sono costretti ad economizzarli: quelli in riserva non possono essere sparati tutti, perché potrebbero servire un domani per affrontare la Nato. Non sono infiniti ed è complicato produrli. Le fabbriche russe possono sfornarne 120-130 l’anno, con piccole differenze a seconda dei modelli. Sono quantità limitate. Ma l’industria di Putin ha altro in mente. Sembra intenzionata ad aumentare i ritmi produttivi e a puntare sui vettori semi-balistici e ipersonici, impossibili da intercettare e sicuri di centrare il bersaglio. Un modo per evitare gli sprechi. L’embargo tecnologico occidentale mette certo i bastoni fra le ruote, ma non può tutto. Rallenta le forniture, ma colpisce soprattutto i sistemi terra-aria, le fabbriche di carri armati di ultimo grado, le navi e gli aerei”.

Palmas dice anche che “a peggiorare le cose si aggiunge un altro spettro: il forziere di armi non guidate custodito nel ventre russo è sterminato. Infatti, i missili vecchio stampo sarebbero non meno di 7mila, pronti all’uso. E c’è un altro dato allarmante: gli ingegneri russi hanno convertito in armi terroristiche terra-terra ordigni pensati in origine per la difesa da aerei e razzi. Ne hanno 28mila, modificabili in missili ultraveloci, imprecisi, ma altamente distruttivi. Progettano di fare altrettanto con i missili di prima generazione, ancora in servizio con gli eserciti di decine di clienti russi. Per rifornirli, Mosca ha mantenuto sempre aperte le linee di produzione. Ne conosce i segreti e non ha perso i dettagli tecnici”. Stando così le cose, aggiunge il giornalista “se la misura andrà in porto, saranno diverse decine di migliaia di nuove munizioni potenziali. Il fatto che l’Armata Rossa alterni da otto mesi missili ultra-precisi e vettori vecchi indica che progetta una guerra lunga. Le sue riserve, le sue capacità produttive integre e le schiere di ingegneri militari al lavoro non promettono nulla di buono. Duole dirlo, ma la Russia può continuare i raid terroristici contro l’Ucraina per tanti mesi ancora. E’ il dramma della guerra, di tutte le guerre, anche se questa ci tocca più da vicino”.

Urge la pace. Ma gridarlo non basta più.

LUCIANO COSTA

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