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Un badile e un disegno per superare l’alluvione…

Dopo qualsiasi tragedia – alluvioni, terremoti, cicloni, incendi- il rituale si ripropone: sempre lo stesso, sempre melenso, sempre inutile dato che, tutt’al più, serve a vedere dall’alto la desolazione ma non a calarsi dentro quella desolazione. Così anche ieri e prima di ieri, con politici in visita di sostegno e di conoscenza, tecnici in cerca di spiegazioni, personalità e gente in vista curiose e ansiose… Poi, sempre ieri, la visita del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rientrato in anticipo dal Giappone, dove sette grandi discutevano dei grandi problemi che affliggono l’umanità.

Indubbiamente lodevole la decisione di essere tra gli alluvionati invece che sotto il cielo dell’est asiatico. Ed eccola, la Meloni: popolana tra i popolari, pronta a commuoversi, disposta ad ascoltare e a rincuorare, decisa nell’annunciare aiuti e provvedimenti in grado di risollevare dalla disperazione, capace di sorridere insieme ai bambini e ai ragazzi dell’alluvione, coraggiosa nel calzare stivali e mettersi al fianco dei volontari venuti per spalare fango e regalare qualche speranza agli sconosciuti amici sommersi dall’acqua. Questo ieri, per qualche ora. Oggi la sintesi di ciò che ha visto la metterà sul tavolo che prepara il Consiglio dei Ministri. Servono fondi e aiuti, servono misure che consentano alla gente di ricominciare, servono sovvenzioni cospicue per aiutare a ricostruire. Soprattutto, serve rimettere al centro il dovere di preservare il territorio dalla catastrofe. Vale a dire, scrivono gli esperti “serve una legge che impedisca lo sfruttamento selvaggio delle terre, serve dare all’agricoltura valore di raccordo col territorio piuttosto che di sfruttamento delle risorse nascoste nel territorio…. Magari, servirebbe anche dare la possibilità ai giovani e alle loro famiglie di restare dove sono nati, liberi di lavorare la terra vestendo la casacca del contadino finalmente restituita alla primaria nobiltà.

Intanto c’è attesa per il ritiro delle acque, per il ritorno del sole, per una normalità in grado di rimettere in moto lavoro e speranze di buon futuro. È sicuramente possibile. La gente di queste terre adesso invase dall’acqua, infatti, ha coraggio da vendere e non teme la durezza della ricostruzione. Aiutiamola, questa gente!

 

Nel suo piccolo, un aiuto leggero e però carico di pensieri positivi, lo ha dato quel vignettista veronese, un prete artista, che da quando l’acqua s’è impossessata di terre non sue ha disegnato panorami e lanciato messaggi intrisi di sorrisi e contornati da convinta partecipazione. “Pare fuori luogo – ha scritto ieri Guido Mocellin -, ma è benefica la vena con cui Gioba (alias don Giovanni Berti, presbitero e vignettista di Verona, popolare nell’info-sfera ecclesiale) sta accompagnando le popolazioni colpite dall’alluvione. C’è l’angioletto che, indispettito, regge al cospetto del Padreterno un assistente vocale che ripete: «Manda pioggia». C’è l’arca di Noè sotto il diluvio mentre una voce dal Cielo mette le mani avanti: «Ma solo per questa volta sarà colpa mia». C’è Gesù che esorta il riluttante Pietro a incamminarsi sulle acque: «Sbrigati che ci aspettano in Romagna». C’è ancora il Padreterno che, sopra le nubi, risponde all’invocazione «aiutaci!» che sale dal basso aprendo un ombrello al contrario per contenere la pioggia”.

Come sempre, al Gioba disegnatore, che inscena la nostra incapacità di prendere sul serio Dio, Gesù Cristo e il Vangelo, si accompagna il Giovanni Berti prete e scrittore, che insegna appunto come prenderlo sul serio, anche davanti a un dramma di questa portata. Così sotto alla vignetta dell’ombrello il testo dice: «…le mani che spalano il fango sono una preghiera così come quelle che si alzano al cielo per chi è colpito dal disastro… e anche Dio non rimarrà certo con le mani in mano…». E sotto il disegno di Gesù e Pietro: «Le acque nella Bibbia rappresentano il caos e il male. Possiamo camminare su queste acque come Gesù se ci riprendiamo cura gli uni degli altri, se soccorriamo con generosità e coraggio chi ha bisogno».

Ma la vignetta che ha raccolto il maggior numero di consensi è quella in cui a un tale che prega devotamente: «Oh Signore, dimmi cosa devo fare per l’alluvione in Romagna», dal Cielo, con un «tò», gli arriva tra le mani un badile. «Romagna mia… cantano i giovani volontari venuti da tutta Italia mentre spalano il fango», commenta Gioba alludendo alle immagini che tutti i telegiornali hanno mostrato. «In quel “mia” non c’è possesso ma interesse e responsabilità. Il Signore mi fa sentire “mia” la difficoltà del prossimo, “mio” il suo bisogno al quale rispondere…».

Forse Gioba è un illuso o forse solo un cantore di sogni. Però, che forza e che ardore in quel suo disegnare e dire come è possibile non stare con le mani in mano in attesa di chissà quali eventi e provvidenze!

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