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Un giro nel mondo ammalato e triste

L’india è adesso l’ombelico del mondo ammalato: i morti è difficile contarli, i vivi che resistono seppelliscono i morti, i ricchi e i potenti fuggono dalle strade intasate e contaminate, la medicina ufficiale fa i conti con il poco a disposizione di fronte alla moltitudine di persone che premono e chiedono aiuto, la medicina dei guaritori improvvisati distribuisce l’acqua del fiume e foglie essicate… Come riferiscono le agenzie di informazione “la nuova ondata pandemica è completamente fuori controllo. Solo in questo mese di aprile il numero di nuovi casi ha raggiunto i sei milioni. I morti vengono bruciati lungo le strade. Tutto il sistema sanitario è duramente provato: in molte città sono terminati i posti in terapia intensiva e c’è grossa carenza di ossigeno”. Dentro questa emergenza, l’arcidiocesi cattolica di Bangalore, nello stato di Karnataka, ha deciso di trasformare temporaneamente le scuole cattoliche in ospedali per pazienti colpiti dal Covid-19. Altre diocesi cattoliche sono pronte a seguire l’esempio.

Lontano dall’India, in Germania, ieri è stato raggiunto un nuovo record sul fronte della campagna vaccinale con 1.088.952 dosi somministrate in un giorno. Nel mondo sono quasi 150 milioni i casi di Covid (149.242.187), secondo i dati della Johns Hopkins University. Il che vuol dire che una persona su 50 è stata contagiata. Aumentano anche le vittime: sono 3.147.016 le persone che hanno perso la vita a causa del virus dall’inizio della pandemia.

Dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti, i contagi sono in tutto 32.227.081 per un totale di 574.297 morti. La California è lo stato più colpito, seguito da New York, Texas e Florida. Ma il sindaco della Grande Mela, Bill De Blasio, ha già annunciato che “Il piano è riaprire interamente la città il 1° luglio: negozi, teatri, uffici. Siamo pronti a tornare come prima”.

La distribuzione e somministrazione dei vaccini anti-Covid, unica arma per uscire dalla pandemia, prosegue, ma non riguarda il mondo, ma solo piccole fette di mondo. Di fronte a questa situazione si è alzata la voce di 145 leader religiosi di tutto il mondo e di ogni credo. Ieri, uniti da un profondo senso di fraternità universale, questi leader religiosi hanno firmato un appello diretto ai governi dei Paesi più ricchi invitandoli a “respingere la logica del nazionalismo vaccinale” e a prendere un impegno concreto per garantire un’equa distribuzione dei sieri contro il Covid-19 anche ai Paesi in via di sviluppo. La dichiarazione, in cui echeggiano le parole di papa Francesco che, più volte, ha invocato cooperazione e solidarietà nel garantire a tutti l’accesso ai farmaci immunizzanti, porta la firma, tra gli altri, del cardinale Peter Turkson, prefetto del dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale, di Rowan Williams, arcivescovo emerito anglicano di Canterbury e di Thabo Makgoba, arcivescovo anglicano di Città del Capo ed è supportata anche dal Dalai Lama. I religiosi che hanno firmato l’appello sottolineano di non poter abdicare alla responsabilità morale di battersi per il bene di tutti, e in particolare delle comunità più povere, “lasciando che sia la logica del mercato a risolvere la crisi”. Le conseguenze di un approccio del genere, avvertono, sarebbero disastrose.

Il richiamo ad agire perché il vaccino contro il coronavirus venga considerato un bene comune è palesemente diretto ai governi che il mese prossimo parteciperanno al G7 in Cornovaglia. L’attesa è che dal summit arrivino soluzioni per la cosiddetta “non discriminazione vaccinale”. Secondo alcune stime, il costo che le grandi potenze economiche dovrebbero sostenere per rendere universale l’accesso ai vaccini è soltanto una piccola frazione di quanto già stanziato per la ripresa post-Covid.

In questo tumultuoso procedere di eventi, ha suscitato scalpore ciò che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto nel primo discorso al Congresso, esattamente a cento giorni dall’inizio del suo mandato. Senza troppi giri di parole il Presidente USA ha proposto il capovolgimento del paradigma finora in uso. “La crescita del Paese – ha detto – deve salire dal basso e dal centro verso l’alto non più il contrario… E se cento giorni fa ho ereditato un Paese in crisi, ora posso dire che l’America è di nuovo in movimento, pronta a trasformare il pericolo in una possibilità, la crisi in un’opportunità, gli ostacoli in forza”. E poi, una parola ripetuta quasi cinquanta volta: lavoro, lavoro, lavoro…

In Italia, tra cifre altalenanti sulla distribuzione dei vaccini e sul numero dei vaccinati, c’è ancora chi mette in primo piano la fine del coprifuoco piuttosto che l’inizio di un periodo di responsabili aperture, perciò mai disgiunte dalla prevenzione e dall’osservanza delle norme imposte dagli esperti. Ho letto cronache che raccontano minuziosamente l’andirivieni di spettatori nei cinema e n ei teatri riaperti. Non ho ancora letto, invece, cronache altrettanto minuziose dedicate a chi nelle residenze sanitarie assistite, nei ricoveri e nelle case di riposo, sia pubblici e sia privati, aspetta aperture che in sicurezza consentano agli anziani ospiti di tornare ad abbracciare figli e nipoti, a ritrovare il senso dell’appartenenza alla comunità.

Però, forse meno male o forse peccato che le cose girino proprio in questo modo, il calcio giocato e parlato non smette di stupire, il ciclismo annuncia il Giro d’Italia, il basket si prepara alle finali e finalissime e tutti gli sport praticabili sognano l’Olimpiade.

Va bene così. O no?

LUCIANO COSTA

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