Un rublo (scarabocchiato) contro la guerra

Ventitreesimo giorno di guerra in Ucraina. Ancora bombe, cannonate, attacchi indiscriminati contro tutto e tutti (bambini, donne e cittadini compresi); ancora nulla di fatto nei negoziati che la Russia considera terreno di conquista e l’Ucraina invasa e maltrattata il modo più coraggioso per dire all’invasore “ritirati, lasciaci in pace”. Quando finirà questo strazio? Nessuno ha una risposta, tutti (o quasi tutti, perché ci sono anche quelli che dalla guerra traggono profitto) mantengono viva la speranza di un ritorno alla normalità. “Perfino a Mosca – ha scritto un cittadino russo -, dove la parola guerra non esiste e dove la voce Ucraina è oscurata sistematicamente, le strade e le piazze sono sempre più spesso terreno sul quale scrivere la parola libertà. Si rischia – ha aggiunto –, ma almeno c’è la soddisfazione di non piegarsi al volere dell’uomo solo al comando”. Così ieri e oggi, domani chissà.

Nel frattempo, se la diplomazia ufficiale non smuove le acque e non obbliga il folle Putin a indietreggiare, ecco apparire altre forme di diplomazia. Per esempio, quella di usare il rublo, moneta ufficiale russa alquanto svalutata, per far circolare gli unici messaggio che contano, quelli che dicono “no alla guerra”, che aggiungono “basta guerra”, che invocano “pace per l’Ucraina”. L’operazione “rublo informato” è iniziata da alcuni giorni e, almeno per il momento, non trova ostacoli. Per adesso, in presenza di un rublo che non è ancora carta straccia e mentre l’ipotesi di un tracollo (default, cioè crollo dei conti) diventa ogni giorno più consistente, (per saperne di più bisognerà attendere ancora qualche giorno) sono i rubli con le scritte contro la guerra ad aver iniziato il loro viaggio attraverso le mani e i portafogli russi contribuendo a suo modo a mettere in chiaro che il popolo non è più disposto a concedere crediti alla dittatura.

Ogni rublo vale e garantisce un messaggio: slogan proibiti scritti a penna su banconote da 100, 500, 1000 rubli che passano di mano in mano e sfidano il potere di Putin. E’ una forma di protesta silenziosa che però garantisce l’anonimato e tutela le persone che vogliono esprimere il loro dissenso contro l’invasione russa in Ucraina, che da Mosca a San Pietroburgo deve essere chiamata col nome di “operazione speciale” se non si vuole rischiare di incorrere in 15 anni di carcere. Perché è così che nella Russia di Putin vanno le cose: i manifestanti che scendono in piazza, nel migliore dei casi, vengono presi a botte e arrestati.

Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina sono almeno ventimila le persone fermate e arrestate. Con il loro gesto rischiano in prima persona e mettono a repentaglio tutta la loro famiglia, ma se questo è il prezzo della libertà e della verità, dicono, “è giusto rischiare”. La frase “ho paura per i miei figli”, ad esempio, è stata la prima pronunciata da Marina, la giornalista arrestata dopo che si era presentata in diretta sulla tv nazionale con un cartello in cui si leggeva “no alla guerra”.

Intanto, con la Borsa di Mosca che fino a questo momento è costretta a chiudere tutte le negoziazioni e a sottostare al divieto di esportazione di valuta all’estero, il popolo russo comincia a sentire il peso della scelta dello zar imperialista di invadere l’Ucraina e si ribella all’idea di essere suo complice. Così, una parte della popolazione, per ora una minoranza, tenta di organizzarsi contro il regime, indossando anche su borse e magliette quei “no alla guerra” in risposta al movimento di propaganda, detto “zeta”, che Putin esige come suo personalissimo sostegno.

I rubli riempiti di scritte contro il governo di Putin sono un altro piccolo gesto di protesta che si unisce a quelli dei movimenti femministi e delle “Donne in nero” che negli anni 90 scesero nelle strade delle città russe per protestare contro la guerra in Cecenia e sono pronte a rifarlo oggi, 18 marzo, in occasione della celebrazione dell’annessione della Crimea (la cosiddetta “riunificazione” della Crimea con la Russia, come la definisce il governo russo).

Quello delle “banconote sovversive” è uno strumento di protesta anonima, efficace, già utilizzato, ad esempio, in Turkmenistan nel 2020 contro la dittatura e può funzionare perché i negozi non si possono rifiutare di accettare banconote firmate: di per sé le banconote sono sporche, consumate, strappate; presentano graffi, piccoli fori e macchie, ma stando alla legge russa “devono essere accettati come mezzo di pagamento da tutte le imprese e organizzazioni, indipendentemente dalla proprietà”, così spiega un gruppo di cittadini russi che su Telegram si scambia idee e proposte su come far sentire la propria voce senza rischiare di venire fermati, arrestati e torturati.

“La pratica più sicura è semplicemente quella di prelevare contanti al bancomat, firmarli sempre con penne diverse, cercando di cambiare la propria calligrafia, quindi usare quelle stesse banconote per pagare dentro i negozi, quindi ottenere come resto altri rubli, firmarli di nuovo e continuare a diffondere questi messaggi di protesta e di pace”, così da moltiplicare e diffondere sempre più espressioni e manifestazioni di dissenso verso il regime.

Se basterà a fermare la guerra nessuno lo sa. Per adeso è però un bellissimo schiaffo (morale) assestato alla faccia del folle dittatore Putin.

LUCIANO COSTA

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